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Nessuno vuole più le opzioni put

Si vede che è periodo di emozioni estreme. In poche settimane siamo passati dal pessimismo estremo all’ottimismo smisurato. La cura per il bear market sono quotazioni crescenti, e viceversa.

di Gaetano Evangelista 25 feb 2019 ore 10:23

analisi-graficiSi vede che è periodo di emozioni estreme. In poche settimane siamo passati dal pessimismo estremo all’ottimismo smisurato. La cura per il bear market sono quotazioni crescenti, e viceversa.
E non si tratta soltanto di prezzi. A dicembre le opzioni put andavano a ruba, le opzioni call erano trascurate. Prima di Natale il fenomeno ha raggiunto proporzioni eccezionali. Indi, il rientro nella normalità.
Per passare in questi giorni ad una condizione opposta: il confronto fra la media a 20 giorni del put/call ratio azionario reso noto dal CBOE, e la più conservativa media a 100 giorni, raffigura condizioni infime. Le put non le vuole più nessuno; relativamente parlando, s’intende.

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Un livello così contenuto di put/call ratio è già stato registrato altre volte nel passato. Neanche tanto remoto: è sufficiente risalire a ritroso di un annetto per ritrovare simili estremi.

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A giugno un rapporto fra put e call azionarie parimenti contenuto favorì un paio di settimane di consolidamento, prima della ripartenza dei listini. Ma a gennaio dello scorso anno questa rilevazione si rivelò letale, inaugurando un sell-off tanto breve quanto intenso, come si ricorderà.
Nel passato un PCR così basso ha tipicamente anticipato fasi perlopiù laterali di mercato. Nel 2016 si contano tre situazioni di questo genere:

 

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Anche nel 2013-14 un PCR su livelli analoghi a quelli correnti, ha prodotto perlopiù stagnazioni di prezzo da parte dell’indice S&P500. Fasi blandamente correttive, nell’ambito di un bull market indiscusso.

 

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Ma se non fossimo più in bull market. Se l’esperienza decennale fosse in via di archiviazione?
È logico che si tratta di un grosso “se”. In tale ipotesi, però, la cautela sarebbe d’obbligo, perché nel caso questi estremi di put/call ratio contrassegnerebbero non già l’avvio di fasi correttive tutto sommato sopportabili; ma più propriamente delle nitide opportunità di disimpegno, prima dei graffi dell’Orso.
Quanto occorso fra il 2007 e il 2008 sta lì a dimostrarlo:

 

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In ogni caso, evidentemente, questo fenomeno non costituisce mai un “non evento”. Nella più benigna delle ipotesi il mercato azionario americano si prende una pausa: smette di crescere, per qualche settimana.
A meno che il massimo di settembre scorso sia stato definitivo. Sarebbe un bel guaio, nell’eventualità.

 

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