Petrolio e inflazione: un’analisi della correlazione e dei possibili scenari futuri.
di La redazione di Soldionline 20 ott 2005 ore 10:43![]() |
I timori in particolare sono legati al fatto che il rialzo del petrolio sta ovviamente facendo salire l'indice generale dei prezzi (CPI) sia in USA che in Europa, questo a sua volta sta innescando aspettative di maggiori rialzi dei tassi da parte delle Banche Centrali (rispetto alle aspettative), con conseguenze negative per tutti i mercati finanziari sia azionari che obbligazionari.
Ci sembra quindi un momento opportuno per approfondire la relazione tra prezzo del petrolio e inflazione.
Il grafico seguente confronta l'andamento del greggio (scala destra) con gli indici CPI di Europa e USA (scala sinistra).

Ovviamente stiamo confrontando il prezzo di un bene che è espresso in Dollari con un indice calcolato in termini di incrementi percentuali annuali, tuttavia la correlazione ci sembra evidente.
Nelle fasi di discesa del petrolio (1996 - 1999 e 2000 - 2002) gli indici sui prezzi hanno registrato incrementi percentuali decrescenti; viceversa nelle fasi di salita del petrolio (1999 - 2000 e 2003 - oggi) gli indici sui prezzi hanno registrato incrementi percentuali crescenti.
E' quindi corretto concludere che il prezzo del petrolio è fondamentale per determinare il tasso di inflazione. Su base statistica, negli ultimi 10 anni ogni aumento del 10% del prezzo del petrolio ha comportato un aumento del tasso di inflazione in Europa e USA di circa lo 0,12%.
Se però valutiamo l'andamento dei prezzi senza la componente di energia, il cosiddetto 'CPI core', le conclusioni sono abbastanza differenti.
Riproponiamo qui sotto il grafico precedente, ma invece di considerare l'aumento dei prezzi generale, consideriamo il dato che scorpora i prezzi del petrolio e di altre materie prime.

Come si può facilmente notare il legame tra prezzo del greggio e inflazione 'core' è assai meno evidente, in particolare negli ultimi due anni l'aumento del petrolio non sembra aver minimamente influenzato gli indici 'CPI core' (a livello statistico il prezzo del petrolio e gli indici CPI Core sono addirittura correlati negativamente).
Questo è a nostro parere un elemento importante perché di fatto segnala che Europa e USA non stanno 'producendo' inflazione ma solo importandola.
Ciò assume una rilevanza fondamentale, in quanto i banchieri centrali sono soprattutto molto più preoccupati dall'inflazione 'prodotta' rispetto a quella 'importata', per due motivi principali:
- l'inflazione 'prodotta' è normalmente molto più 'tenace' e difficile da contenere nel medio periodo rispetto a quella 'importata';
- nei confronti dell'inflazione 'importata' i banchieri centrali non hanno di fatto nessun strumento per contenerla (un aumento dei tassi non ha alcun effetto diretto sul prezzo delle materie prime).
Alla luce di quanto precede proviamo a rispondere a due quesiti che ci sembrano fondamentali:
- dopo il recente aumento del prezzo del petrolio, quanta inflazione ci dobbiamo attendere nel prossimo futuro?
- Quali possono essere le conseguenze dell'aumento dell'inflazione sul comportamento delle Banche Centrali e quindi sull'economia e i mercati finanziari?
Relativamente al primo quesito: da metà 2003 il prezzo del petrolio è passato da 25 a 65 USD (+260%), nel contempo l'inflazione in USA è passata da +2,2% a +4,7%, in Europa da 2,2% a 2,5%.
Se quindi in USA gli effetti del caro petrolio sui prezzi sembrano in buona parte già scontati, in Europa l'effetto è stato per il momento molto più contenuto. Il motivo è legato sia ad una maggiore lentezza nel processo di trasferimento del caro petrolio sui prezzi dei prodotti finali, sia ad un livello più basso dell'inflazione 'core'.
Tutto considerato, se il prezzo del petrolio dovesse rimanere stabilmente ai livelli attuali, in USA potremmo essere già vicini al 'picco' dell'inflazione, mentre in Europa è probabile che il tasso di aumento dei prezzi salga progressivamente per diversi mesi avvicinandosi al 3% annuo.
Venendo al secondo quesito: sarà a nostro avviso fondamentale il comportamento degli indici 'core'; se non ci saranno aumenti significativi dell'indice dei prezzi al netto delle materie prime, la politica monetaria continuerà ad essere accomodante in Europa (con tassi di riferimento fermi al 2%) e moderata in USA (con tassi di riferimento che si fermeranno al 4,50%). In questo scenario i tassi a medio-lunga scadenza non subiranno aumenti eccessivi.
Se invece ci sarà un effetto 'travaso' dai prodotti petroliferi a tutto il resto e anche il 'CPI core' comincerà a crescere, lo scenario per i tassi di interesse muterà radicalmente, con significativi aumenti sia dei tassi di riferimento che dei tassi a medio-lunga scadenza.
In conclusione, per valutare le prospettive del mercato obbligazionario dei prossimi 6-12 mesi sarà fondamentale osservare non tanto l'indice CPI generale, quanto quello 'core'; se i due continueranno a divergere, forti correzioni dei bond potranno rappresentare opportunità di investimento, se viceversa il CPI 'core' comincerà a seguire a rialzo quello generale, saranno possibili forti aumenti dei tassi e quindi un crollo delle quotazioni dei Bond a medio-lunga scadenza.
Data la situazione economica, almeno in Europa restiamo comunque del parere che sia improbabile un'impennata dell'inflazione 'core'; dei due scenari precedenti quindi propendiamo per quello meno pessimista per il mercato obbligazionario.
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