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Sovrappesare gli Stati Uniti, sottopesare l’Area Euro

La crisi finanziaria partita dagli Stati Uniti sta estendendosi anche alle altre aree geografiche. Il mercato che tende sempre ad anticipare notizie ed eventi, negli ultimi mesi del 2007 ha penalizzato soprattutto gli Stati Uniti, risparmiando Europa ed Asia.

di La redazione di Soldionline 1 feb 2008 ore 10:53

Al contrario nelle prime settimane del 2008, le ondate di vendita hanno travolto soprattutto queste due aree e, in particolare, paesi che fino a quel momento avevano resistito in termini di performance.
Il timore prevalente è infatti quello che la crisi finanziaria possa anche estendersi all'economia reale.
A quel punto diventano estremamente importanti e, grandi elementi di differenziazione, le caratteristiche intrinseche delle economie delle diverse aree geografiche, oltre alle economie fiscali e monetarie che ragionevolmente dovrebbero essere implementate.
Numerose sono a nostro avviso le ragioni, per cui gli indici azionari statunitensi nei prossimi anni potrebbero performare meglio della maggior parte di quelli dell'Area Euro.
Soprattutto, va considerato il livello raggiunto dal dollaro contro euro che dopo avere penalizzato per diversi anni gli investitori dell'area euro, potrebbe finalmente nel 2008 invertire il trend.

Stati Uniti vs. Europa

Negli ultimi anni gli indici statunitensi hanno sottoperformato la maggior parte degli indici azionari.
Le ragioni sono state a nostro avviso due.
La prima derivava dal peso eccessivo degli Stati Uniti sulla capitalizzazione mondiale (sintetizzato dai pesi del MSCI World), ovvero oltre il 50%, in rapporto al PIL complessivo. La crescente globalizzazione ha così accelerato un processo di migrazione dei flussi finanziari in uscita dagli Stati Uniti, a favore dell'Europa e soprattutto dei mercati emergenti.
La seconda dipendeva dai timori di rallentamento economico, che in una prima fase sembravano quasi esclusivamente concentrati sugli Stati Uniti, area in cui un mercato immobiliare estremamente effervescente aveva creato un effetto ricchezza forse eccessivo.
Tenendo fuori l'Asia che beneficia di dinamiche interne e che a nostro avviso merita comunque un soprappeso strutturale, riteniamo che gli Stati Uniti siano da preferire all'Area Euro.
Il primo punto da sottolineare è che si stanno contrapponendo un'economia dinamica ovvero quella statunitense, contro un'economia più statica.
La dinamicità è a nostro avviso funzione della capacità di risposta a fonte di eventuali stimoli di tipo fiscale e/o monetario, oltre che del potenziale di crescita a medio termine.
L'Europa negli ultimi anni ha fatto passi giganteschi migliorando (rimane fuori forse quasi solo l'Italia...) la produttività, strutturalmente inferiore a quella statunitense.
Inoltre la componente emergente dell' Europa dell'Est, non solo abbassa l'età media, ma aumenta anche il potenziale di crescita.
Tutto questo a nostro avviso non basta ad avvicinare le due economie che come si desume dal grafico successivo, nelle le fasi di mercato degli ultimi 10 anni hanno avuto un andamento sensibilmente differente.

 

La linea gialla del PIL statunitense mostra una maggiore reattività sia nelle fasi di picco che di rallentamento del ciclo economico.
Questo vuol dire che c'è un potenziale di crescita maggiore in piena occupazione dei fattori produttivi da un lato, che si reagisce tempestivamente alle politiche fiscali e monetarie dall'altro.
Un fattore determinante è la politica monetaria, espansiva negli Stati Uniti, neutrale in Europa.
Anzi il credit crunch nei mesi scorsi (tassi interbancari sensibilmente superiori a quelli ufficiali) ha paradossalmente colpito di più l'Area Euro rispetto agli Stati Uniti.
Tassi in discesa aiutano il mercato immobiliare, le famiglie indebitate, favoriscono gli investimenti. Seminando i semi per una successiva ripresa del ciclo.
Questo è il motivo, insieme alla ricerca di rendimenti assoluti e a fronte di rendimenti dei tassi a breve in discesa, per cui storicamente gli indici azionari salgono a fronte di politiche monetarie accomodanti.
Analogo discorso si può fare per la politica fiscale.
L'Europa al momento è ancora concentrata a contenere il deficit, gli Stati Uniti stanno avviando un ambizioso piano di stimoli e di aiuti alle famiglie.
Il piano potrà anche successivamente causare rischi inflazionistici, ma a breve ha l'obiettivo di sostenere il Pil ed evitare, o almeno attutire, una recessione.
Detta in breve, il rischio vero è che l'Europa nel momento in cui dovesse davvero rallentare, sarebbe più lenta a ripartire e potrebbe necessitare di diversi trimestri per ritornare a crescere. Rischiando seriamente la stagnazione, come si era temuto solo fino al 2005.

Un'altra variabile enormemente favorevole agli indici statunitensi è il dollaro.
Da un lato perché un dollaro debole aiuta l'export (la bilancia commerciale è sensibilmente migliorata negli ultimi trimestri), oltre a generare afflussi di capitali dal turismo e dagli acquirenti di attività reali (soprattutto immobili ed aziende).
Al contrario la valuta forte, insieme a tassi di interesse elevati, potrebbe ulteriormente frenare la congiuntura europea, che soffrirebbe non poco nel momento in cui l'export dovesse strutturalmente ridursi.
Dall'altro perché l'investitore dell'area euro che negli ultimi anni è stato penalizzato dagli investimenti in dollari, prima o poi tornerà a guadagnarci.
Non sappiamo se il minimo del cambio sarà 1,5, 1,55 o addirittura 1,6, ma riteniamo che il punto di inversione del trend non sia lontano, considerando che si stanno concretizzando i timori di un rallentamento anche nell'area Euro.

Infine l'ultimo punto da sottolineare, e non meno importante in ottica di investimento, sono i multipli delle 2 aree geografiche.

Utilizzando le stime forward che includono un miglioramento dei settori con le maggiori revisioni al ribasso, soprattutto per il 2009, otteniamo un ulteriore avvicinamento dei multipli.
Tenendo conto che i multipli degli Stati Uniti sono sempre stati a premio (anche del 30%) su quelli europei, riteniamo che tale differenza, nel momento in cui l'economia statunitense dovesse ripartire, dovrebbe riallargarsi.
Soprattutto nel momento in cui il dollaro dovesse effettivamente invertire il trend ribassista.
Esiste ovviamente il rischio che il calo del mercato immobiliare (storicamente più sopravvalutato negli Stati Uniti rispetto all'Area Euro) possa ulteriormente danneggiare la congiuntura statunitense, ma riteniamo che nel complesso il downside sulla crescita, in proporzione, nel medio periodo sia maggiore negli Stati Uniti che in Europa.
Riassumiamo alcuni dei punti principali per cui a nostro avviso dal 2008 gli indici azionari statunitensi dovrebbero performare meglio degli indici dell'Area Euro:

•1)       l'economia statunitense è più dinamica e reattiva

•2)       la politica monetaria è accomodante negli Stati Uniti, neutra in Europa

•3)       la politica fiscale è espansiva negli Stati Uniti, neutra in Europa

•4)       Il dollaro debole aiuta l'economia statunitense, l'euro forte danneggia l'economia europea

•5)       L'investitore dell'Area Euro potrebbe tornare a puntare strutturalmente sul dollaro

•6)       I multipli degli Stati Uniti sulle stime del 2009 dovrebbero essere quasi pari a quelli dell'Eurostoxx, contro un premio medio anche del 30% negli ultimi anni

a cura di JC&Associati
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