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Strategie equity: relazione tra dollaro, petrolio ed S&P500

I nuovi massimi assoluti raggiunti dal petrolio, contemporaneamente ai minimi del dollaro contro diverse valute, meritano a nostro avviso un approfondimento. La prima domanda che si pone e se si tratta di un fenomeno temporaneo o definitivo.

di La redazione di Soldionline 25 apr 2008 ore 10:29

La prima domanda che si pone e se si tratta di un fenomeno temporaneo o definitivo.

In seconda battuta è importante cercare di capire se queste variabili influenzano ed eventualmente in che modo l'economia reale e, soprattutto, che relazione hanno con gli indici azionari.

Nel presente report cerchiamo di analizzare la relazione tra le diverse variabili.

Petrolio vs. dollaro

Il grafico evidenzia l'andamento del petrolio con il Dollar Index, un indice che misura la performance del dollaro contro un basket composto dalle principali valute.

Questo indice che riteniamo sia da preferire ad un semplice cross tipo euro-dollaro per misurare l'andamento complessivo della valuta statunitense, dal picco del 2000 ha perso circa il 40%.

A 20 anni petrolio e dollaro hanno una correlazione negativa.
Tale rapporto raggiunge il suo estremo a 10 anni.
Negli ultimi anni la decorrelazione è quasi perfetta. Se sale uno scende l'altro.
Nella fase attuale in cui il dollaro è sui minimi contro diverse valute (euro, dollaro canadese, renmimbi...) e il petrolio su nuovi massimi, sarebbe interessante capire chi guida.
E' il petrolio che data la sua forza guida il dollaro al ribasso o, viceversa, è quest'ultimo che data la sua debolezza spinge gli investitori a comprare per proteggersi anche asset completamente diversi?
La verità come al solito sta probabilmente nel mezzo.

 

Gli Stati Uniti infatti nonostante siano tra i primi produttori al mondo consumano molto più greggio di quanto ne producano. Chi vende il petrolio riceve dollari e se li vende subito, indebolisce la valuta.
Questa è a nostro avviso la chiave principale: le riserve in valuta estera dei paesi produttori di petrolio solo pochi anni fa erano quasi interamente in dollari.
Negli ultimi anni, al contrario, il processo di diversificazione è aumentato, euro in testa.
Ma soffermiamoci sulle principali variabili che al momento influenzano le due asset class.
Il petrolio a $118 è su nuovi massimi.
Diverse le ragioni: domanda dai paesi emergenti, scorte in calo, speculazione.
La domanda soprattutto di Cina e India è un dato di fatto, è difficile ipotizzare a breve che diminuirà, a fronte di uno stock di PIL che aumenta ogni anni in modo percentualmente rilevante. Tuttavia negli ultimi anni la domanda di prodotti petroliferi provenienti da questi paesi non è stata sempre particolarmente elevata, almeno non proporzionale al rialzo dei prezzi.
Le scorte calano; i motivi sono sempre diversi: una volta a causa della raffinazione, altre del trasporto via mare, altre del trasporto via terra.
Messa così sembrerebbe destinato a salire senza fine.
Nondimeno ci sono delle considerazioni da fare.
Negli otto anni il petrolio si è moltiplicato quasi per dieci. Sarà un caso che la famiglia Bush abbia molti interessi in campo petrolifero e rapporti molto stretti con alcune famiglie saudite e, che la lobby dei petrolieri lo abbia appoggiato alle elezioni?
La sensazione è che l'OPEC cerchi di tenere il petrolio su prezzi elevati il più a lungo possibile, forse perché ipotizza che il cambio di amministrazione negli Stati Uniti possa invertirne il trend.
Altrimenti non si spiega come mai non facciano dichiarazioni più risolute per riportare  in basso i prezzi.
La storia insegna infatti che prezzi elevati troppo a lungo causano un calo della domanda e alla fine un crollo dei prezzi.
Recentemente è stato scoperto in Brasile quello che promette di essere (dalle prime stime) il terzo giacimento in termini di riserve.
La prima grande scoperta dopo Kashagan e forse la più importante a 30 anni. Nonostante la maggiore profondità rispetto a Kashagan, sembrerebbe meno complesso da estrarre e sono stati stimati 4/5 anni.
L'impatto sui prezzi quindi non sarebbe immediato ma comunque è potenzialmente un rialzo della curva dell'offerta, in uno scenario in cui le energie rinnovabili, le auto ibride ed elettriche e qualsiasi alternativa al petrolio, assorbono investimenti sempre più ingenti.

Allora quanto pesa la speculazione?
Potrebbe essere una battuta di spirito, ma non saremmo sorpresi di vedere una significativa inversione del trend all'insediamento della nuova amministrazione negli Stati Uniti, indipendentemente che vincano Clinton, Obama o Mc Cain.

Il dollaro oramai è diventato una valuta debole per definizione.
Cominciano stime pessimistiche che parlano di un trend ribassista senza fine, addirittura sopra 2 contro euro.
Piano, ragioniamo.
L'andamento di una valuta nel lungo periodo è funzione dei fondamentali dell'economia.
L'Amministrazione Bush ha sempre "ufficialmente" sostenuto la politica del dollaro forte.

Peccato che poi abbia sempre fatto il contrario, amplificando il Deficit Federale e traendo vantaggio dalla debolezza della valuta che, aiutando gli esportatori, sta "ammorbidendo" l'impatto della recessione.

Il nuovo presidente aumenterà l'avanzo primario e migliorerà le relazioni internazionali. L'impatto sul dollaro dovrebbe quindi essere favorevole.

Petrolio vs. S&P500


In uno scenario così complesso, l'S&P500 è insensibile ai movimenti di dollaro e petrolio o ne è influenzato?
E in caso di risposta positiva, in quale misura?
Calcoliamo le correlazioni.
Dal 1996 al 2002 è stata negativa. A fronte della salita dell'S&P500, fino al 2000 il petrolio tendeva infatti all'indebolimento.
Viceversa dopo il 2000, il petrolio ha cominciato a rafforzarsi in concomitanza di un periodo di debolezza degli indici azionari.
Dal 2003 la correlazione tra S&P500 e petrolio è diventata positiva.
Negli ultimi 12 mesi è passata da 0,38 a 0,82. Molto elevata, anche se poi da inizio anno è tornata nuovamente negativa.

 

In linea di massima è difficile dire quale sia la relazione tra le due variabili a lunghissimo termine. Anche perché l'innovazione tecnologica tende a medicare le prospettive future.
Elevati prezzi del petrolio infatti in genere penalizzano le aziende sul fronte dei costi. Ma è vero anche che i petroliferi hanno un peso elevato nella composizione dell'indice azionario, e quindi una loro salita in parte beneficia gli indici.
Nel lungo termine le aziende metabolizzano il problema: costruendo impianti di cogenerazione, allungando i contratti di approvvigionamento, cercando di cambiare il mix dei fattori produttivi, recentemente ricorrendo anche all'energia solare.
Ci sono al contrario implicazioni negative a causa delle pressioni inflazionistiche.
Se sale l'inflazione salgono i tassi e se salgono i tassi, l'investimento azionario soffre.
Come dire che il petrolio può essere, indirettamente, positivo o negativo per gli indici azionari.

La relazione tra S&p500 e dollaro varia da periodo a periodo.
Negli ultimi 6 mesi è positiva. Scendono entrambi.
A 12 mesi è negativa. Il dollaro è sempre sceso a fronte di una performance dell'S&P positiva per diversi mesi.

A 20 anni è decisamente negativa.
Riportando su base 100 i due asset, a fronte di poco più del 500% di performance dell'S&P500, c'è per contro una performance negativa del dollar Index.
Concludendo, la globalizzazione sta mettendo in discussione le correlazioni storiche tra asset class.
Paradossalmente potrebbero per brevi periodi convivere dollaro, petrolio ed S&P500 con la stessa direzione, al rialzo o al ribasso.
Le nostre ipotesi nel medio periodo sono un ribasso del petrolio da fine anno, in concomitanza con il cambio di amministrazione negli Stati Uniti.
Un recupero del dollaro, nel momento in cui sarà esplicitata la politica fiscale della nuova amministrazione.
Un recupero dell'S&P500, nel momento in cui la fase più negativa della crisi finanziaria dovesse definitivamente essere superata.

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