Parliamo dei Paesi Emergenti - quinta parte
A partire da questa puntata dello speciale sul debito emergente, cercheremo di valutare gli eventi analizzati nelle puntate precedenti e di estrapolare dalle vicende storiche alcuni concetti chiave per la comprensione dei fenomeni economici dei paesi emergenti. Incominciamo con il Contagio.
di Redazione GirlPower 18 mag 2007 ore 10:54
Il contagio, nella ricerca macroeconomica e nel suo significato più generale, è la diffusione di una crisi o di un evento negativo da un mercato ad un altro o da un paese ad un altro, visibile attraverso il movimento congiunto di variabili finanziarie ed economiche.
La trasmissione della crisi può avvenire per l'effetto di variabili:
-reali (ad esempio, l'effetto della crisi economica di un paese può seriamente compromettere le esportazioni di un altro paese e provocare una crisi anche in quello)
-finanziarie (ad esempio, la crisi di una banca finanziatrice può rendere più difficile il credito a più paesi)
-legate alla percezione del rischio senza particolare riferimento alla situazione di un dato mercato o paese (per qualche motivo gli investitori richiedono una maggiore remunerazione dagli investimenti senza particolare attenzione alle variabili economiche fondamentali di un paese o di un comparto).
Per essere utile, la definizione di un concetto deve essere abbastanza circoscritta da non inglobare troppi fenomeni. La definizione più classica (quella sopra-menzionata) ricomprende, a mio parere, troppi eventi. Mi sembra più utile, specialmente in una trattazione afferente i paesi emergenti, focalizzarci sul secondo e terzo significato di contagio, quell'effetto domino che velocemente spinge alle corde tutti i paesi, perché interviene qualche evento sui mercati finanziari o, semplicemente, muta la percezione del rischio da parte degli investitori.
In questa accezione, non si tratta di un semplice nesso di causa-effetto o di interdipendenza, ma di un fenomeno generalizzato che influenza, più che i reali dati economici, la percezione che gli investitori hanno del rischio finanziario. Quando questo fenomeno si verifica nei paesi emergenti si manifesta ancora più celermente rispetto a quanto accade nei paesi sviluppati.
Alcune situazioni che abbiamo chiariscono bene i diversi aspetti del concetto.
Quando i paesi latino-americani guadagnarono l'indipendenza, negli anni '20 del 800, trovarono banchieri e governi disposti a prestare loro capitali sotto forma di obbligazioni; questi prestatori di fondi però, sopravalutarono le possibilità che questi paesi potessero onorare il loro debito e remunerarlo periodicamente attraverso il pagamento delle cedole. Accadde così che, dopo pochi anni dall'emissione delle obbligazioni (dal 1822 in avanti), iniziassero le dichiarazioni di insolvenza (1826-1827).
Il primo default avvenne nel 1826 in Perù ed a catena defaultarono il Cile ed il Venezuela; nel 1827 fu la volta di Argentina e Messico.
A prima vista, appare singolare che tutti questi paesi si accorgano quasi contemporaneamente dell'impossibilità di sostenere il proprio debito; anzi, ancora più difficile da credere è che tutti questi paesi simultaneamente presentino delle situazioni politico-economiche talmente gravi da dovere dichiarare lo stato di Default.
Quindi, una considerazione plausibile è che questa prima ondata di default si manifestò sottoforma di contagio, nel quale il default del Perù agì da fattore di innesco. Improvvisamente, dopo quel default, gli investitori capirono in quali rischi fossero incorsi e chiusero i rubinetti del credito, svendendo le obbligazioni e facendo impennare i rendimenti; senza nuovo credito disponibile, tutti gli altri paesi divennero insolventi.
Accade spesso che una crisi interna ad un singolo paese faccia venir meno la fiducia da parte degli investitori, i quali volendo uscire dall'investimento tenderanno a vendere i propri titoli. Purtroppo, quando questi fenomeni accadono nei paesi emergenti, moltissimi investitori cercano di liquidare i propri bond a 'rischio' default, mettendo in vendita gigantesche quantità di obbligazioni senza che nessuno sul mercato sia disposto ad acquistarle; questo fatto provoca un collasso del prezzo di questi titoli che verranno trattati a prezzi stracciati, facendo schizzare alle stelle i tassi di rendimento del debito.
In queste condizioni di mercato (rendimenti altissimi, pochissimi acquirenti di titoli e montagne di obbligazioni in vendita), il paese vittima dello shock non riesce più ad emettere nuove obbligazioni per due motivi: da un lato sarebbe 'obbligato' a pagare tassi di remunerazione del debito elevatissimi (condizione insostenibile per un'economia in crisi) e, dall'altro, risulterebbe difficilissimo, se non impossibile, trovare investitori disposti ad acquistare questi titoli sopportando un rischio così elevato. Per questo motivo, il nascere di una crisi prosciuga il pozzo dei finanziamenti. In generale, sia i piccoli che i grandi investitori all'inizio di una crisi tendono a spostare i loro capitali verso investimenti meno rischiosi (generando la 'corsa verso la qualità', in inglese 'flight-to-quality') generando così un effetto domino che porta spesso i paesi più deboli a dichiarare il default.

Altri casi significativi di contagio sono quelli che si sono verificati negli anni '90. La 'Tequila Crisis' Messicana del 1995 nacque dalla cattiva strutturazione del debito messicano che portò il paese a dovere rimborsare in un breve lasso di tempo circa 30 miliardi di $ di prestiti giunti a scadenza, in una fase economica di piena crisi. I prestatori di fondi preferirono non rifinanziare il debito messicano, credendo quest'operazione troppo rischiosa e valutando la possibilità non remota che lo stato centroamericano potesse defaultare da un momento all'altro, nonostante un nuovo apporto di finanze. Questa fase è rappresentata nella figura precedente dal picco dello spread in corrispondenza del 1995, in quanto gli investitori vollero vendere i propri bond emergenti perché ritenuti troppo rischiosi, preferendo svendere a prezzi molto bassi (offrendo, pertanto, all'acquirente rendimenti altissimi) piuttosto che mantenerli in portafoglio. Una crisi nata in Messico aveva avuto l'effetto di congelare l'intero comparto emergente.
Perché dopo il raggiungimento del picco, lo spread ritornò in breve tempo a livelli molto più bassi? Il crollo dei rendimenti è da attribuirsi all'intervento in prima persona degli USA che in concerto con il Fondo Monetario Internazionale, la World Bank, ed in misura minore la Banca dei regolamenti internazionali, misero a disposizione del Messico un fondo di circa 52 miliardi di per permettergli di superare la fase momentanea di crisi; la condizione posta fu che lo stato centroamericano continuasse ad adoperarsi per sviluppare le riforme economiche previste dal Washington Consensus. In questo modo la crisi svanì, e nel giro di 2 anni lo spread ritornò su livelli più bassi rispetto ai quelli pre-'Tequila Crisis'.
Si è visto come, la 'Tequila Crisis' fosse un problema strettamente legato alla salute del debito Messicano e come questa abbia colpito anche il debito di paesi emergenti totalmente estranei a questi avvenimenti. Il calo di credibilità che colpì il Messico nel 1995 si riflesse incondizionatamente anche sugli altri paesi in via di sviluppo, causando una corsa incondizionata alla vendita di tutti i bond emergenti.
Il periodo tra il 1996 e l'inizio del 1997 venne contraddistinto da spread bassi e da abbondante liquidità sul mercato; in queste condizioni i paesi emergenti riuscirono a finanziarsi 'relativamente' a buon mercato, ma a metà del 1997 si verifico la 'Crisi Asiatica' derivante dalle gravi difficoltà economiche che attanagliavano alcuni paesi del sud est asiatico.
In questo frangente stati come Tailandia, Corea e Malaysia, per evitare il collasso economico lasciarono fluttuare liberamente sul mercato le loro valute (abbandonando di fatto un regime di cambi amministrati e controllati), provocando una forte svalutazione delle loro divise. La crisi si sviluppò esclusivamente in Asia e, sebbene fosse stata molto acuta, non comportò fortissimi contagi nelle economie degli altri paesi emergenti.
Un discorso totalmente diverso da quelli precedenti è quello che riguarda la crisi Russa del 1998. Qui non si tratta più tanto di un crisi interna al comparto emergente, quanto di una crisi finanziaria generalizzata che tocca tutti i mercati finanziari.
Nell'aprile del 1998 lo stato Russo si trovò invischiato in enormi difficoltà politico-economiche tra le quali ricordiamo: un pesantissimo debito domestico, l'iperinflazione, il Rublo che iniziava a svalutarsi abbandonando definitivamente il legame con il $ e le istituzioni politiche in difficoltà.
In questo periodo, la Russia decise di non onorare più il suo debito domestico, diventato oramai insostenibile. Moltissimi investitori si ritrovarono in mano carta straccia. Tra questi compariva il fondo hedge americano LTCM, il quale veniva considerato dagli esperti del tempo uno fondo quasi infallibile (si pensi che molte Banche Centrali, attirate dalla presenza tra i soci fondatori di premi Nobel e noti trader, investirono una piccola parte delle proprie risorse in questo fondo).
Il fondo, oltre che operare in Russia, investiva anche in obbligazioni a livello globale (di stati sia sviluppati che emergenti) e basava la propria tattica di investimento sul principio della 'Mean Reversion', ossia investiva in titoli che erano sottovalutati rispetto alla loro media storica, in vista di un probabile ritorno di questi sui loro livelli medi. La crisi Russa minò i principi della 'Mean Reversion'; infatti, in questo periodo di crisi, i valori di parecchie attività finanziarie, invece di ritornare velocemente sui loro livelli medi (come ipotizzato dai gestori del fondo) proseguirono il loro corso lontano dai livelli 'ordinari', generando enormi perdite per l'hedge fund e costringendolo a liquidare le proprie posizioni in perdita. Il fondo, ad un certo punto, non riuscì più a sostenere questa situazione. Si scoprì che, a fronte dei circa 5 miliardi di $ sottoscritti, il fondo muoveva una massa 30 volte maggiore, grazie alle risorse che riusciva a prendere a prestito dalle banche statunitensi.
La situazione incominciò a diventare preoccupante, quando le banche si accorsero delle difficoltà incontrate e chiesero il rimborso dei prestiti.
Il fondo, in evidente crisi, avrebbe dovuto vendere sul mercato i titoli in portafoglio per far fronte ai propri debiti, con il conseguente ed ulteriore deprezzamento dei titoli in posizione e il peggioramento della crisi finanziaria che oramai era in atto. Grazie ad una gestione oculata della situazione, la banca centrale americana approvò un piano di crisi che prevedeva di non liquidare in un'unica soluzione l'intero attivo del fondo, ma di diluire nel tempo le vendite, in modo tale da non creare panico sul mercato. La situazione si normalizzò nel giro di 1 anno.
Nel periodo culminante della crisi vi furono pesanti oscillazioni del valore dei titoli di stato; in particolare, i titoli di debito dei paesi emergenti venivano trattati ad un livello molto simile a quelli del debito Russo (al 30%-40% del nominale), senza che la crisi russa, in pratica, avesse avuto delle ripercussioni oggettive sulla salute dei paesi emergenti; si può dire che il contagio partito dalla Russia attaccò il debito emergente tramite la crisi di fiducia che aveva colpito il mercato finanziario. Gli investitori, vista la fibrillazione dei mercati finanziari, decisero di salvaguardare i loro portafogli mediante la liquidazione delle posizioni più rischiose e l'investimento in strumenti a rischio nullo (ricordate il fenomeno del 'flight-to-quality'?). Il principale perdente fu il debito emergente.
Un altro esempio di come il contagio possa essere originato da fenomeni relativamente estranei ai mercati emergenti è quello che ci arriva dall'attentato terroristico dell'11 settembre 2001.
La crisi non partì da un paese emergente, ma da un aumento della volatilità sui mercati azionari internazionali conseguente all'attentato.

Dalla figura soprastante si nota come, nel periodo successivo all'11 settembre 2001, aumenti in modo vertiginoso la volatilità implicita delle opzioni su azioni americane. La volatilità esprime l'opinione sui possibili cambiamenti di prezzo delle azioni in un dato intervallo di tempo. Ad una volatilità alta, corrisponde una maggiore probabilità di ampie fluttuazioni dei prezzi. In questo senso,, la volatilità è sinonimo di rischio percepito.
Dopo l'attacco alle Torre Gemelle, i mercati finanziari subirono un vero e proprio attacco di panico caratterizzato da enormi ribassi (molti mercati rimasero chiusi per legge alcuni giorni), che amplificarono il trend negativo già in atto dalla fine del 2000. Il punto fondamentale da sottolineare è come, in questo periodo, cresca a dismisura la volatilità sui mercati e come il rendimento del debito dei paesi emergenti segua in modo quasi identico l'andamento della volatilità sul mercato azionario.
Questo andamento congiunto della rischiosità percepita sui mercati azionari e dello spread dei paesi emergenti è spiegabile col fatto che, in una fase di aumento della percezione del rischio (volatilità), tutte le attività divengono più rischiose; in modo particolare, i titoli di per sé già rischiosi (debito emergente) tendono ad essere percepiti come ancora più rischiosi, con conseguente rialzo dei rendimenti. Ma non è solo nel momento della crisi del settembre 2001 che volatilità dei mercati azionari e rischio paese emergente (espresso come differenziale di rendimento tra bond emergenti e debito statunitense) si muovono insieme: una decisa correlazione positiva tra le due variabili è individuabile in tutto il periodo di riferimento, anche senza troppe nozioni di statistica. Shock improvvisi che facciano rialzare la volatilità dei mercati azionari, di solito, hanno evidenti conseguenze anche sul debito dei paesi meno sviluppati.
La fonte citata come LWD è: Borensztein, Levy Yeyati, Panizza. 2006. Living with Debt. Inter American Development Bank.
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-reali (ad esempio, l'effetto della crisi economica di un paese può seriamente compromettere le esportazioni di un altro paese e provocare una crisi anche in quello)
-finanziarie (ad esempio, la crisi di una banca finanziatrice può rendere più difficile il credito a più paesi)
-legate alla percezione del rischio senza particolare riferimento alla situazione di un dato mercato o paese (per qualche motivo gli investitori richiedono una maggiore remunerazione dagli investimenti senza particolare attenzione alle variabili economiche fondamentali di un paese o di un comparto).
Per essere utile, la definizione di un concetto deve essere abbastanza circoscritta da non inglobare troppi fenomeni. La definizione più classica (quella sopra-menzionata) ricomprende, a mio parere, troppi eventi. Mi sembra più utile, specialmente in una trattazione afferente i paesi emergenti, focalizzarci sul secondo e terzo significato di contagio, quell'effetto domino che velocemente spinge alle corde tutti i paesi, perché interviene qualche evento sui mercati finanziari o, semplicemente, muta la percezione del rischio da parte degli investitori.
In questa accezione, non si tratta di un semplice nesso di causa-effetto o di interdipendenza, ma di un fenomeno generalizzato che influenza, più che i reali dati economici, la percezione che gli investitori hanno del rischio finanziario. Quando questo fenomeno si verifica nei paesi emergenti si manifesta ancora più celermente rispetto a quanto accade nei paesi sviluppati.
Alcune situazioni che abbiamo chiariscono bene i diversi aspetti del concetto.
Quando i paesi latino-americani guadagnarono l'indipendenza, negli anni '20 del 800, trovarono banchieri e governi disposti a prestare loro capitali sotto forma di obbligazioni; questi prestatori di fondi però, sopravalutarono le possibilità che questi paesi potessero onorare il loro debito e remunerarlo periodicamente attraverso il pagamento delle cedole. Accadde così che, dopo pochi anni dall'emissione delle obbligazioni (dal 1822 in avanti), iniziassero le dichiarazioni di insolvenza (1826-1827).
Il primo default avvenne nel 1826 in Perù ed a catena defaultarono il Cile ed il Venezuela; nel 1827 fu la volta di Argentina e Messico.
A prima vista, appare singolare che tutti questi paesi si accorgano quasi contemporaneamente dell'impossibilità di sostenere il proprio debito; anzi, ancora più difficile da credere è che tutti questi paesi simultaneamente presentino delle situazioni politico-economiche talmente gravi da dovere dichiarare lo stato di Default.
Quindi, una considerazione plausibile è che questa prima ondata di default si manifestò sottoforma di contagio, nel quale il default del Perù agì da fattore di innesco. Improvvisamente, dopo quel default, gli investitori capirono in quali rischi fossero incorsi e chiusero i rubinetti del credito, svendendo le obbligazioni e facendo impennare i rendimenti; senza nuovo credito disponibile, tutti gli altri paesi divennero insolventi.
Accade spesso che una crisi interna ad un singolo paese faccia venir meno la fiducia da parte degli investitori, i quali volendo uscire dall'investimento tenderanno a vendere i propri titoli. Purtroppo, quando questi fenomeni accadono nei paesi emergenti, moltissimi investitori cercano di liquidare i propri bond a 'rischio' default, mettendo in vendita gigantesche quantità di obbligazioni senza che nessuno sul mercato sia disposto ad acquistarle; questo fatto provoca un collasso del prezzo di questi titoli che verranno trattati a prezzi stracciati, facendo schizzare alle stelle i tassi di rendimento del debito.
In queste condizioni di mercato (rendimenti altissimi, pochissimi acquirenti di titoli e montagne di obbligazioni in vendita), il paese vittima dello shock non riesce più ad emettere nuove obbligazioni per due motivi: da un lato sarebbe 'obbligato' a pagare tassi di remunerazione del debito elevatissimi (condizione insostenibile per un'economia in crisi) e, dall'altro, risulterebbe difficilissimo, se non impossibile, trovare investitori disposti ad acquistare questi titoli sopportando un rischio così elevato. Per questo motivo, il nascere di una crisi prosciuga il pozzo dei finanziamenti. In generale, sia i piccoli che i grandi investitori all'inizio di una crisi tendono a spostare i loro capitali verso investimenti meno rischiosi (generando la 'corsa verso la qualità', in inglese 'flight-to-quality') generando così un effetto domino che porta spesso i paesi più deboli a dichiarare il default.

Altri casi significativi di contagio sono quelli che si sono verificati negli anni '90. La 'Tequila Crisis' Messicana del 1995 nacque dalla cattiva strutturazione del debito messicano che portò il paese a dovere rimborsare in un breve lasso di tempo circa 30 miliardi di $ di prestiti giunti a scadenza, in una fase economica di piena crisi. I prestatori di fondi preferirono non rifinanziare il debito messicano, credendo quest'operazione troppo rischiosa e valutando la possibilità non remota che lo stato centroamericano potesse defaultare da un momento all'altro, nonostante un nuovo apporto di finanze. Questa fase è rappresentata nella figura precedente dal picco dello spread in corrispondenza del 1995, in quanto gli investitori vollero vendere i propri bond emergenti perché ritenuti troppo rischiosi, preferendo svendere a prezzi molto bassi (offrendo, pertanto, all'acquirente rendimenti altissimi) piuttosto che mantenerli in portafoglio. Una crisi nata in Messico aveva avuto l'effetto di congelare l'intero comparto emergente.
Perché dopo il raggiungimento del picco, lo spread ritornò in breve tempo a livelli molto più bassi? Il crollo dei rendimenti è da attribuirsi all'intervento in prima persona degli USA che in concerto con il Fondo Monetario Internazionale, la World Bank, ed in misura minore la Banca dei regolamenti internazionali, misero a disposizione del Messico un fondo di circa 52 miliardi di per permettergli di superare la fase momentanea di crisi; la condizione posta fu che lo stato centroamericano continuasse ad adoperarsi per sviluppare le riforme economiche previste dal Washington Consensus. In questo modo la crisi svanì, e nel giro di 2 anni lo spread ritornò su livelli più bassi rispetto ai quelli pre-'Tequila Crisis'.
Si è visto come, la 'Tequila Crisis' fosse un problema strettamente legato alla salute del debito Messicano e come questa abbia colpito anche il debito di paesi emergenti totalmente estranei a questi avvenimenti. Il calo di credibilità che colpì il Messico nel 1995 si riflesse incondizionatamente anche sugli altri paesi in via di sviluppo, causando una corsa incondizionata alla vendita di tutti i bond emergenti.
Il periodo tra il 1996 e l'inizio del 1997 venne contraddistinto da spread bassi e da abbondante liquidità sul mercato; in queste condizioni i paesi emergenti riuscirono a finanziarsi 'relativamente' a buon mercato, ma a metà del 1997 si verifico la 'Crisi Asiatica' derivante dalle gravi difficoltà economiche che attanagliavano alcuni paesi del sud est asiatico.
In questo frangente stati come Tailandia, Corea e Malaysia, per evitare il collasso economico lasciarono fluttuare liberamente sul mercato le loro valute (abbandonando di fatto un regime di cambi amministrati e controllati), provocando una forte svalutazione delle loro divise. La crisi si sviluppò esclusivamente in Asia e, sebbene fosse stata molto acuta, non comportò fortissimi contagi nelle economie degli altri paesi emergenti.
Un discorso totalmente diverso da quelli precedenti è quello che riguarda la crisi Russa del 1998. Qui non si tratta più tanto di un crisi interna al comparto emergente, quanto di una crisi finanziaria generalizzata che tocca tutti i mercati finanziari.
Nell'aprile del 1998 lo stato Russo si trovò invischiato in enormi difficoltà politico-economiche tra le quali ricordiamo: un pesantissimo debito domestico, l'iperinflazione, il Rublo che iniziava a svalutarsi abbandonando definitivamente il legame con il $ e le istituzioni politiche in difficoltà.
In questo periodo, la Russia decise di non onorare più il suo debito domestico, diventato oramai insostenibile. Moltissimi investitori si ritrovarono in mano carta straccia. Tra questi compariva il fondo hedge americano LTCM, il quale veniva considerato dagli esperti del tempo uno fondo quasi infallibile (si pensi che molte Banche Centrali, attirate dalla presenza tra i soci fondatori di premi Nobel e noti trader, investirono una piccola parte delle proprie risorse in questo fondo).
Il fondo, oltre che operare in Russia, investiva anche in obbligazioni a livello globale (di stati sia sviluppati che emergenti) e basava la propria tattica di investimento sul principio della 'Mean Reversion', ossia investiva in titoli che erano sottovalutati rispetto alla loro media storica, in vista di un probabile ritorno di questi sui loro livelli medi. La crisi Russa minò i principi della 'Mean Reversion'; infatti, in questo periodo di crisi, i valori di parecchie attività finanziarie, invece di ritornare velocemente sui loro livelli medi (come ipotizzato dai gestori del fondo) proseguirono il loro corso lontano dai livelli 'ordinari', generando enormi perdite per l'hedge fund e costringendolo a liquidare le proprie posizioni in perdita. Il fondo, ad un certo punto, non riuscì più a sostenere questa situazione. Si scoprì che, a fronte dei circa 5 miliardi di $ sottoscritti, il fondo muoveva una massa 30 volte maggiore, grazie alle risorse che riusciva a prendere a prestito dalle banche statunitensi.
La situazione incominciò a diventare preoccupante, quando le banche si accorsero delle difficoltà incontrate e chiesero il rimborso dei prestiti.
Il fondo, in evidente crisi, avrebbe dovuto vendere sul mercato i titoli in portafoglio per far fronte ai propri debiti, con il conseguente ed ulteriore deprezzamento dei titoli in posizione e il peggioramento della crisi finanziaria che oramai era in atto. Grazie ad una gestione oculata della situazione, la banca centrale americana approvò un piano di crisi che prevedeva di non liquidare in un'unica soluzione l'intero attivo del fondo, ma di diluire nel tempo le vendite, in modo tale da non creare panico sul mercato. La situazione si normalizzò nel giro di 1 anno.
Nel periodo culminante della crisi vi furono pesanti oscillazioni del valore dei titoli di stato; in particolare, i titoli di debito dei paesi emergenti venivano trattati ad un livello molto simile a quelli del debito Russo (al 30%-40% del nominale), senza che la crisi russa, in pratica, avesse avuto delle ripercussioni oggettive sulla salute dei paesi emergenti; si può dire che il contagio partito dalla Russia attaccò il debito emergente tramite la crisi di fiducia che aveva colpito il mercato finanziario. Gli investitori, vista la fibrillazione dei mercati finanziari, decisero di salvaguardare i loro portafogli mediante la liquidazione delle posizioni più rischiose e l'investimento in strumenti a rischio nullo (ricordate il fenomeno del 'flight-to-quality'?). Il principale perdente fu il debito emergente.
Un altro esempio di come il contagio possa essere originato da fenomeni relativamente estranei ai mercati emergenti è quello che ci arriva dall'attentato terroristico dell'11 settembre 2001.
La crisi non partì da un paese emergente, ma da un aumento della volatilità sui mercati azionari internazionali conseguente all'attentato.

Dalla figura soprastante si nota come, nel periodo successivo all'11 settembre 2001, aumenti in modo vertiginoso la volatilità implicita delle opzioni su azioni americane. La volatilità esprime l'opinione sui possibili cambiamenti di prezzo delle azioni in un dato intervallo di tempo. Ad una volatilità alta, corrisponde una maggiore probabilità di ampie fluttuazioni dei prezzi. In questo senso,, la volatilità è sinonimo di rischio percepito.
Dopo l'attacco alle Torre Gemelle, i mercati finanziari subirono un vero e proprio attacco di panico caratterizzato da enormi ribassi (molti mercati rimasero chiusi per legge alcuni giorni), che amplificarono il trend negativo già in atto dalla fine del 2000. Il punto fondamentale da sottolineare è come, in questo periodo, cresca a dismisura la volatilità sui mercati e come il rendimento del debito dei paesi emergenti segua in modo quasi identico l'andamento della volatilità sul mercato azionario.
Questo andamento congiunto della rischiosità percepita sui mercati azionari e dello spread dei paesi emergenti è spiegabile col fatto che, in una fase di aumento della percezione del rischio (volatilità), tutte le attività divengono più rischiose; in modo particolare, i titoli di per sé già rischiosi (debito emergente) tendono ad essere percepiti come ancora più rischiosi, con conseguente rialzo dei rendimenti. Ma non è solo nel momento della crisi del settembre 2001 che volatilità dei mercati azionari e rischio paese emergente (espresso come differenziale di rendimento tra bond emergenti e debito statunitense) si muovono insieme: una decisa correlazione positiva tra le due variabili è individuabile in tutto il periodo di riferimento, anche senza troppe nozioni di statistica. Shock improvvisi che facciano rialzare la volatilità dei mercati azionari, di solito, hanno evidenti conseguenze anche sul debito dei paesi meno sviluppati.
La fonte citata come LWD è: Borensztein, Levy Yeyati, Panizza. 2006. Living with Debt. Inter American Development Bank.
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