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Pronti per il boom del 2013?

La chiave di volta è la fiducia: non appena ci sarà un po’ più di fiducia da parte delle imprese e dei consumatori, le cose riprenderanno a muoversi

di Redazione Soldionline 24 set 2012 ore 14:18

Articolo a cura  Chris IGGO, Chief Investment Officer

Mi sto facendo l’idea che siano presenti tutte le condizioni necessarie per una significativa ripresa dell’attività economica globale ed un movimento corrispondente dei mercati azionari verso nuovi picchi nel 2013. Non è perché prevedo la risoluzione di tutte le problematiche del debito in Europa, o perché ritengo si aprirà una nuova era di crescita del credito o ancora che le famiglie beneficeranno di un rinnovato aumento dei prezzi immobiliari. Penso sia semplicemente perché le politiche reflazionistiche ad alto numero di ottano seguite dalle banche centrali hanno
il potenziale per sostenere la crescita del PIL nominale. La repressione finanziaria sta spingendo verso tassi d’interesse reali negativi sia dal punto di vista del credito che naturalmente della purea duration, facendo salire il costo-opportunità per le imprese di lasciare una parte consistente dei bilanci sotto forma di liquidità. I venti contrari sono forti e li conosciamo perfettamente – irrigidimento fiscale, riduzione della leva, cambio delle normative – ma non saranno lì in eterno. La chiave di volta è la fiducia: non appena ci sarà un po’ più di fiducia da parte delle imprese e dei consumatori, le cose riprenderanno a muoversi.

Il mio QE è più grande del tuo. Ben Bernanke ha superato Mario Draghi con l’annuncio di un terzo allentamento quantitativo. Non sorprende, poiché la Fed può essere, ed è sempre più probabile che sia più colomba quando lo ritiene necessario. La BCE sta affrontando una crisi del credito fiscale, mentre la Fed fa i conti con un incompleto raggiungimento degli obiettivi del suo mandato. Sta quindi per ampliare ancora il proprio bilancio. Il credito di riserva delle banche (il denaro che la Fed crea per acquistare i titoli) ammonta a quasi 3trnUSD, cioè il 20% del PIL USA. La cifra è destinata a salire con l’annuncio dell’acquisto di 40mldUSD di titoli MBS al mese e il reinvestimento di cedole e rimborsi sul mercato. La Fed ha affermato che avrebbe usato altri strumenti – l’acquisto di un numero maggiore di Treasury – se necessario. Una enorme potenza di fuoco per il sistema di credito statunitense ma, fattore più importante, l’acquisto di titoli manterrà bassi per molto tempo i costi del credito di lungo termine. I rendimenti a 10 anni dei titoli di Stato USA sono già inferiori al tasso d’inflazione attuale (per il quale è probabile un aumento) e anche i costi del credito reale sulle obbligazioni corporate e quelle MBS sono in calo. La diminuzione dei tassi risk-free e dei costi di finanziamento bancario dovrebbero consentire un calo dei tassi sui prestiti, anche se le banche fanno di tutto per mantenere i margini. Ci sarà quindi un impatto positivo sull’offerta del credito. In caso di ripresa della domanda del credito, le cose miglioreranno ulteriormente.

Alla ricerca di rendimento e di effetto ricchezza. Gli investitori posseggono molto denaro. Sui mercati obbligazionari corporate europei si è riversata una quantità enorme di emissioni questo mese e la maggior parte ha ricevuto un’ottima accoglienza, con le richieste generalmente multiple rispetto alle dimensioni dell’emissione. Ciò si osserva anche nel debito dei mercati emergenti, in cui ad esempio un’emissione sovrana dello Zambia ha attirato
interesse per 11mldUSD ed è salita di 3,5 punti il giorno stesso dell’emissione. Gli investitori non acquistano titoli di Stato dei Paesi core perché il rendimento è molto basso e anche le banche che sono state tra i maggiori acquirenti per motivi di liquidità sembrano meno inclini a detenere posizioni ragguardevoli nei titoli di Stato. Dall’annuncio della BCE, l’acquisto euforico del debito periferico in Europa lascia intuire che ci sia stato un netto cambiamento nella percezione del rischio e che il movimento sia correlato all’esigenza di acquistare attivi con rendimenti reali positivi. I mercati azionari dovrebbero trarre vantaggio dal calo dei potenziali rendimenti sugli attivi a reddito fisso e dalla valutazione degli ipotetici benefici della politica reflazionistica. Quanto si sta verificando e la diminuzione dei tail risk – una rottura dell’euro e un episodio deflazionistico– renderanno più allettanti i mercati azionari anche se il contesto
macro e il ciclo degli utili potrebbero continuare a dimostrarsi deludenti.


Il settore corporate è determinante. La ripresa economica non nasce dall’espansione del bilancio della Fed o dai programmi di finanziamento al credito della Banca d’Inghilterra o ancora dal finanziamento dei deficit spagnoli da parte della BCE in Europa. La ripresa avverrà quando le imprese assisteranno finalmente ad un aumento della domanda di beni e servizi e quando decideranno che è necessario essere in una posizione forte per beneficiare di eventuali
aumenti della domanda o acquistando quote di mercato o incrementando il loro potenziale output. In altre parole, la ripresa economica accelererà quando le imprese incrementeranno le spese in conto capitale e le assunzioni, poiché ciò genererà una crescita di occupazione, redditi e spese. E’ già da diverso tempo che il settore corporate aggregato registra un surplus finanziario, incamerando enormi quantità di denaro. Si è trattato infatti di una delle ragioni
principali per cui sono stato così ottimista sul credito corporate, nonostante il difficile contesto macro-politico. Quindi, che cosa spingerà le imprese a spostarsi verso strategie maggiormente orientate alla crescita? Forse, l’aumento dei prezzi dei titoli poiché la dirigenza aziendale dovrà iniziare a giustificare le aspettative degli investitori. Anche un contesto macro più stabile sarebbe d’aiuto.

Attenzione allo “sparring partner” sui mercati valutari. Il dollaro si è indebolito in risposta alla Fed. Molti orsi euro saranno stati colti impreparati dal capovolgimento delle ultime settimane. Se il dollaro scende, i prezzi in dollari per le commodity salgono. Anche sui mercati emergenti sale la pressione. E’ quindi probabile che assisteremo a politiche interventiste in tutto il mondo nei prossimi mesi, per evitare eccessivi rialzi valutari nelle economie che vogliono
beneficiare di un’eventuale ripresa del ciclo commerciale mondiale. Gli interventi provocano un’espansione monetaria, incrementando il potenziale di accelerazione di crescita e inflazione. Secondo dati rilasciati dall’FMI, le riserve delle banche centrali stanno crescendo ad un ritmo di circa il 10% y/y nell’ultimo anno. Tuttavia, durante la prima fase di allentamento quantitativo negli USA, la crescita delle riserve ha accelerato ad un ritmo del 20% e i prezzi delle commodity sono saliti a livello globale. Prevedo che il fenomeno si ripeta. Agli USA non importa, ma nessun altro vuole un dollaro debole. Bene, non è proprio così. Coloro che investono nei mercati emergenti vogliono che le valute di questi mercati salgano, e se si ritiene che il dollaro stia attraversando un trend debole, allora dovremmo assistere ad un aumento degli afflussi nei mercati emergenti (in effetti sta già accadendo). Questo pone ulteriore pressione rialzista sulle valute e sulle autorità.

Reflazione significa inflazione. La Fed e la Banca d’Inghilterra, oltre alla BCE, sanno che ottenere una crescita del PIL reale è difficile, a meno che non si verifichi un aumento dell’occupazione e delle spese in conto capitale, oltre che della produttività. Per cui, l’obiettivo intermedio deve essere una maggiore crescita del PIL nominale – una crescita sufficientemente più alta rispetto agli attuali costi del credito da contribuire insieme alla “sistemazione” dei bilanci e ad incoraggiare le spese. Se i consumatori cominciassero a prevedere i prezzi più elevati in futuro, potrebbero iniziare a spendere oggi. Se le imprese vedessero una maggiore capacità di determinazione dei prezzi, potrebbero accumulare maggiori capacità per vendere di più. E’ probabile che gli investitori acquistino attivi a più alto rendimento quando, e se, l’inflazione è in rialzo. In realtà, non c’è nemmeno bisogno che l’inflazione salga e ci sono forti ragioni economiche sul perché non dovrebbe, ma un cambiamento delle attese d’inflazione potrebbe essere sufficiente. Come investitore, so che il denaro che finisce sul mercato oggi può ottenere un rendimento reale solo se è in qualche modo protetto dall’inflazione (obbligazioni inflation linked e high yield anziché titoli di Stato nominali o high grade corporate) o riguarda un attivo “reale”, come ad esempio le azioni corporate, le commodity e l’immobiliare.

Non combattere la Fed. E’ una frase che ho sentito a fasi alterne per anni. E’ sempre stato il consiglio giusto? Non ne sono certo. Ma questa volta è diverso. La Fed fa sul serio e sta sostituendo gli attivi a basso rendimento con liquidità in quantità ingenti. A meno che gli investitori vogliano continuare a restare seduti sulla liquidità, quest’ultima sarà utilizzata per spingere al rialzo i mercati e al ribasso gli spread e ci sarà un impatto positivo sull’economia reale. Quindi, per il futuro, prevedo ancora tempi duri in Europa. In molti sono preoccupati dalla mancata ripresa del mercato immobiliare e dall’aumento della disoccupazione strutturale. Ritengo che l’irrigidimento fiscale si protrarrà per altri 2-3 anni. Ma penso anche ci siano aspetti più positivi da considerare. Forse il 5° anniversario dall’inizio della crisi finanziaria ne segnerà anche la fine. Avanti 2013!

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