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Perché è giusto stare con la Grecia

Per motivi economici, ma anche politici. Li ricorda l’economista Ashoka Mody, prendendo spunto dalla dichiarazioni di Barak Obama per una riduzione dell’austerità imposta alla Grecia.

di Marco Delugan 9 feb 2015 ore 12:43

Un’altra voce a favore di Tsipras e della ristrutturazione del debito greco. E’ quella di Barak Obama, presidente degli Stati Uniti d’America. Ne parla Ashoka Mody, Visiting Professor di Economia Politica Internazionale alla Princeton University e Visiting Fellow presso Bruegel, think tank economico con sede a Bruxelles, in un articolo del 5 febbraio pubblicato su Project Syndicate dal titolo Obama Joins the Greek Chorus, in cui sottolinea l’importanza delle recenti dichiarazioni del presidente Obama sulla necessità di trovare un accordo tra Europa e Grecia che permetta a quest’ultima di uscire dalla pesante crisi economica in cui versa e ripagare - per come e quanto possibile - almeno parte del suo pesante debito pubblico. Oltre all’importanza delle parole di Obama, Mody sottolinea anche i pericoli politici a cui porterebbe un accanimento delle istituzioni europee nell’imporre politiche di austerità alla Grecia.

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barak obamaIl recente appello del presidente Usa Barack Obama (nella foto LaPresse n.d.r.) per ammorbidire l'austerità imposta alla Grecia è un evento importante, e non solo per l’appoggio al nuovo governo e alla sua posizione negoziale nei confronti dei creditori, ma perché le dichiarazioni di Obama rappresentano un’evidente rottura con la tradizione di lunga durata che vede gli Stati Uniti astenersi dagli affari monetari europei; mentre gli economisti hanno spesso criticato le politiche dell'Unione monetaria europea, il governo ha preferito non intromettersi.

Coloro che criticano l'euro o il modo in cui viene gestito corrono spesso il rischio di essere considerati come inglesi o come anti-europei. Il primo ministro britannico Margaret Thatcher aveva previsto con precisione la follia di un’unione monetaria europea. Gordon Brown, Cancelliere dello Scacchiere britannico, ha seguito le orme di Thatcher. Quando il suo staff ha presentato motivi attentamente studiati per giustificare la scelta di non aderire all’euro, molti europei hanno ironizzato.

Ed è per questo che la dichiarazione di Obama è stata una ventata di aria fresca. E' avvenuta un giorno dopo che il cancelliere tedesco Angela Merkel ha detto che la Grecia non deve aspettarsi alcuna la riduzione del debito e deve mantenere le politiche di austerità.

Intanto, dopo giorni di minacce non tanto velate, la Banca centrale europea è sul punto di tagliare i finanziamenti alle banche greche. I guardiani della stabilità finanziaria stanno rendendo sempre più probabile una corsa agli sportelli che sarebbe a dir poco destabilizzante.

La posizione di Obama sulla crisi greca è resa ancora più notevole da quella del Fondo Monetario Internazionale che invece ha accettato l’ortodossia imposta dalla Germania, come ha dichiarato il direttore del FMI Christine Lagarde all'Irish Times: "Un debito è un debito, e si tratta di un contratto. Inadempienza, ristrutturazione, cambiare i termini ha conseguenze.”

Il Fondo era d’accordo, negli anni ‘90, quando la disavventura della zona euro è stata architettata. Nel 2002 il direttore del dipartimento europeo del FMI ha descritto come "base solida" le regole fiscali che hanno istituzionalizzato la cultura dell’austerità permanente. E nel maggio 2010 il FMI ha approvato la decisione delle autorità europee di non far ricadere perdite sui creditori privati della Grecia, una mossa annullata solo dopo che una stretta fiscale senza precedenti ne ha mandato in tilt l’economia.

I ritardi e gli errori nella gestione della crisi greca sono cominciati molto presto. Nel luglio del 2010, Lagarde, che allora era ministro delle finanze in Francia, ha riconosciuto i danni che tali ritardi hanno causato. "Se fossimo stati in grado di affrontare [la crisi del debito greco] fin dall'inizio, diciamo dal mese di febbraio, credo che saremmo stati in grado di evitare l’accelerazione della crisi per come poi è avvenuta". Anche il Fondo monetario internazionale ha riconosciuto che era stato un errore non imporre perdite ai creditori privati; cosa fatta solo a giugno 2013, quando ormai il danno più grosso era già stato fatto.

Ci sono molte colpe in giro. L'ex segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner ha sostenuto una linea dura contro la ristrutturazione del debito. Di conseguenza, nonostante gli avvertimenti di alcuni economisti del FMI nel maggio del 2010 sul fatto che la ristrutturazione fosse ormai inevitabile, gli Stati Uniti hanno sostenuto la posizione europea che i creditori privati dovevano essere pagati per intero.

Obama può essere arrivato tardi alla conclusione corretta, ma ha detto quella che dovrebbe essere un’ovvia verità: "Non si può continuare a spremere un paese che si trova nel mezzo della depressione economica."

Se le parole di Obama contano qualcosa, allora deve continuare a spingere per il tipo di accordo di cui la Grecia ha bisogno, un accordo che, se sbagliato, sbagli per troppa cancellazione del debito, piuttosto che per troppo poca. Recenti analisi dimostrano che la remissione del debito pubblico greco è certamente auspicabile, che un altro accordo sbagliato manterrà l'economia greca in depressione, ponendo le basi perché il problema possa ripetersi di nuovo. Se i timori europei devono essere assecondate, allora il rimborso del debito della Grecia potrebbe avvenire in più di 100 anni.

Alla fine, la remissione del debito porterebbe benefici ai creditori tanto quanto aiuterebbe debitori. Chi presta denaro lo sa almeno dal XVI secolo, quando il Re di Spagna Filippo II divenne il primo sovrano defaulter seriale del mondo. Come Gesù ha detto, "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere". Le autorità europee devono arrivare a capire che il prossimo atto della tragedia greca non sarà limitato alla Grecia. Se l’aiuto non dovesse concretizzarsi, il malcontento politico si diffonderebbe, le forze estremiste guadagnerebbero forza, e la sopravvivenza della stessa Unione europea potrebbe essere in pericolo.
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