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Focus sui corporate bond (2)

Nel numero della scorsa settimana, abbiamo introdotto il concetto di remunerazione per il rischio e abbiamo visto che, nel mondo dei bond, il rischio di insolvenza dell’emittente viene remunerato attraverso un maggior rendimento offerto rispetto ad obbligazioni esenti da rischio (come i titoli governativi dei più affidabili paesi del mondo)

di Redazione GirlPower 3 mar 2008 ore 13:07

Abbiamo anche detto che i dati empirici sembrano provare che questo differenziale sia eccessivo e non interamene dovuto all'effettivo rischio di insolvenza, ma vada a remunerare fattori come l'illiquidità degli strumenti o come i rischi legati alla diversificazione del proprio portafoglio, con il conseguente rischio di subire perdite potenzialmente superiori alla media statistica. La situazione odierna sembra dare particolari argomenti a quest'approccio. Oggi come oggi, con i tassi misurati sul mercato dei derivati di credito o dei titoli societari, i tassi di insolvenza stimata sono effettivamente troppo elevati se si considera la salute finanziaria della maggioranza dei grandi emittenti, molto migliore oggi di quanto non fosse solo qualche anno fa. Pensare che il 10% dei migliori emittenti europei (la percentuale è ancora più alta per quelli  americani) possa andare in insolvenza nei prossimi cinque anni sembra una cosa senza senso a chi scrive. Eppure con un livello di remunerazione di 1,2% l'anno e con una perdita in caso di insolvenza dell'ordine del 60%, sono quelli i livelli misurati sul mercato negli ultimi giorni. Non si tratta di un improvviso aumento nelle previsioni di insolvenze, questo è il mio parere. Ricordo che il tasso di default storico registrato in Europa negli ultimi due anni tra gli emittenti di alta qualità (quelli con i rating creditizi più elevati) rasenta lo 0 e che il tasso medio di insolvenza registrato nell'arco di cinque anni da soggetti con rating di medio/alto livello ("investment grade" o superiore a BBB-) è stato pari allo 0,39%, nel periodo 1990-2006 (dati di Moody's, vedi il loro studio del marzo 2007 "European Corporate Default and Recovery Rates").

Parlare del 10% di insolvenze significa parlare di quasi 25 volte il livello medio degli ultimi 16 anni e comunque di un multiplo della misura registrata negli anni peggiori del ciclo economico europeo. L'attuale fase di incertezza dei mercati finanziari, per quanto severa, è tale da trasformare i prossimi anni in un inferno per qualsiasi società europea o americana?

No. A far esplodere i rendimenti della carta non governativa sta contribuendo un altro fattore che alcuni potrebbero definire "tecnico" (non che con questo diventi meno infernale). Dopo anni di eccessi e di straordinari utili legati alla strutturazione di operazioni sempre più sofisticate, finalizzate a trarre profitto dai margini creditizi esistenti, centinaia di grandi operatori sono finiti senza pallottole ed in una situazione che li vede con le spalle al muro, almeno finché non si saranno sfogati gli eccessi degli anni scorsi. Il mercato è oggi abbandonato a se stesso, senza più i market maker a fare prezzo e senza hedge fund in grado di acquistare. La maggioranza dei commentatori cera di spiegare le attuali turbolenze del mercato monetario, interbancario e azionario con l'esplosione della bolla subprime. La risposta è quantomeno incompleta.

Quello che ha provocato i dissesti di questi ultimi mesi è stato semplicemente l'esplodere della bolla del credito facile e sempre in miglioramento. Il fenomeno è stato di enorme dimensioni e ha coinvolto in primo luogo il mercato all'ingrosso del credito e degli strumenti derivati ad esso legati. Per anni, sono stati messi in piedi meccanismi a leva di enormi dimensioni (nella forma di hedge fund, CDO o strutture ancora più complesse come i CPDO) al fine di sfruttare il livello del premio per il rischio esistente. Purtroppo, le costruzioni si sono rivelate facili da mettere in piedi e molto remunerative, tanto che gli investitori, invece, di rassegnarsi a trovare altre strategie, una volta raggiunti livelli troppo bassi di remunerazione, hanno preferito aumentare le leve ed individuare comparti ancora in grado di offrire alti rendimenti (in questo contesto sono stati una vera benedizione i prestiti ipotecari subprime con i loro tassi elevati), anche se non erano di facile comprensione.

Indice Itraxx Europe dal 2004
Costo per la protezione su un paniere di 125 grandi emittenti ad alto rating in bp (100bp=1%)

 

Quando un premio per il rischio diventa troppo esiguo, provoca, però, prima o poi, la fuga di alcuni operatori e così è stato. Quando il premio per il rischio medio per il mondo ad alto rating ha raggiunto i 20 centesimi di punto (un sesto del livello attuale), molto sotto il suo livello di equilibrio (che io giudico, non so se a torto o a ragione, essere nell'intorno di 50 punti base) e tutti gli altri premi per il rischio di credito si sono contratti su livelli artificialmente bassi, qualcuno ha incominciato a spaventarsi: perchè prendere rischi se in cambio non si riceve nulla, tanto più che, a differenza del mercato azionario, il massimo del rendimento ottenibile è predefinito? E' allora che è incominciato il lento ma definitivo allargamento.Tutti i portafogli a leva, messi su per centinaia di miliardi di dollari (forse un trilione è una stima ragionevole), hanno incominciato a non performare e l'eccesso di indebitamento ha fortemente ristretto il margine di manovra disponibile ai gestori, ma anche alle grandi banche che erano a volte promotrici, a volte investitrici, a volte garanti di questi veicoli finanziari. Purtroppo le grandi banche sono anche le uniche vere market-maker sul mercato dei corporate bond, ruolo a cui hanno velocemente rinunciato per focalizzarsi sulla propria sopravvivenza e su quella dei veicoli a loro legate.Il panico ha fatto poi il suo corso, con la totale evaporazione degli scambi e, di fatto, il blocco definitivo di tutto il mercato dei bond societari. Questa è ancora la situazione in cui ci troviamo oggi.

 

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