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Il mondo continua a crescere, l’Europa resta indietro

La cescita economica è stata inferiore alle attese, ma non certo da buttare se la si confronta con quella del recente passato. Solo l’Europa (con Brasile e Russia, in verità) ha realmente deluso.

di Marco Delugan 5 feb 2015 ore 16:23

Jim O'Neill, ex presidente di Goldman Sachs Asset Management, economista e professore in prestigiose università, ha pubblicato ieri, mercoledì 4 febbraio, sul sito Project Syndicate, un articolo dal titolo Two Cheers for the New Normal dove sostiene che l’immagine consueta dell’economia mondiale come di un grigio faticatore senza futuro sia sbagliata. Solo l’Europa sta davvero faticando, appesantita com’è da un’evoluzione demografica che non aiuta e da una produttività che non riesce a ritrovare slancio.

previsioni_1La visione convenzionale delle condizioni dell'economia mondiale è più o meno questa: dall'inizio della crisi finanziaria 2007-2008, il mondo sviluppato ha faticato a riprendersi, e solo gli Stati Uniti lo hanno realmente fatto. I paesi emergenti se la sono cavata meglio, ma anche loro hanno iniziato ad avere difficoltà. In un clima economico desolante, si pensa, gli unici veri vincitori sono stati i ricchi, e così anche la disuguaglianza è cresciuta.

Questo scenario sembra perfettamente ragionevole. Ma basta guardare con maggiore attenzione per scoprire che è completamente sbagliato.

Iniziamo con la crescita economica. Secondo il Fondo Monetario Internazionale nel corso del primo decennio di questo secolo la crescita globale annua è stata in media del 3,7%, rispetto al 3,3% degli anni tra il 1980 e il 1990. E negli ultimi quattro anni, la crescita è stata in media del 3,4%.

Tutto questo è certamente inferiore a quello che molti avevano sperato; nel 2010 avevo previsto che nel decennio successivo il mondo sarebbe potuto crescere a un tasso annuo del 4,1%. Ma il 3,4% non è certo un tasso di crescita disastroso per gli standard storici.

Tutte le grandi economie sviluppate stanno crescendo più lentamente di quanto hanno fatto in passato, quando le loro economie giravano a pieno ritmo. Ma tra queste, è solo la zona euro quella che ha gravemente deluso negli ultimi anni.

Quando nel 2010 ho elaborato le mie proiezioni, avevo ipotizzato che la debolezza demografica e produttiva della regione le avrebbero impedito di crescere a oltre l'1,5% l'anno. Le cose sono andate anche peggio, e la crescita media annua è stata dello 0,3%.

Per il Giappone, gli Stati Uniti, e il Regno Unito, le prospettive sono invece più luminose. Dovrebbe essere abbastanza semplice per loro crescere a un tasso medio superiore a quello degli ultimi dieci anni, un periodo che comprende il picco della crisi finanziaria. E la diminuzione del prezzo del greggio potrà avere un impatto sui consumatori simile a quello di un ampio taglio delle tasse. Per questo sono piuttosto sconcertato dalla decisione del FMI di ridurre la previsione di crescita per gran parte del mondo. Se non altro, con i prezzi del petrolio in calo, una revisione al rialzo sembrava possibile.

Un altro fattore a sostegno di una prospettiva più ottimista è il riequilibrio che si è verificato tra gli Stati Uniti e la Cina, le due maggiori economie del mondo, tutte e due entrate nella crisi finanziaria con enormi squilibri delle partite correnti. Gli Stati Uniti avevano un deficit di oltre il 6,5% del PIL, e la Cina un surplus di quasi il 10%. Oggi il deficit statunitense è sceso a circa il 2%, e il surplus cinese è inferiore al 3%. Dato che questi squilibri sono stati fattori chiave della crisi finanziaria, si tratta di uno sviluppo positivo.

Sminuire le prestazioni economiche dei grandi paesi emergenti sta diventando una moda, in particolare quelle della Cina e delle altre economie BRIC (Brasile, Russia, e India). Ma non è certo una sorpresa che questi Paesi abbiano rallentato la corsa. Nel 2010 avevo previsto che la crescita annuale della Cina sarebbe calata al 7,5%. Da allora è in media dell'8%. Le prestazioni dell’India sono state più scoraggianti, anche se la crescita è ripresa dall'inizio del 2014.

Le uniche vere delusioni sono il Brasile e la Russia, entrambe alle prese (di nuovo, non a caso), con prezzi delle materie prime in forte calo. Le loro performance, assieme a quelle della zona euro, sono la ragione principale per cui l'economia mondiale non è riuscita a crescere del 4,1% come gli ottimisti, tra cui io, pensavano potesse fare.

La visione convenzionale su ricchezza e disuguaglianza è altrettanto sbagliata. Dal 2000 al 2014, il PIL mondiale è più che raddoppiato, da 31.800 miliardi dollari a oltre 75 miliardi. Nello stesso periodo, il PIL nominale della Cina è salito da 1.200 miliardi dollari a più di 10.000 miliardi. Nel 2000 la dimensione delle economie BRIC era di circa un quarto del PIL degli Stati Uniti. Oggi li hanno quasi raggiunti, con un PIL complessivo di più 16 miliardi di dollari, di poco inferiore a quello americano che è di 17.400 miliardi dollari. Infatti, dal 2000 i paesi BRIC sono stati responsabili di circa un terzo della crescita del PIL nominale globale.

E altri paesi emergenti hanno mostrato performance simili: la Nigeria è cresciuta 11 volte dal 2000, l'Indonesia ha più che quintuplicato il Pil. Dal 2008, questi due giganti in via di sviluppo hanno contribuito alla crescita del PIL mondiale più di quanto abbia fatto la UE.

Statistiche come queste dicono il contrario di un aumento della disuguaglianza globale. Divari di reddito e di ricchezza possono essere aumentati all'interno dei singoli paesi, ma il reddito pro capite nei paesi in via di sviluppo sta aumentando molto più velocemente di quello delle economie avanzate. E’ per questo che uno tra gli Obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite - dimezzare il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta - è stato raggiunto cinque anni prima del previsto.

Niente di tutto questo può negare che stiamo vivendo in tempi difficili e pieni di incertezze. Ma una cosa è chiara: economicamente, almeno, il mondo continua a diventare un posto migliore.
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