E' il momento di tornare a puntare sulla Cina?
Coerentemente con una performance decisamente negativa degli indici azionari locali, il flusso di notizie provenienti dalla Cina è peggiorato negli ultimi mesi. Da un lato il quadro macroeconomico sconta un’inflazione sempre meno sotto controllo, dall’altro vi è la pressione degli osservatori internazionali per una stabilizzazione dei rapporti con il Tibet.
di La redazione di Soldionline 23 mag 2008 ore 11:50
Da un lato il quadro macroeconomico sconta un'inflazione sempre meno sotto controllo, dall'altro vi è la pressione degli osservatori internazionali per una stabilizzazione dei rapporti con il Tibet.
Inoltre si devono ancora stimare i danni, umani ed economici, del violento terremoto che ha colpito la regione del Sichuan, comunque abbastanza lontana dai principali distretti industriali.
Come sempre accade, il detto "buy on rumors, sell on news" ha funzionato anche in questo caso.
Nell'anno delle Olimpiadi di Pechino, in cui la Cina avrebbe dovuto avere la migliore performance degli ultimi anni, emergono una serie di problemi che fa scattare le prese di profitto degli investitori internazionali.
Probabilmente, con qualche anno di anticipo, è arrivato il momento in cui la poderosa crescita economica degli ultimi anni necessita di una fase (speriamo non troppo lunga) di assestamento. Che permetta il riassorbimento di alcuni eccessi (il costo del lavoro, il credito bancario, il consumo di materie prime...) manifestatisi a fronte di un boom economico quasi senza precedenti, anche per i mercati occidentali.
Le valutazioni negli ultimi trimestri si sono sgonfiate.
E' già il momento di rientrare sugli indici azionari?
Da un lato ci troviamo di fronte a un momentum negativo sul fronte macro che con ogni probabilità potrebbe durare ancora qualche trimestre, dall'altro sappiamo che il mercato anticiperebbe congruamente un'eventuale stabilizzazione delle principali variabili.
Nel presente report cerchiamo di fissare i principali problemi che si trova a fronteggiare la Cina, soffermandoci sulle valutazioni e le stime di crescita scontate al momento dal mercato.
Il grafico riporta la performance a 10 anni dei due principali indici cinesi rappresentati nella borsa di Hong Kong (con bilanci e quotazione in $Hong Kong), ovvero il China Enterprises (le cosidette H-Shares, ovvero società con sede a Hong Kong ma operations in Cina) e il China Affiliated (le cosiddette A-Shares, ovvero JV tra enti pubblici e imprenditori privati).
Nonostante lo storno che in termini assoluti da ottobre è stato considerevole, la performance a 5 anni rimane ancora estremamente significativa.
Il China Enterprise Index è infatti arrivato a perdere quasi il 45% dai massimi del 2007, per poi assestarsi ad una performance negativa "solo" del 30% in seguito al recupero degli indici azionari di aprile.
Gli indici azionari locali, soprattutto lo Shenzhen e lo Shangai (B-Shares) non fanno particolare testo, in quanto finora riservati soprattutto agli investitori locali che a seguito di una prolungata fase speculativa, hanno portato i multipli su livelli insostenibili nel lungo termine.
Anche questi indici sono stati ridimensionati dai recenti massimi ma paradossalmente hanno perso anche meno rispetto agli indici di Hong Kong, dove sovente vi sono quotate a sconto le stesse aziende.
Evidentemente l'onda speculativa degli investitori locali, che per la prima volta si affacciano all'investimento azionario, ha per il momento difeso le quotazioni rispetto ai flussi di capitale ritirati dagli investitori internazionali.
Pro e contro per l'investimento azionario in Cina
Il principale problema per il quadro macroeconomico cinese è al momento l'inflazione.
In aprile l'inflazione al consumo è ancora aumentata, portando il tasso annualizzato all'8,5%.
La ragione è la mancanza di controllo del prezzo dei beni alimentari, aumentati il 22,1% su base annua con il picco per la carne al 47,9%.
Escludendo la componente alimentare, il rialzo è stato dell'1,8%, il più elevato a 10 anni, causato soprattutto dai salari (tra il '99 e il 2003 i prezzi esclusa la componente alimentare erano addirittura decrescenti).
Analoghi problemi si riscontrano per l'inflazione alla produzione, cresciuta in aprile ad un tasso annualizzato dell'8,1%, nonostante le aziende beneficino di prezzi energetici il 30% al di sotto del prezzo di mercato, grazie ad un momentaneo intervento governativo.
Con la stagione estiva (e l'impatto limitato dei condizionatori non ancora particolarmente diffusi) la tensione sui prezzi dovrebbe attenuarsi, ma il problema rimane di difficile risoluzione nel breve termine.
Tra le misure prese per contrastare il fenomeno sicuramente il cambio, che continuerà ad apprezzarsi contro il dollaro e, un controllo sempre maggiore sul credito.
Le banche ad esempio sono molto più restie a finanziare progetti immobiliari, il che sotto un altro punto di vista è positivo, perché permette ai grandi gruppi di migliorare nuovamente i ratio patrimoniali.
E' certo che in una situazione del genere lo spazio di manovra delle autorità si sta progressivamente riducendo.
La chiave rimane il petrolio, che ha un notevole impatto sul prezzo delle materie prime alimentari. Dovesse ritracciare su livelli più contenuti, molti problemi economici e sociali passerebbero in secondo piano.
Come possiamo immaginare, un rialzo della componente alimentare su base annua al 20/30% crea notevoli problemi di tipo sociale, soprattutto nelle aree rurali che non hanno beneficiato come le città e i distretti industriali degli enormi rialzi degli stipendi registratisi negli ultimi anni.
Tanto per entrare in dettaglio, un operaio specializzato (la domanda in alcuni momenti supera l'offerta) che solo pochi anni fa aveva un salario mensile intorno a $100, in alcuni distretti arriva ad avere salari ben superiori a $500.
Rendendo sempre meno conveniente alle aziende occidentali la delocalizzazione produttiva in Cina.
Un altro punto controverso è la disputa sul mancato riconoscimento delle autonomie del Tibet.
Soprattutto in vista delle Olimpiadi, laddove la Cina è al centro dell'attenzione di tutti i media, la pubblicità negativa che ne deriva è molto elevata.
Vi è nondimeno il positivo precedente di Taiwan, dove dopo anni di tensioni (nei quali si era anche temuta l'invasione militare) i rapporti sono progressivamente migliorati, tanto che recentemente stanno cominciando voli cargo e passeggeri tra i due stati.
Il principale pro per un investitore estero rimane essenzialmente lo stesso del passato: la crescita.
Pur ipotizzando che debba necessariamente rallentare nei prossimi anni (anche a causa dell'inflazione), riteniamo che le dinamiche interne siano tali per cui presto o tardi il modello di sviluppo prevalente oggi sulle fasce costiere sarà utilizzato anche per le aree interne.
La pianificazione della spesa pubblica viene quindi facilitata dalla conformazione morfologica del paese, con la sistematica creazione di nuovi distretti industriali.
Nonostante la pubblicità negativa del momento, in realtà in Cina ci sono molte aperture rispetto agli anni scorsi, soprattutto sul fronte economico.
Sui diritti civili ci sarebbe ancora molto da fare, ma ricordiamo che diversi mercati emergenti hanno in tal senso problemi analoghi.
Valutazioni dei principali indici azionari
Ancora oggi i multipli dei mercati locali sono molto diversi da quali degli indici quotati ad Hong Kong, sebbene molte restrizioni per gli investitori locali stiano progressivamente venendo meno.
E' lecito perciò attendersi che il processo di arbitraggio tra i diversi mercati continuerà, riducendo sensibilmente le attuali differenze.
Le H-shares hanno un p/e medio di 18,47x sul 2007, con stime a 15,63x sul 2008.
Il dividend yield in media nel 2007 è stato l'1,45%, quindi bel al di sotto i livelli dei più maturi mercati industrializzati.
Le A-shares hanno un p/e medio di 22.06x sul 2007, con stime a 18.32x sul 2008.
Il dividend yield in media nel 2007 è stato l'1,59%.
Calcolando invece i multipli sull'intero universo cinese, che include soprattutto gli indici locali, possiamo notare che il calo dei prezzi e la progressiva crescita degli utili hanno rapidamente ridotto la bolla speculativa degli scorsi trimestri.
Il p/e medio al 2007 è di 25,37x, che sui dati di consensus attesi diventerebbe 18.4x nell'anno in corso, 15.06x nel 2009 e 12.48x nel 2010.
La crescita dell'EPS addirittura del 56.65% nel 2007 (che ha causato la drastica riduzione dei multipli), si ridurrà progressivamente passando dal 29.3% stimato nel 2008 ad un più moderato 20.14 e 16 98% stimati per il 2008 e 2009.
Conclusioni
La domanda posta nel presente report riguarda la convenienza o meno a tornare a pesare gli indici azionari cinesi nei portafogli azionari.
La risposta è affermativa, anche se con la dovuta cautela.
Il quadro macroeconomico rimane infatti molto difficile, anche se il principale problema, ovvero il surriscaldamento dei prezzi (soprattutto alimentari), potrebbe avere toccato un picco in aprile.
Rimangono alcune issue politiche non indifferenti come la questione Tibet, ma la diplomazia internazionale spinge per il raggiungimento di un accordo, con l'attuale avvicinamento con Taiwan che lascia ben sperare per il futuro.
Sul lato micro invece dopo il recente storno degli indici azionari, i multipli sono tornati su livelli più contenuti, anche grazie alla incredibile crescita degli utili del 2007.
La bolla speculativa dovrebbe perciò essere alle spalle e nel 2009 e 2010, qualora la crescita dovesse rimanere sui livelli stimati, dovremmo avere valutazioni in linea con gli altri mercati.
Ma con prospettive di crescita ancora in media sensibilmente superiori.
La Cina è il classico mercato dove cercare il timing giusto per entrare è molto difficile e a nostro avviso anche concettualmente sbagliato.
Nel momento in cui il rischio macroeconomico sul paese sembra avere toccato il fondo e i multipli sono tornati su livelli accettabili, potrebbe avere senso ricominciare ad investire su un'area ad alta crescita.
Seppure con tutta la prudenza e la cautela, che l'attuale fase di mercato innegabilmente richiede.