Il Quantitative Easing ha funzionato?
Alle luce delle recenti prospettive di un graduale irrigidimento, si è registrato un deciso aumento di critiche, anche di investitori di profilo elevato, verso le politiche monetarie accomodanti della Fed e, per estensione, a quelle delle altre banche centrali. Cerchiamo di considerare i vari elementi
di Redazione Soldionline 13 giu 2013 ore 12:32
A cura di Salman Ahmed, strategist del team Global Sovereign Fixed Income & FX di Lombard Odier Investment Managers
Il “peso problem” e il Quantitative easing
Una profonda incertezza del contesto economico può portare al cosiddetto “peso problem”, situazione che si verifica quando il rischio credibile di un collasso totale del sistema può causare un danno strutturale alla produttività di lungo periodo e, propria sua volta, peggiorare il ciclo economico già in difficoltà.
Noi riteniamo che la dottrina di Bernanke di sostenere la domanda nominale aggregata attraverso la stampa di moneta abbia perlopiù riguardato l’aggiramento dell’incidenza del “peso problem”, così da evitare il possibile ripetersi di una situazione simile alla Grande depressione degli anni ’30.
Visto in altro modo, l’esercizio della Fed non ha realmente alterato i reali fondamentali dell’economia, ma ha influenzato positivamente le aspettative future, aumentando la probabilità di uno shock positivo sul fronte della produttività. Questa osservazione si ricollega alla nostra view per cui la probabilità di generare uno shock positivo è direttamente correlata alla crescita di breve periodo del Pil e inversamente correlata alla sua volatilità.
In questo senso, l’esempio del shale gas è molto interessante. E’ plausibile ritenere che questo shock positivo, fondamentale per gli Usa sulla strada verso l’indipendenza energetica, non si sarebbe materializzato se nel 2009 l’economia non si fosse stabilizzata.
Le aspettative sull’inflazione sono rimaste stabili
Un rischio chiave associato alle misure di quantitative easing è quello di generare un rialzo dell’inflazione. Una pressione sui prezzi dovuta a politiche monetarie può minare la credibilità di una banca centrale, ostacolando così la trasmissione della politica stessa all’economia.
Se partiamo da questo criterio, c’è ben poco spazio per le critiche, dato che sia l’inflazione sia le aspettative sono rimaste stabili sin da quando è stato lanciato il programma QE cinque anni fa. E’ comunque importante considerare la differenza tra base monetaria e denaro circolante. Una politica monetaria accomodante espande la base monetaria, ma si appoggia al sistema bancario per moltiplicare e trasferire la nuova liquidità all’economia. Il rallentamento nella velocità di circolazione della moneta a seguito della crisi finanziaria è ben documentato ed è stato guidato principalmente dalle pressioni sulle banche le quali, nonostante l’eccesso di liquidità, hanno contratto i prestiti all’economia.
La crescita economica è stata comunque debole
Un criterio su cui si potrebbero muovere alcune critiche al QE riguarda il fatto che, nonostante l’ammontare e l’obiettivo delle misure, la ripresa dalla crisi finanziaria è stata molto debole, se valutata sulla base degli standard successivi alla seconda guerra mondiale.
Trascorsi cinque anni, negli Stati Uniti l’economia deve ancora tornare a crescere in modo sostenibile sui livelli pre-crisi (intorno al 3%) e il mercato del lavoro rimane comunque debole. Su questo punto, i critici sostengono che un sistema necessiti di cambiamenti strutturali e che la politica monetaria da sola non può colmare il gap quando viene colpita l’economia reale. Crediamo vi siano elementi interessanti in questa tesi, tuttavia bisogna sottolineare che la situazione economica sarebbe stata molto peggiore e il “peso problem” è stato solo grazie a decise politiche accomodanti. Negli ultime tre anni, gli shock negativi in arrivo dall’Eurozona hanno poi giocato un ruolo determinante nel soffocare la crescita degli Usa e nel danneggiare la positiva trasmissione delle politiche monetarie, aumentando l’incertezza sul settore finanziario.
Non è facile andare contro una banca centrale accomodante
La principale lezione appresa in questo ultimo lustro è la difficoltà di andare contro una banca centrale propensa a fornire stimoli, specialmente in una fase dove la velocità della moneta è molto lenta. E molto differente rispetto al cercare di contrastare una banca centrale
con atteggiamento rigido, dove il danno che potrebbe derivare alla crescita rischierebbe di mettere pressione su altri fronti (come avvenuto nel Regno Unito negli anni ’90). E’ quindi molto facile capire perché gli investitori si siano buttati sul carro del vincitore non appena la Bank of Japan ha modificato il proprio approccio. E il deprezzamento della valuta è uno dei risultati dei quantitative easing, a prescindere dal successo della o meno della politica nell’impattare positivamente sull’economia.
In merito al Giappone, noi siamo abbastanza scettici sul fatto che la politica di Abe possa rigenerare la terza più grande economia mondiale. Tuttavia non siamo convinti che in questo momento abbia molto senso sfidare la banca centrale, specialmente quando la politica è stata appena implementata e gode di un forte sostegno politico.
Una uscita di successo chiarirà se il QE ha realmente funzionato
Tornando alla Fed, riteniamo che la componente monetaria della politica non convenzionale sia stata “scagionata” alla luce di aspettative estremamente stabili sull’inflazione. Tuttavia, data la natura senza precedenti del programma di quantitative easing, bisogna vedere in che modo sarà gestita l’exit strategy, alla luce dei segnali di evidente miglioramento dell’economia Usa. Vi è molta incertezza relativamente alle precise modalità e tempistiche di disimpegno della Fed e gli investitori obbligazionari long-only rischiano di rimanere scoperti.
In aggiunta, come già rilevato, la storia insegna come sia più semplice mettere in dubbio l’operato di una banca centrale con approccio rigido e questo è ancora più vero nell’attuale contesto dove un tale soggetto ha definito il prezzo (nella forma di acquisto illimitato) degli asset privi di rischio.
In un video il funzionamento del quantitative easing:
Il “peso problem” e il Quantitative easing
Una profonda incertezza del contesto economico può portare al cosiddetto “peso problem”, situazione che si verifica quando il rischio credibile di un collasso totale del sistema può causare un danno strutturale alla produttività di lungo periodo e, propria sua volta, peggiorare il ciclo economico già in difficoltà.
Noi riteniamo che la dottrina di Bernanke di sostenere la domanda nominale aggregata attraverso la stampa di moneta abbia perlopiù riguardato l’aggiramento dell’incidenza del “peso problem”, così da evitare il possibile ripetersi di una situazione simile alla Grande depressione degli anni ’30.
Visto in altro modo, l’esercizio della Fed non ha realmente alterato i reali fondamentali dell’economia, ma ha influenzato positivamente le aspettative future, aumentando la probabilità di uno shock positivo sul fronte della produttività. Questa osservazione si ricollega alla nostra view per cui la probabilità di generare uno shock positivo è direttamente correlata alla crescita di breve periodo del Pil e inversamente correlata alla sua volatilità.
In questo senso, l’esempio del shale gas è molto interessante. E’ plausibile ritenere che questo shock positivo, fondamentale per gli Usa sulla strada verso l’indipendenza energetica, non si sarebbe materializzato se nel 2009 l’economia non si fosse stabilizzata.
Le aspettative sull’inflazione sono rimaste stabili
Un rischio chiave associato alle misure di quantitative easing è quello di generare un rialzo dell’inflazione. Una pressione sui prezzi dovuta a politiche monetarie può minare la credibilità di una banca centrale, ostacolando così la trasmissione della politica stessa all’economia.
Se partiamo da questo criterio, c’è ben poco spazio per le critiche, dato che sia l’inflazione sia le aspettative sono rimaste stabili sin da quando è stato lanciato il programma QE cinque anni fa. E’ comunque importante considerare la differenza tra base monetaria e denaro circolante. Una politica monetaria accomodante espande la base monetaria, ma si appoggia al sistema bancario per moltiplicare e trasferire la nuova liquidità all’economia. Il rallentamento nella velocità di circolazione della moneta a seguito della crisi finanziaria è ben documentato ed è stato guidato principalmente dalle pressioni sulle banche le quali, nonostante l’eccesso di liquidità, hanno contratto i prestiti all’economia.
La crescita economica è stata comunque debole
Un criterio su cui si potrebbero muovere alcune critiche al QE riguarda il fatto che, nonostante l’ammontare e l’obiettivo delle misure, la ripresa dalla crisi finanziaria è stata molto debole, se valutata sulla base degli standard successivi alla seconda guerra mondiale.
Trascorsi cinque anni, negli Stati Uniti l’economia deve ancora tornare a crescere in modo sostenibile sui livelli pre-crisi (intorno al 3%) e il mercato del lavoro rimane comunque debole. Su questo punto, i critici sostengono che un sistema necessiti di cambiamenti strutturali e che la politica monetaria da sola non può colmare il gap quando viene colpita l’economia reale. Crediamo vi siano elementi interessanti in questa tesi, tuttavia bisogna sottolineare che la situazione economica sarebbe stata molto peggiore e il “peso problem” è stato solo grazie a decise politiche accomodanti. Negli ultime tre anni, gli shock negativi in arrivo dall’Eurozona hanno poi giocato un ruolo determinante nel soffocare la crescita degli Usa e nel danneggiare la positiva trasmissione delle politiche monetarie, aumentando l’incertezza sul settore finanziario.
Non è facile andare contro una banca centrale accomodante
La principale lezione appresa in questo ultimo lustro è la difficoltà di andare contro una banca centrale propensa a fornire stimoli, specialmente in una fase dove la velocità della moneta è molto lenta. E molto differente rispetto al cercare di contrastare una banca centrale
con atteggiamento rigido, dove il danno che potrebbe derivare alla crescita rischierebbe di mettere pressione su altri fronti (come avvenuto nel Regno Unito negli anni ’90). E’ quindi molto facile capire perché gli investitori si siano buttati sul carro del vincitore non appena la Bank of Japan ha modificato il proprio approccio. E il deprezzamento della valuta è uno dei risultati dei quantitative easing, a prescindere dal successo della o meno della politica nell’impattare positivamente sull’economia.
In merito al Giappone, noi siamo abbastanza scettici sul fatto che la politica di Abe possa rigenerare la terza più grande economia mondiale. Tuttavia non siamo convinti che in questo momento abbia molto senso sfidare la banca centrale, specialmente quando la politica è stata appena implementata e gode di un forte sostegno politico.
Una uscita di successo chiarirà se il QE ha realmente funzionato
Tornando alla Fed, riteniamo che la componente monetaria della politica non convenzionale sia stata “scagionata” alla luce di aspettative estremamente stabili sull’inflazione. Tuttavia, data la natura senza precedenti del programma di quantitative easing, bisogna vedere in che modo sarà gestita l’exit strategy, alla luce dei segnali di evidente miglioramento dell’economia Usa. Vi è molta incertezza relativamente alle precise modalità e tempistiche di disimpegno della Fed e gli investitori obbligazionari long-only rischiano di rimanere scoperti.
In aggiunta, come già rilevato, la storia insegna come sia più semplice mettere in dubbio l’operato di una banca centrale con approccio rigido e questo è ancora più vero nell’attuale contesto dove un tale soggetto ha definito il prezzo (nella forma di acquisto illimitato) degli asset privi di rischio.
In un video il funzionamento del quantitative easing: