Cosa pensa il premio Nobel Joseph Stiglitz della crisi greca
Le politiche di austerità economica non hanno mai funzionato, e non lo hanno fatto nemmeno questa volta. Necessaria una ristrutturazione del debito, e non solo di quello greco.
di Marco Delugan
4 feb 2015 ore 15:20
In un lungo articolo apparso ieri su Project Syndicate (http://www.project-syndicate.org/) Joseph Stiglitz - economista e saggista statunitense e premio Nobel per l'economia nel 2001 – ha esposto il suo pensiero sulla crisi greca e su come possa essere risolta. Secondo Stiglitz, è necessaria una ristrutturazione del debito che permetta al paese di tornare a crescere, e in questo modo a ripagare i propri debiti. Nell’articolo, dal titolo “A Greek Morality Tale”, Stiglitz tratta anche il tema della riforma politica della zona euro e del problema del debito a livello globale.
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Quando la crisi dell'euro è iniziata, circa cinque anni fa, diversi economisti di scuola keynesiana avevano previsto che l'austerità che allora veniva imposta alla Grecia e agli altri paesi in crisi non avrebbe portato ai risultati desiderati, avrebbe soffocato la crescita economica e fatto aumentare la disoccupazione, e avrebbe addirittura reso ancora più difficile la riduzione del rapporto debito/Pil.
Sembra proprio che non ci sia bisogno di altri test. Le politiche di austerità hanno fallito ripetutamente: ai tempi del presidente americano Herbert Hoover, che ha trasformato il crollo in borsa del ’29 nella Grande Depressione degli anni trenta, e non ha funzionato con i programmi che il fondo monetario Internazionale ha imposto ai paesi di Asia e America Latina negli ultimi decenni. Eppure, nonostante tutto questo, quando la Grecia è davvero entrata in grosse difficoltà, la terapia dell’austerità è stata prescritta di nuovo.
E la Grecia la terapia della “troika” (Commissione Europea, BCE, e FMI) l’ha in gran parte seguita, riuscendo a passare dal deficit di bilancio primario ad un avanzo primario. Ma la contrazione della spesa pubblica ha avuto effetti devastanti: 25% di disoccupazione, un calo del 22% del PIL dal 2009, e un aumento del 35% del rapporto debito/PIL. E ora, con la schiacciante vittoria elettorale del partito anti-austerity Syriza, gli elettori greci hanno dichiarato di averne avuto abbastanza.
Allora, che cosa si deve fare adesso? In primo luogo, siamo chiari: la Grecia potrebbe essere incolpata dei suoi guai se fosse l'unico paese in cui la medicina della troika avesse fallito miseramente. Ma la Spagna ha registrato un surplus di bilancio e un rapporto debito/Pil bassi prima della crisi ed è lo stesso in depressione. Ciò che è necessario non è una riforma strutturale della Grecia e della Spagna, quanto una riforma strutturale della zona euro e un profondo ripensamento della struttura politica che ha portato alla crisi dell’unione monetaria.
La Grecia ci ha inoltre ricordato quanto il mondo abbia bisogno di nuove modalità di ristrutturazione del debito, un debito eccessivo causato non solo la crisi del 2008, ma anche dalla crisi orientale del 1990 e la crisi dell'America Latina nel 1980. E il debito continua a causare indicibili sofferenze negli Stati Uniti, dove milioni di persone hanno perso le loro case, e ora minaccia altri milioni di persone in Polonia e altrove che hanno preso prestiti in franchi svizzeri.
Data la quantità di sofferenza causata dal debito eccessivo, ci si potrebbe anche chiedere perché gli individui e le nazioni si sono già più volte messe in situazioni come quelle appena ricordate. Dopo tutto, tali debiti sono contratti – e cioè accordi volontari – su cui i creditori sono responsabili tanto quanto i debitori. In realtà, i creditori sono probabilmente anche più responsabili: in genere, infatti, sono sofisticate istituzioni finanziarie, mentre i mutuatari spesso conoscono poco le dinamiche dei mercati e i rischi associati ai diversi accordi contrattuali. Sappiamo, infatti, quanto le banche statunitensi abbiano in realtà predato i loro debitori, approfittando della loro mancanza di raffinatezza finanziaria.
Ogni Paese del mondo sviluppato si è reso conto che per far funzionare il capitalismo è a volte necessario permettere agli individui di ricominciare da capo. Nel XIX secolo i debitori che non pagavano venivano messi in prigione. E’ stata una strategia fallimentare, oltre che disumana, e non ha certo contribuito a facilitare il pagamento dei debiti. Quello che ha funzionato, invece, è stato porre in essere incentivi per una buona gestione dei debiti rendendo i creditori più responsabili per le conseguenze delle loro decisioni.
A livello internazionale, non abbiamo ancora creato un processo ordinato per dare ai paesi che ne hanno bisogno la possibilità di un nuovo inizio. Già prima della crisi del 2008 le Nazioni Unite, con l'appoggio di quasi tutti i paesi in via di sviluppo ed emergenti, hanno tentato di definire una struttura di istituzioni e procedure adatte a questo scopo. Ma gli Stati Uniti si sono fermamente opposti; forse vogliono reintrodurre la prigione per i funzionari dei paesi più indebitati (in tal caso, lo spazio può essere trovato a Guantanamo).
L'idea di riportare in carcere i debitori può sembrare una boutade, ma qualche cosa di simile risuona nei discorsi che in questo periodo si sentono su azzardo morale e responsabilità. C'è il timore che se alla Grecia fosse permesso di ristrutturare il proprio debito, finirebbe semplicemente col commettere gli stessi errori e tornare negli stessi guai ancora una volta, così come succederebbe per altri che seguissero la stessa strada.
Ma questa è una sciocchezza. Qualcuno sano di mente può pensare che un paese abbia davvero voglia di fare la stessa tragica esperienza della Grecia solo per ottenere uno sconto dai creditori? Se vi è un rischio morale, questo riguarda gli istituti di credito - soprattutto privati - che sono stati salvati già più volte. Se l'Europa ha permesso la trasformazione dei debiti privati in debiti pubblici attraverso un modello consolidato nel corso dell'ultimo mezzo secolo, è l'Europa e non la Grecia che dovrebbe sopportarne le conseguenze. La situazione attuale della Grecia, tra cui la forte crescita del rapporto debito/Pil, è infatti in gran parte colpa dei programmi sbagliati della Troika.
Quindi non è la ristrutturazione del debito, ma la sua assenza, ad essere immorale. Ciò che rende i problemi della Grecia più difficili da affrontare è la struttura della zona euro: l'unione monetaria implica che gli Stati membri non possano svalutare e trovare così la loro strada per uscire dalla crisi, ma il minimo di solidarietà che dovrebbe accompagnare questa perdita di flessibilità non c'è.
Settanta anni fa, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli alleati hanno riconosciuto che la Germania aveva bisogno di un “nuovo inizio”. Hanno capito che l'ascesa di Hitler aveva avuto molto a che fare con il tasso di disoccupazione (e non con l’inflazione), generata soprattutto dal debito imposto alla Germania alla fine della prima guerra mondiale. Gli Alleati non hanno tenuto conto della follia con cui i debiti erano stati accumulati e non hanno parlato dei costi che la Germania aveva imposto sugli altri. Invece, alla fine della Seconda Guerra, non solo hanno condonato i debiti; ma hanno fornito aiuti, e le truppe alleate di stanza in Germania, hanno fornito un ulteriore stimolo fiscale.
Quando le aziende falliscono, uno swap debito-equity è una soluzione equa ed efficace. L'approccio analogo per la Grecia è quello di convertire le sue attuali obbligazioni in “obbligazioni PIL”. Se la Grecia farà bene, i creditori riceveranno di più; se non lo farà, riceveranno di meno. Entrambe le parti dovrebbero quindi avere un potente incentivo a perseguire politiche favorevoli alla crescita.
Raramente elezioni democratiche mandano un messaggio così come quello della Grecia. Se l'Europa dice no alla domanda degli elettori per un cambiamento di rotta, quello che l’Europa dirà davvero è che la democrazia non ha alcuna importanza, almeno quando si tratta di economia. Perché non chiudere la democrazia, come fece Newfoundland quando è entrò in amministrazione controllata prima della seconda guerra mondiale?
Si spera che coloro che comprendono l'economia del debito e l'austerità, e che credono nella democrazia e dei valori umani, prevalgano. Se lo faranno davvero, si vedrà.
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