La valenza del “brand” nella crisi internazionale
Per le grandi multinazionali, i cui destini si intrecciano sovente con la notorietà del proprio “brand”, la passata recessione economica si è rivelata una reale sfida
di Redazione Soldionline 3 mag 2010 ore 15:35Per le grandi multinazionali, i cui destini si intrecciano sovente con la notorietà del proprio “brand”, la passata recessione economica si è rivelata una reale sfida. La notevole contrazione dei consumi, sia a livello privato che commerciale, ha traumatizzato il mercato a tal punto che numerose società hanno dovuto fare i conti sia con le conseguenze della crisi finanziaria, sia con una palese crisi di fiducia. Eppure, da recenti analisi risulta che molte società di marca, partendo dal settore del lusso e giungendo fino a quello dei consumi, stanno riemergendo dalla crisi più velocemente di altre imprese meno note. È possibile dunque asserire che la crisi non abbia intaccato il valore essenziale del brand?
Anzitutto, senza entrare nel dettaglio perché il campo è troppo vasto per essere discusso in questa sede, potremmo dire che il brand o la marca rappresenta un valore fondamentale per qualsiasi azienda che operi in un regime di libera concorrenza. Si tratta spesso di un asset importante, contabilizzato in bilancio ed è raffigurato da un nome, simbolo, disegno, o una combinazione di tali elementi. Oggi infatti si parla più comunemente di marchio, se non addirittura di logo, per indicare questo strumento distintivo di un’azienda. Il brand, in sostanza, può essere definito come una relazione istituita in un dato mercato tra una determinata domanda, una determinata offerta e una determinata concorrenza. Nel linguaggio del marketing, si usa dire che la marca è nella testa dei consumatori, un’affermazione molto oggettiva e che deriva dal concetto fondamentale del “brand awarness”, la conoscenza della marca, testimone della sua notorietà e del suo successo sul mercato.
Ritornando al discorso di partenza, è proprio questa riconoscibilità del mercato che rende un prodotto o un’azienda “di marca” e che avrebbe attutito i colpi della recente crisi economica. Passata la tempesta, il mercato è infatti tornato a prediligere i prodotti e i beni di marca; il settore del lusso sarebbe quasi uscito indenne dalla buriana! Al di là degli innumerevoli fattori legati a questo fenomeno, tra i quali il grande e intelligente lavoro svolto dalle agenzie che creano il marchio e le campagne pubblicitarie, la riconoscibilità da parte dei consumatori sembra dunque essere il vero ago della bilancia.
Lo confermano le statistiche pubblicate la scorsa settimana in un articolo del quotidiano britannico Financial Times: Google, Ibm e Apple si sono aggiudicati il podio della quinta edizione di "BRANDZ Top 100 Most Valuable Global Brands", la classifica che valuta il valore economico dei più importanti marchi mondiali. L'indagine viene realizzata annualmente da Millward Brown Optimor, società del gruppo Wpp specializzata nella misurazione del valore di marca, in collaborazione con il Financial Times. A livello complessivo, la classifica evidenzia che i brand forti dimostrano maggiori capacità di recupero e tenuta anche in momenti di difficoltà e calo generalizzato dei principali indicatori finanziari.
Nel 2010 il valore aggregato dei 100 brand in classifica è di oltre 2 mila miliardi di dollari: il 4% in più rispetto al 2009 e ben il 40% in confronto al 2006. Per il quarto anno consecutivo il vertice della classifica è guidato da Google con un valore di marca che, cresciuto del 14%, si attesta a quasi 114,3 miliardi di dollari. Ibm guadagna la medaglia d'argento a scapito di Microsoft che perde due posizioni ed è quarta, grazie a un valore di quasi 86,4 miliardi di dollari e a una crescita del 30%. Segue Apple, che entra nei primi tre posti, sostituendosi a Coca Cola, ora quinta, con un brand che vale quasi 83,2 miliardi di dollari (+32%). Non è inoltre secondario sottolineare come Apple e Ibm detengano anche il primato della crescita assoluta più significativa, con un incremento rispettivamente di circa 20 e 19,8 miliardi di dollari. L'indagine, che rappresenta a livello mondiale il più ampio studio sul valore della marca (brand equity), è stata effettuata incrociando dati finanziari forniti da Bloomberg con indicatori di mercato a fonte Datamonitor e valutazioni espresse da più di un milione di consumatori, su una base di oltre 50’000 marche monitorate.
Da non sottovalutare l'importanza dei “social media”: con un brand che vale oltre 5,5 miliardi di dollari Facebook, il popolare sito di “social networking”, è entrato nella classifica del settore hi-tech per la prima volta. Un esordio che non stupisce, data la grande diffusione dei “social network” e il peso che questi media hanno avuto nel determinare il successo di altri marchi. Per il primo anno, inoltre, tutti i Paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono rappresentati all'interno della classifica da almeno un'azienda, grazie all'ingresso al 45esimo posto del marchio indiano ICICI.
La lettura di questi dati offre interessanti spunti di riflessione, tra cui il principale verte sul ruolo esercitato dalla tecnologia. La distribuzione sempre più capillare delle strutture informatiche in tutti gli ambiti della vita sociale, economica e finanziaria ha generato la fortuna delle compagnie che operano nel campo della comunicazione e di internet. Tanto è vero che, secondo alcuni analisti, la tecnologia sarebbe addirittura diventata un elemento di disturbo per i valori delle marche tradizionali, avendo spianato la strada alle giovani imprese concorrenti. Nel campo dei media, per esempio, i grossi conglomerati della cinematografia, della televisione e della stampa, che per anni hanno occupato i vertici nella graduatoria del valore della marca, stanno risentendo proprio dell’arrivo dei nuovi media tecnologici. Complessivamente, comunque, la valenza del brand rappresenta tuttora un punto di forza indiscutibile per l’imprenditoria, al punto da divenire in molti casi un vero e proprio scudo protettivo.
Anna Russo
CRONACHE DAI MERCATI FINANZIARI
Il Punto
Si è trattato di una settimana alquanto movimentata quella appena trascorsa sui principali mercati finanziari internazionali, caratterizzata da instabilità e nervosismo.
La delicata questione della situazione debitoria greca ha condizionato in ampia misura le contrattazioni.
Ad inizio periodo, l’agenzia Standard & Poor’s ha ridotto il rating sui titoli di Stato greci a livello di “spazzatura”, valutandoli come investimento puramente speculativo, mentre il ministro delle finanze ellenico ha annunciato che il Paese non potrebbe più rivolgersi al mercato e, quindi, non potrebbe fare a meno dell’ausilio di Fmi e Ue. Il rating sul debito sovrano a lungo termine della Grecia è in effetti passato da BBB+ a BB+, una caduta di tre gradini, con “outlook” negativo. Contestualmente, la medesima agenzia ha tagliato il giudizio sul Portogallo da A+ ad A-. Ciò ha rinvigorito la percezione che il rischio Paese sia realmente un problema in Europa. Ed ha riportato l’attenzione sulla crescita inarrestabile dei debiti statali. Il timore è che nel medio termine si verifichi un effetto contagio, ossia che i problemi di bilancio attuali dal Paese balcanico si estendano anche ad altri.
Nemmeno la Spagna è stata poi risparmiata dalla scure di Standard & Poor’s, che ha tagliato il giudizio sul debito a lungo termine di Madrid da AA+ a AA, con implicazioni negative se i conti pubblici dovessero ancora peggiorare.
Nella sessione di giovedì si è assistito ad un significativo recupero delle Borse, dettato dall’aspettativa che il piano di aiuti per la Grecia sarà maggiore di quanto inizialmente previsto dall’Unione europea e sufficiente a scongiurare l’ipotesi di una ristrutturazione del debito pubblico ellenico. La mancanza di dettagli sul pacchetto di aiuti lascia tuttavia ampi margini di incertezza.
La Federal Reserve americana ha confermato le attese, lasciando i tassi d’interesse nel “range” 0%-0.25%, mantenendo immutato anche il saggio ufficiale di sconto. Nel comunicato che ha accompagnato l’annuncio sul costo del denaro, la Banca centrale a stelle e strisce ha ribadito che l’economia interna sta mostrando dei segnali di miglioramento. Le condizioni dell’attuale congiuntura sono però ancora tali da richiedere tassi d’interesse a livelli eccezionalmente bassi ancora per un lungo lasso temporale.
In ambito valutario, i movimenti del cambio euro-dollaro hanno rispecchiato l’evoluzione della situazione greca. Ad una netta flessione iniziale, che ha condotto la moneta comunitaria ai minimi da un anno contro il biglietto verde, al di sotto di 1.32, ha fatto seguito una ripresa, più decisa nelle ultime sedute.
Fra i metalli, l’oro è salito ad un nuovo record storico in euro, franchi svizzeri e sterline.
VARIAZIONI DEI PRINCIPALI INDICI E CAMBI
23.04.2010 | 30.04.2010 | min/max 2010 | 2010* | |||
NY - DJII | 11204.28 | 11008.61 | -1.75% | 9835.09 | 11258.01 | 5.57% |
NY - NASDAQ | 2530.15 | 2461.19 | -2.73% | 2100.17 | 2535.28 | 8.46% |
NY - S&P 500 | 1217.28 | 1186.69 | -2.51% | 1044.50 | 1219.80 | 6.42% |
UE- DJ EUROSTOXX 50 | 2918.11 | 2816.86 | -3.47% | 2617.77 | 3044.37 | -5.04% |
FR - DAX | 6259.53 | 6135.70 | -1.98% | 5433.02 | 6299.58 | 2.99% |
ZH - SMI | 6767.97 | 6616.82 | -2.23% | 6240.24 | 6990.70 | 1.08% |
LO - FTSE100 | 5723.65 | 5553.29 | -2.98% | 5033.01 | 5833.73 | 2.59% |
PA - CAC40 | 3951.30 | 3816.99 | -3.40% | 3545.91 | 4088.18 | -3.03% |
MI - FTSEMIB | 22726 | 21562 | -5.12% | 20466 | 24059 | -7.25% |
TK - NIKKEI | 10914.46 | 11057.40 | 1.31% | 9867.39 | 11408.17 | 4.84% |
HK - HANG SENG | 21244.49 | 21108.59 | -0.64% | 19423.05 | 22671.92 | -3.49% |
USD/CHF | 1.0731 | 1.0776 | 0.42% | 1.0131 | 1.0924 | 4.06% |
USD/JPY | 93.97 | 93.85 | -0.13% | 88.14 | 94.79 | 0.89% |
USD/CAD | 0.9991 | 1.0179 | 1.88% | 0.9931 | 1.0781 | -3.35% |
EUR/USD | 1.3384 | 1.3294 | -0.67% | 1.3115 | 1.4579 | -7.17% |
EUR/CHF | 1.4356 | 1.4327 | -0.20% | 1.4145 | 1.4905 | -3.43% |
EUR/GBP | 0.8703 | 0.8705 | 0.03% | 0.8603 | 0.9150 | -1.84% |
GBP/USD | 1.5377 | 1.5274 | -0.67% | 1.4784 | 1.6458 | -5.54% |
GBP/CHF | 1.6493 | 1.6455 | -0.23% | 1.5793 | 1.7114 | -1.70% |
*variazione da fine 2009 – A cura della Cornèr Banca
Fonte Bloomberg