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Finanza personale: la nuova struttura dei mercati azionari

L’investimento in azioni è un fenomeno relativamente nuovo in Italia. Nel momento in cui i tassi di interesse pagati dallo Stato italiano erano molto appetibili, non vi era ragione di complicarsi la vita investendo in altre asset class.

di La redazione di Soldionline 29 feb 2008 ore 12:15

Da un lato vi erano infatti rendimenti di Bot e Cct per diversi anni a cavallo del 10%, dall'altro la borsa domestica non era certo un esempio di "trasparenza".
Nel momento in cui l'Italia ha aderito alla moneta unica, ha abbandonato i numeri da paese emergente, con tutti i pro e i contro che questo comportava.
Finiti infatti l'alta inflazione e le svalutazioni competitive, sono venuti meno anche i rendimenti a due cifre, che risolvevano l'allocazione del risparmio per la maggior parte degli investitori privati, ma anche delle tesorerie delle grandi banche, dei portafogli vita delle società assicurative etc. etc.
Gli investitori che in termini nominali (perché poi la differenza in termini reali è cambiata poco) hanno dovuto rinunciare a cedole elevate, sono stati "costretti" ad aumentare il livello di rischio del portafoglio.
Giocoforza la componente di azioni in mano alle famiglie è aumentata, grazie alla convinzione, avvalorata in ogni caso da qualsiasi statistica a lungo termine, che non si può farne a meno per aumentare la performance.
E' tuttavia molto importante a nostro avviso che l'investitore privato, storicamente a conoscenza delle dinamiche delle obbligazioni, aumenti la propria sensibilità anche su questa classe di investimento, che sta a sua volta trasformandosi.
Le dinamiche prevalenti negli Stati Uniti stanno infatti estendendosi anche all'Europa e all'Italia, aumentando drasticamente la volatilità delle singole azioni.
Rendendo così in futuro, ancora più difficile la gestione del rischio per l'investitore.

Benefici e rischi dell'equity in un portafoglio

Come abbiamo sottolineato in molte occasioni, una componente di azioni in portafoglio non deve essere tanto funzione degli obiettivi di rendimento dell'investitore, bensì della sua propensione al rischio.
Solo nel caso quest' ultima sia infatti "decentemente" elevata, nel senso che si è disposti ad accettare eventuali perdite senza soffrirne particolarmente, allora è corretto implementare il portafoglio con l'equity.
In report precedenti abbiamo riportato i ritorni medi a 20 e 10 anni delle diverse asset class; quanto è cioè lecito attendersi in termine di ritorno del portafoglio, qualora il passato dovesse ripetersi e l'orizzonte di investimento fosse sufficientemente lungo.
Ma se per il primo aspetto non troviamo particolari criticità in quanto riteniamo che sulle asset class più generali, quindi a livello macro, i numeri passati si possano ripetere, è sempre l'orizzonte che ci preme stressare.
Non perché un determinato ritorno atteso non possa arrivare anche in tempi molto brevi, ma perché se ci si basa su un rendimento a lungo termine, anche l'orizzonte futuro deve essere analogo.
Nel senso che se l'investitore punta a replicare un ritorno medio annuo ponderato realizzato da una asset class a 20 anni, dovrebbe anche puntare a replicarlo in un periodo della stessa ampiezza.
Detto questo, passiamo a valutare la struttura comportamentale degli indici, dei settori e delle singole società.
Secondo il Capital Asset Pricing Model (CAPM) per il quale William Sharpe nel 1990 vinse il Premio Nobel per l'economia, il rischio di un portafoglio si divide in rischio sistematico e rischio specifico.
Il primo è il rischio di mercato, il rischio cioè che un indice possa in generale essere volatile e in particolare deprezzarsi. Il rischio specifico al contrario è il rischio del singolo asset. Nel caso dell'equity della singola società.Progressivamente che si va dal generale al particolare, ovvero dall'approccio Top Down al Bottom Up, il rischio aumenta.
Pensiamo ad una piramide...il rischio sistematico è il rischio di mercato, il rischio cioè che l'indice scenda; questo rischio colpisce esattamente tutte le componenti del mercato. La punta della piramide.
Un indice azionario però si divide in settori, che si dividono in industrie, che a loro volta si dividono in sottoindustrie. Per arrivare infine alle singole società.
Ogni momento ha perciò un proprio rischio specifico associato, che va via via a sommarsi al rischio sistematico.
Come dire che il rischio delle singole società è enormemente superiore a quello dell'indice. Perché oltre al rischio dell'indice stesso, si assomma anche il rischio del settore, dell'industria, della sotto-industria di appartenenza.

Questa spiegazione è a nostro avviso molto importante, perché può guidare l'investitore nella scelta.
Presa cioè la decisione di investire anche in equity, innanzitutto perché si ha la propensione al rischio sufficiente, poi eventualmente per esigenze di rendimento, l'investimento su un indice o su una singola azione sono due universi completamente diversi tra loro.
Un indice che può essere rappresentato ad esempio da un ETF, ha un cioè tendenzialmente solo il rischio di mercato; la singola azione è invece una sommatoria di rischi diversi.
In conseguenza di tutto ciò, l'investitore con una esperienza limitata in termini di investimento azionario o che sia interessato ad incrementare il rendimento ma a fronte di un rischio contenuto, è bene che approcci l'asset class via indice.
Quindi via ETF.
Al contrario l'investimento in singole società, per essere fatto con la dovuta disciplina e limitando le probabilità di rendimenti insoddisfacenti, impone uno studio delle variabili in gioco molto più complesso.
Allo studio delle variabili che influenzano un indice (tassi, cambi, dati macroeconomici, fattori geo-politici....), si aggiungono infatti nuove variabili per ogni aggregato.
I rischi cioè del settore e dell'industria di appartenenza, che sovente sono rischi anche tecnologici (un'industria che cannibalizza un'altra industria, pensiamo alla concorrenza di internet ai media tradizionali e alle pagine gialle).
Infine i rischi della singola azienda, che sono sia qualitativi (management, strategie, competizione...) che quantitativi (debito, investimenti...).

Tutti questi aspetti nondimeno andrebbero esaminati anche con una prospettiva diversa, come dire l'altra faccia della stessa medaglia.
Se è corretto che una singola azione sia più volatile (scostamento dalla media dei prezzi) di un indice, perché poi alla fine è questo per essere pratici il principale indicatore del rischio, è vero anche che al rischio vanno associate anche le opportunità.
Come dire che un investimento in singole azioni più rischioso perché più volatile, a livello teorico potrebbe offrire anche un maggiore potenziale di rivalutazione.
E' importante però, a nostro avviso, che ci siano il tempo e la volontà di valutare un numero anche elevato di variabili che potrebbero influenzare il proprio investimento.

La "nuova" struttura comportamentale delle azioni

Riassumendo il discorso precedente, possiamo anche dire che un indice è a livello teorico molto meno volatile di una singola azione in quanto è di fatto un paniere.
Tantomeno il paniere sarà ampio e equilibrata la distribuzione al suo interno in termini di peso e numerosità, tantopiù la volatilità sarà smussata.
Perché pensiamo che stia cambiando la struttura del mercato azionario in Europa e in Italia in particolare?
Perché riteniamo che vada sempre più ad assomigliare alla struttura del mercato azionario negli Stati Uniti.
Il mercato americano che potrebbe definirsi il mercato efficiente per definizione, è a nostro avviso difficile da valutare.
Proviamo a spiegare il concetto.
Negli Stati Uniti la volatilità espressa dalle singole azioni è mediamente molto più elevata di quella dell'indice di appartenenza.
E questo è corretto.
Nella pratica osserviamo però che ad esempio a fronte di dati trimestrali diversi dalle aspettative, la reazione del mercato è nell'immediato sovente eccessiva.
Ad esempio una società che nel trimestre dovrebbe guadagnare €0,25 e invece ne guadagna solo $0,22 (con un impatto minimo sulle stime per l'anno), magari subisce un deprezzamento nell'ordine del 20%. Analogo comportamento, con direzione opposta, si può avere a fronte di una sorpresa positiva.
Come dire che il risultato finale (volatilità dell'azione più elevata di quella dell'indice) è corretto, ma è a nostro avviso può essere perlomeno squilibrato il modo in cui ci si arriva.
E' cioè corretto il processo in termini qualitativi, meno in termini quantitativi.
Tutto questo nondimeno è storicamente la struttura del mercato azionario negli Stati Uniti.
Laddove una maggiore confidenza delle famiglie ad investire in azioni, ha mediamente aumentato nel tempo la loro propensione al rischio.

In Europa la situazione è diversa.
Le stime sugli utili ed evidentemente la rispondenza con i risultati, sono ancora un argomento per pochi. E' mediamente più difficile trovare le stime e, il numero degli analisti finanziari (sopratutto quelli indipendenti) è enormemente inferiore rispetto agli Stati Uniti. In conseguenza di ciò la reazione del mercato a fronte di risultati trimestrali e/o più in generale di notizie price sensitive, è inferiore. Con il risultato in termini pratici che, in media, la volatilità delle singole azioni è abbastanza prossima alla volatilità dell'indice. E questo invece non è corretto in termini qualitativi, perchè il CAPM per il quale il rischio espresso dalla singola società è molto maggiore di quello dell'indice, non viene rispettato.

La globalizzazione che velocizza il movimento di flussi di capitale tra le varie aree geografiche nondimeno tende a rendere coerenti i comportamenti sui mercati. Ed essendo gli Stati Uniti il mercato guida per definizione, ecco che i comportamenti tipici di quei mercato dovrebbero estendersi anche alle altre aree geografiche. Da qui la nostra sensazione che il mercato europeo in generale incluso l'S&P Mib, assomiglieranno in futuro sempre di più a quello statunitense in termine di comportamenti. Rendendo più difficile e stressante la vita degli investitori.
Ogni errore potrebbe cioè costare di più in futuro, nel momento in cui la reazione ad ogni notizia dovesse risultare sempre più accentuata.

Due i modi per l'investitore di premunirsi da una simile situazione.
Il primo e più semplice, è quello di aumentare la presenza di ETF nella componente azionaria. Si partecipa all'andamento dal mercato, ma si riducono i rischi specifici delle singole aziende.
Il secondo impone invece uno studio e un attenzione maggiore dei propri investimenti. Dovrebbe cioè necessariamente aumentare il tempo dedicato alla finanza personale.

Non è detto che tutto ciò accada domani, ma prima o poi accadrà.
E' bene perciò essere preparati.

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