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Volatilità modesta sui mercati

La volatilità dei mercati finanziari è stata estremamente modesta nelle ultime settimane: il livello dei tassi di interesse è rimasto in prossimità dei valori osservati recentemente

di Redazione Soldionline 26 nov 2013 ore 13:55

Articolo a cura di Fondaco SGR
 
La volatilità dei mercati finanziari è stata estremamente modesta nelle ultime settimane: il livello dei tassi di interesse è rimasto in prossimità dei valori osservati recentemente mentre i principali indici azionari hanno conseguito un moderato apprezzamento, nel caso degli Stati Uniti, o sono rimasti relativamente stabili, soprattutto in Europa.
L’evoluzione del quadro macroeconomico ha messo, però, in evidenza diversi fattori sicuramente rilevanti per la definizione della aspettative di medio periodo, in particolare nell’area Euro, dove la BCE è intervenuta riducendo il costo del denaro al minimo storico dello 0,25% e garantendo il proseguimento di tutte le operazioni di concessione di liquidità almeno fino alla prima metà del 2015.

La decisione rappresenta l’esito di un lungo dibattito, in atto da diversi mesi, all’interno dell’autorità di politica monetaria, nel quale le recenti rilevazioni dell’indice di prezzi al consumo hanno avuto un ruolo determinante, segnalando una contrazione su base mensile ed una crescita annuale inferiore al singolo punto percentuale.
Questo ha permesso ai membri più propensi all’intervento di prevalere, facendo leva sui timori di un impatto negativo sulle aspettative di inflazione rispetto all’obiettivo del 2% previsto dal mandato della stessa Banca Centrale, ma ha messo ulteriormente in evidenza le forti divisioni all’interno dell’istituto presieduto da Mario Draghi e la conseguente estrema difficoltà di intraprendere decisioni efficaci e tempestive.

Se da un lato, infatti, la BCE è stata in grado di arginare la crisi dell’area Euro ed invertire il processo di allargamento degli spread tra i diversi paesi, dall’altro non è riuscita a stimolare un’adeguata circolazione della liquidità dal sistema bancario a quello produttivo attraverso la concessione del credito, in parte per le scelte effettuate ma anche per limiti derivanti dagli strumenti a disposizione, dalla situazione peculiare dell’area Euro e dalla mancanza di un supporto politico coeso e univoco.

Tutte le misure non tradizionali intraprese, quali LTRO e concessioni illimitate di liquidità, sono state operazioni mirate a soddisfare la domanda di liquidità da parte, in sostanza, di istituti finanziari (ed indirettamente Stati) non più in grado di finanziarsi autonomamente sul mercato, garantendo così la stabilità del sistema interbancario europeo, e non misure atte ad incrementare artificiosamente l’offerta di liquidità, cioè quantitative easing vero e proprio, poiché tutti gli acquisti di titoli di Stato sono stati sempre “sterilizzati”, assorbendo cioè liquidità per importi equivalenti.
Questa scelta, determinata dai vincoli statutari della BCE ma anche dall’opposizione tedesca, ha ridotto al minimo gli effetti positivi sulla crescita economica dell’area Euro (la quale non rappresenta, di fatto, un obiettivo della Banca Centrale) ma ha anche inibito la capacità dell’autorità di politica monetaria di perseguire il proprio unico obiettivo di controllo dell’inflazione.

La lunga e profonda recessione degli ultimi anni, infatti, ha determinato un incremento dell’output gap, cioè della capacità produttiva non sfruttata, come testimoniato in maniera evidente dagli impressionanti livelli di disoccupazione raggiunti in diversi paesi europei, quindi un calo della pressione sul costo del lavoro e dei redditi e della domanda aggregata, assecondato dalle politiche fiscali restrittive imposte a livello europeo.
A fronte di una domanda sempre più debole e di redditi sempre meno sicuri, la discesa dell’inflazione rappresenta una conseguenza prevedibile ed inevitabile nel medio periodo, alla quale la BCE ha potuto rispondere soltanto con misure tradizionali, cioè riducendo il costo del denaro, e limitate da tassi di interesse ormai prossimi a zero e dalla ridottissima circolazione del credito ma senza poter immettere liquidità direttamente nel sistema, come è stato fatto da praticamene tutte le altre banche centrali dei principali paesi sviluppati.


La risposta politica dell’area Euro alla crisi, quindi, non soltanto ha limitato la capacità di intervento della Banca Centrale in una situazione in cui sarebbero state probabilmente opportune scelte meno rigide ed ortodosse ma ha addirittura alimentato ulteriori pressioni disinflazionistiche attraverso il tentativo di recuperare competitività nei paesi periferici esclusivamente mediante una “svalutazione competitiva interna”, cioè austerità di bilancio e fiscale.
L’assenza di una governance efficace e di una sincera volontà politica di evoluzione dell’Unione Europea, quindi, ha pesato anche sulla capacità di intervento della Banca Centrale, la quale corre ora il rischio di non essere in grado di arrestare un processo di disinflazione dell’economia accompagnato da una prolungata fase di stagnazione della crescita, non dissimile a quanto avvenuto in Giappone nell’ultimo decennio: è significativo osservare, a questo proposito, come il rallentamento della pressione sui prezzi al consumo sia in atto tanto in Germania, nonostante livelli occupazionali elevati, sia nei paesi periferici, in cui gli effetti della contrazione della domanda sono stati prevalenti rispetto a quelli della maggiori imposte indirette (es.IVA).

Le divergenze tra i diversi paesi sono, intanto, sempre più evidenti non soltanto a livello economico ma anche politico, come dimostrato dalla procedure di infrazione avviata contro la Germania, colpevole di un eccessivo avanzo della propria bilancia commerciale, e dalla conseguenti critiche verso l’adeguatezza del modello tedesco: difficilmente tutto ciò potrà però portare ad una riforma in tempi utili delle istituzioni e delle politiche europee e sicuramente non potrà evitare i costi sociali elevatissimi di questo cambiamento.

Negli Stati Uniti, intanto, i dati relativi alla crescita nel terzo trimestre dell’anno sono stati particolarmente positivi e superiori rispetto alle aspettative, confermando il consolidamento della ripresa in atto e, soprattutto, il successo della Federal Reserve nella propria politica di supporto ai redditi, attraverso il sostegno del mercato immobiliare e di quello azionario: i consumi, infatti, continuano a contribuire in maniera decisiva, nonostante la riduzione, ad inizio anno, delle agevolazioni fiscali e la contrazione della spesa pubblica.

La Banca Centrale statunitense dovrà affrontare ora, però, scelte altrettanto complesse e rischiose, individuando i tempi ed i modi migliori per cominciare a ridurre l’entità dei propri interventi senza compromettere la crescita dell’economia e la stabilità dei mercati: la difficoltà di questo compito è stata messa in luce da quanto già accaduto negli ultimi mesi, in seguito alle dichiarazioni di Bernanke a maggio, ma i risultati conseguiti sino ad ora rappresentano un elemento di fiducia e credibilità.

La crescita statunitense presenta, però, ancora fattori di incertezza e possibile volatilità: la rilevazione dell’ultimo trimestre è stata influenzata significativamente da un deciso incremento delle scorte, determinato da aspettative di vendite crescenti piuttosto che da un effettivo aumento della domanda, e potrebbe essere compensata da un rallentamento nel trimestre in corso mentre l’inizio del 2014 sarà caratterizzato dalla ripresa del confronto politico sul tema del limite del debito e della riduzione della spesa pubblica, rinviato a settembre ma non ancora risolto.
Le scelte della Federal Eeserve e la sua interazione con l’evoluzione del quadro macroeconomico statunitense saranno, quindi, sicuramente determinanti per la dinamica dei mercati finanziari e, soprattutto, della crescita degli Stati Uniti e globale nel prossimo anno.

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