Le prospettive per i mercati azionari sono rosee: cosa potrebbe andare storto?
I tori si sono ben pasciuti nel 2013 e troveranno altri pascoli nel 2014. Nonostante l’alto livello di ottimismo dei mercati, però, ci sono tre situazioni che potrebbero guastare la festa
di Redazione Soldionline 16 gen 2014 ore 10:06
A cura di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel
Nel 2013, i «tori» azionari si sono ben pasciuti e, probabilmente, troveranno ancora bei pascoli verdi nell’anno in corso: l’economia americana sta infatti accelerando, i paesi emergenti sono in fase di stabilizzazione e la Cina sta attuando le sue riforme economiche e sociali secondo la tabella di marcia. Inoltre, l’imminente apertura delle chiuse della liquidità da parte della US Federal Reserve ha perso gran parte del suo potenziale perturbatore. Nonostante l’alto livello di ottimismo dei mercati, ci sono tre situazioni che secondo noi potrebbero guastare la festa.
Nel 2013, dopo cinque anni di continui deflussi, le azioni hanno registrato per la prima volta un notevole afflusso di capitale, mentre gli investitori si allontanavano dai fondi monetari e obbligazionari. Sull’arco dell’anno, i mercati azionari mondiali hanno messo a segno un rialzo del 26,2% in valuta locale, misurato in base all’indice MSCI World All Countries.
Questo ambiente favorevole alle azioni potrà perdurare grazie alle migliori prospettive dell’economia mondiale e al continuo afflusso di capitali nei mercati azionari. Gli ultimi dati economici, soprattutto quelli provenienti dagli Stati Uniti, suffragano il nostro scenario principale di «ripresa sincronica», che abbiamo illustrato nel numero di novembre 2013 della nostra pubblicazione mensile «Investors' Outlook». Sulla scia della ripresa economica mondiale, delle politiche monetarie accomodanti, della bassa inflazione e dell’elevata redditività delle aziende, le azioni potranno continuare a fornire rendimenti allettanti anche nel 2014, almeno in confronto ai titoli a reddito fisso. Considerati gli elementi positivi succitati, non sorprende che il «sentiment» degli investitori abbia raggiunto un nuovo massimo pluriennale (vedi grafico 1).
Grafico 1: il «sentiment» degli investitori ha raggiunto i livelli pre-crisi
Fonte: Ned Davis, Vontobel Asset Management
Tuttavia, gli operatori tendono a dimenticare che il mercato azionario non è una via a senso unico. Noi intravediamo tre potenziali nubi all’orizzonte (seppure lontano).
Possibile impennata dei rendimenti dei titoli di Stato
Un rapido aumento dei rendimenti degli US Treasury decennali rispetto all’attuale 3% (vedi grafico 2) eserciterebbe indubbiamente una pressione ribassista sui mercati azionari. Con una crescita dell’economia statunitense attesa intorno al 3 percento sui prossimi tre anni e un tasso di inflazione ipotizzato all’1,5%, il rendimento «fair-value» degli US Treasury decennali dovrebbe convergere verso un range del 4-4,5%. I mercati azionari sono in grado di assorbire un graduale rialzo a questi livelli sull’arco dei prossimi 18-24 mesi, ma rischiano di deragliare se il cambiamento sarà repentino. La US Federal Reserve (Fed) è ben consapevole di questo rischio e mantiene volutamente a zero i tassi di interesse chiave finché l’inflazione è favorevole e il mercato del lavoro non dà segni di restringimento. Di conseguenza, poiché la curva dei rendimenti è già molto ripida, i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza non possono teoricamente salire molto di più. In circostanze eccezionali come quelle odierne, la storia può però rivelarsi una cattiva consigliera. Se dovesse succedere il peggio – cioè se il restringimento delle condizioni finanziarie dovesse compromettere la ripresa economica negli USA – la Fed potrebbe intervenire e aumentare di nuovo il ritmo degli acquisti di obbligazioni. Nella situazione attuale, il rischio di un aumento significativo e imminente dei rendimenti dei titoli di Stato è generalmente modesto. Se si dovesse verificare, farebbe comunque scattare quasi certamente una risposta delle autorità monetarie.
Grafico 2: rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato USA
Fonte: Datastream, Vontobel Asset Management
Opera incompiuta nella zona euro
La minaccia immediata che incombeva sull’unione monetaria si è allentata grazie a una rapida riduzione dei deficit delle bilance correnti nei paesi cosiddetti periferici e al successo dei meccanismi non convenzionali della Banca centrale europea (BCE), noti sotto il nome di Outright Monetary Transactions. I rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani e spagnoli sono scesi sotto la soglia del 4%, mentre gli spread rispetto ai bund decennali tedeschi si sono ridotti a 200 punti base contro gli oltre 500 (Italia) e 600 (Spagna) del giugno 2012. Il prezzo da pagare è stato tuttavia alto: aumento della disoccupazione e stagnazione economica. Le misure della BCE e, di conseguenza, la mancanza di pressioni da parte degli investitori obbligazionari, hanno avuto inoltre l’effetto negativo di rallentare gli sforzi compiuti dai governi per risolvere i problemi alla radice. Eppure, senza ulteriori riforme, la crescita rimarrà sostanzialmente debole, il che a sua volta intralcerà la capacità dei governi di contenere il loro debito. È interessante vedere come l’unione bancaria, che sta prendendo forma nella zona euro, sia solo una lontana reminiscenza di quello che i leader europei avevano promesso nel giugno 2012. L’assenza di una struttura credibile di crediti reciproci a livello di zona euro lascia in ultima istanza ai singoli paesi l’eventuale rischio finanziario. Il modo di affrontare le banche in difficoltà sembra lento, se non addirittura inefficiente. In generale, la situazione è stata portata sotto controllo solo grazie all’approccio non convenzionale della BCE e ai dolorosi provvedimenti adottati nella periferia, ma i problemi di lungo termine rimangono irrisolti.
Rischio di una sconfitta dei mercati emergenti
Non c’è dubbio che le metriche del credito siano sostanzialmente migliorate nell’ultimo decennio, tanto da rendere poco probabile il ripetersi di gravi crisi come quelle del passato (Asia 1997, Russia 1998, Argentina 2001). Tuttavia, il rating aggregato degli emittenti sovrani dei mercati emergenti non è salito nel 2013 e le bilance delle partite correnti hanno subito un deterioramento in molti casi. Il quadro fondamentale è eterogeneo: molti paesi accusano un rallentamento dei consumi trainati dal credito e, in generale, una mancanza di riforme capaci di attrarre capitale estero. Emittenti vulnerabili come l’Indonesia, il Brasile, l’India, la Turchia e il Sudafrica, andranno alle urne nel 2014. L’esito delle elezioni influenzerà le prospettive a medio termine delle principali economie emergenti.
Pur rimanendo ampiamente fiduciosi per i mercati finanziari nel 2014, siamo consapevoli dei potenziali pericoli che potrebbero fermare l’attuale corsa rialzista, e li seguiremo con grande attenzione.
Nel 2013, i «tori» azionari si sono ben pasciuti e, probabilmente, troveranno ancora bei pascoli verdi nell’anno in corso: l’economia americana sta infatti accelerando, i paesi emergenti sono in fase di stabilizzazione e la Cina sta attuando le sue riforme economiche e sociali secondo la tabella di marcia. Inoltre, l’imminente apertura delle chiuse della liquidità da parte della US Federal Reserve ha perso gran parte del suo potenziale perturbatore. Nonostante l’alto livello di ottimismo dei mercati, ci sono tre situazioni che secondo noi potrebbero guastare la festa.
Nel 2013, dopo cinque anni di continui deflussi, le azioni hanno registrato per la prima volta un notevole afflusso di capitale, mentre gli investitori si allontanavano dai fondi monetari e obbligazionari. Sull’arco dell’anno, i mercati azionari mondiali hanno messo a segno un rialzo del 26,2% in valuta locale, misurato in base all’indice MSCI World All Countries.
Questo ambiente favorevole alle azioni potrà perdurare grazie alle migliori prospettive dell’economia mondiale e al continuo afflusso di capitali nei mercati azionari. Gli ultimi dati economici, soprattutto quelli provenienti dagli Stati Uniti, suffragano il nostro scenario principale di «ripresa sincronica», che abbiamo illustrato nel numero di novembre 2013 della nostra pubblicazione mensile «Investors' Outlook». Sulla scia della ripresa economica mondiale, delle politiche monetarie accomodanti, della bassa inflazione e dell’elevata redditività delle aziende, le azioni potranno continuare a fornire rendimenti allettanti anche nel 2014, almeno in confronto ai titoli a reddito fisso. Considerati gli elementi positivi succitati, non sorprende che il «sentiment» degli investitori abbia raggiunto un nuovo massimo pluriennale (vedi grafico 1).
Grafico 1: il «sentiment» degli investitori ha raggiunto i livelli pre-crisi
Fonte: Ned Davis, Vontobel Asset Management
Tuttavia, gli operatori tendono a dimenticare che il mercato azionario non è una via a senso unico. Noi intravediamo tre potenziali nubi all’orizzonte (seppure lontano).
Possibile impennata dei rendimenti dei titoli di Stato
Un rapido aumento dei rendimenti degli US Treasury decennali rispetto all’attuale 3% (vedi grafico 2) eserciterebbe indubbiamente una pressione ribassista sui mercati azionari. Con una crescita dell’economia statunitense attesa intorno al 3 percento sui prossimi tre anni e un tasso di inflazione ipotizzato all’1,5%, il rendimento «fair-value» degli US Treasury decennali dovrebbe convergere verso un range del 4-4,5%. I mercati azionari sono in grado di assorbire un graduale rialzo a questi livelli sull’arco dei prossimi 18-24 mesi, ma rischiano di deragliare se il cambiamento sarà repentino. La US Federal Reserve (Fed) è ben consapevole di questo rischio e mantiene volutamente a zero i tassi di interesse chiave finché l’inflazione è favorevole e il mercato del lavoro non dà segni di restringimento. Di conseguenza, poiché la curva dei rendimenti è già molto ripida, i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza non possono teoricamente salire molto di più. In circostanze eccezionali come quelle odierne, la storia può però rivelarsi una cattiva consigliera. Se dovesse succedere il peggio – cioè se il restringimento delle condizioni finanziarie dovesse compromettere la ripresa economica negli USA – la Fed potrebbe intervenire e aumentare di nuovo il ritmo degli acquisti di obbligazioni. Nella situazione attuale, il rischio di un aumento significativo e imminente dei rendimenti dei titoli di Stato è generalmente modesto. Se si dovesse verificare, farebbe comunque scattare quasi certamente una risposta delle autorità monetarie.
Grafico 2: rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato USA
Fonte: Datastream, Vontobel Asset Management
Opera incompiuta nella zona euro
La minaccia immediata che incombeva sull’unione monetaria si è allentata grazie a una rapida riduzione dei deficit delle bilance correnti nei paesi cosiddetti periferici e al successo dei meccanismi non convenzionali della Banca centrale europea (BCE), noti sotto il nome di Outright Monetary Transactions. I rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani e spagnoli sono scesi sotto la soglia del 4%, mentre gli spread rispetto ai bund decennali tedeschi si sono ridotti a 200 punti base contro gli oltre 500 (Italia) e 600 (Spagna) del giugno 2012. Il prezzo da pagare è stato tuttavia alto: aumento della disoccupazione e stagnazione economica. Le misure della BCE e, di conseguenza, la mancanza di pressioni da parte degli investitori obbligazionari, hanno avuto inoltre l’effetto negativo di rallentare gli sforzi compiuti dai governi per risolvere i problemi alla radice. Eppure, senza ulteriori riforme, la crescita rimarrà sostanzialmente debole, il che a sua volta intralcerà la capacità dei governi di contenere il loro debito. È interessante vedere come l’unione bancaria, che sta prendendo forma nella zona euro, sia solo una lontana reminiscenza di quello che i leader europei avevano promesso nel giugno 2012. L’assenza di una struttura credibile di crediti reciproci a livello di zona euro lascia in ultima istanza ai singoli paesi l’eventuale rischio finanziario. Il modo di affrontare le banche in difficoltà sembra lento, se non addirittura inefficiente. In generale, la situazione è stata portata sotto controllo solo grazie all’approccio non convenzionale della BCE e ai dolorosi provvedimenti adottati nella periferia, ma i problemi di lungo termine rimangono irrisolti.
Rischio di una sconfitta dei mercati emergenti
Non c’è dubbio che le metriche del credito siano sostanzialmente migliorate nell’ultimo decennio, tanto da rendere poco probabile il ripetersi di gravi crisi come quelle del passato (Asia 1997, Russia 1998, Argentina 2001). Tuttavia, il rating aggregato degli emittenti sovrani dei mercati emergenti non è salito nel 2013 e le bilance delle partite correnti hanno subito un deterioramento in molti casi. Il quadro fondamentale è eterogeneo: molti paesi accusano un rallentamento dei consumi trainati dal credito e, in generale, una mancanza di riforme capaci di attrarre capitale estero. Emittenti vulnerabili come l’Indonesia, il Brasile, l’India, la Turchia e il Sudafrica, andranno alle urne nel 2014. L’esito delle elezioni influenzerà le prospettive a medio termine delle principali economie emergenti.
Pur rimanendo ampiamente fiduciosi per i mercati finanziari nel 2014, siamo consapevoli dei potenziali pericoli che potrebbero fermare l’attuale corsa rialzista, e li seguiremo con grande attenzione.
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