Mamma, è finito il petrolio?
Quali saranno le energie del futuro? Secondo diversi esperti il picco della produzione è stato raggiunto ed è finita l’era del petrolio a buon mercato. E’ vero? Chi ne prenderà il posto? Ecco quali opportunità e rischi si corrono quando si investe nelle energie pulite
di Redazione Soldionline 16 ott 2009 ore 15:46
A cura di Salvatore Gaziano di www.borsaexpert.it
Estratto dall’inchiesta di copertina del n. 7 di MoneyReport
Era il 27 agosto 1859 quando il primo pozzo di petrolio commerciale negli Stati Uniti iniziava la produzione. Partiva così la corsa all’oro nero ma anche la civilizzazione moderna. Fino ad allora il petrolio era certo conosciuto e utilizzato ma in modo, tutto sommato, rudimentale e non in grande scala. Con la nascita del mercato dell’illuminazione occorreva trovare un combustibile abbondante e a buon mercato. Fino a metà dell’800 ci si illuminava con candele (cera d’api) o olio di balena. Fu così che un gruppo di investitori si affidò al colonnello Edwin Drake, devoto della chiesa episcopale, anche per sperimentare un marchingegno a vapore di sua invenzione capace di bucare in profondità il terreno. Erano in molti a deridere Edwin Drake e la sua macchina, ma il 27 agosto 1859 dalla buca che stava scavando, a soli 21 metri sotto terra (e lui si aspettava di dover andare fino a 50-60 metri) la dura roccia cedette il posto a un liquido nerastro e puzzolente che iniziava a zampillare. E’ il primo giacimento di Titusville in Pennsylvania che inaugura l’era del petrolio. E della modernità intesa come civiltà delle macchine. L’abbondanza di idrocarburi a basso costo ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo della modernità e alla crescita della ricchezza.
Ma questo “Bengodi” è illimitato? Oppure l’era del petrolio a basso costo è agli sgoccioli, come sostengono alcuni, ed è iniziata già la fase di esaurimento progressivo delle scorte petrolifere, ovvero abbiamo già raggiunto il picco del petrolio. E’ l’argomento affrontato questo mese con un’inchiesta approfondita su MoneyReport.it di ottobre dove si parla a 360° del settore, analizzando anche pro e contro delle principali idee d’investimento.
Investire su vento, sole e biomasse è un affare per i risparmiatori o lo è soprattutto per gli intermediari e le società del settore? Sempre pronti a vendere un sogno di facile ricchezza per il popolo dei risparmiatori, confezionando prodotti finanziari ad hoc? Quali sono i rischi che si corrono? Quali tecnologie preferire e come valutare le aziende del settore?
Da alcuni anni l’attenzione verso le cosiddette energie alternative e rinnovabili è diventato fortissimo. Merito di una maggiore coscienza ecologica ma anche di una maggiore consapevolezza che la pacchia del petrolio a prezzi bassi sta finendo visto che questa materia prima non è infinita insieme a considerazioni geo-politiche. Basti pensare che l’Arabia Saudita detiene circa il 25% delle riserve di petrolio conosciute di tutto il mondo e nell’area del Golfo Persico si stimano in circa il 65% le riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre il 30% del totale mondiale ed è quindi l’unica area in grado di soddisfare le richieste energetiche future.
LA TEORIA DEL PICCO. E QUEGLI ALLARMI PRONUNCIATI GIA’ ALTRE VOLTE..

Ma l’era del petrolio sta veramente finendo e siamo agli “sgoccioli” come sostengono i seguaci della “teoria del picco”? E’ stato un geologo della compagnia petrolifera Shell, Marion King Hubbert, a formularla negli anni ’50. L’idea alla base della “teoria del picco del petrolio” è che questa risorsa, non essendo infinita, prima o poi arriverà al declino seguendo una rappresentazione grafica simile a una curva a campana. Sebbene fosse stato scarsamente preso in considerazione dai suoi colleghi del settore, Hubbert centrò la previsione visto che dagli anni’ 70 in poi negli Stati Uniti la produzione di petrolio ha iniziato a calare. Secondo i seguaci di questa teoria il top della produzione mondiale di petrolio è stato raggiunto in questi anni (o ci siamo molto vicini) ed è iniziata già l’inevitabile fase discendente. Il rialzo dei prezzi, talvolta drammatico, a cui abbiamo iniziato ad assistere (come il top di 150 dollari al barile raggiunto lo scorso anno) è solo un prodromo di quello che accadrà. Aggravato anche da una domanda di energia che si è moltiplicata con l’irrompere sul palcoscenico mondiale di alcune economie estremamente voraci di petrolio e fonti assimilate come la Cina e l’India. Basti pensare che fra il 2000 e il 2007 la domanda giornaliera di petrolio è cresciuta di 9,4 milioni di barili. E quasi l’85% di questo incremento è venuto dai Paesi Emergenti.
In pratica, secondo i più pessimisti ancora pochi decenni e il mondo entrerà in “riserva” se non proprio in un “collasso energetico”. Difficile farsi un’opinione super partes sull’argomento poiché è bene ricordare che già altre volte negli ultimi decenni si era già gridato alla catastrofe energetica. Nel 1910 il Servizio Geologico degli Stati Uniti affermò che i pozzi si sarebbero esauriti nel giro di un ventennio. Un allarmante articolo comparso nel 1951 sul «New York Times» annunciava che, in base alla stima di allora, le riserve petrolifere conosciute avrebbero permesso di produrre idrocarburi ancora per poco. Già alla fine degli anni ’60, secondo questo studio, si sarebbe rimasti all’asciutto. Ma lo studio del passato che ha maggiormente destato scalpore e controversie fu quello elaborato negli anni ’70 dal Massachussets Institute of Technology e fatto proprio da un centinaio di scienziati e Premi Nobel associati al Club di Roma e che riguardava proprio i limiti dello sviluppo. Si prediceva già allora che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. Le polemiche su quello studio durano ancora oggi visto che sulla data di “scadenza” delle fonti fossili non c’è mai comunione di veduta fra gli scienziati e la lotta fra gli ottimisti e i pessimisti è senza esclusione di colpi. Anche perché qualsiasi previsione si basa sul rapporto tra la quantità di riserve economicamente producibili nel mondo e la quantità di idrocarburi prodotti all’anno. Il cosiddetto fattore «R/P».
Tutto questo per dire che la matematica del petrolio è un opinione, ai confini fra scienza e fantascienza. Di nero intorno al petrolio non c’è soltanto il colore. La trasparenza è sempre qualcosa di relativo. Anche riguardo le riserve.
LE SCOPERTE DI NUOVI GIACIMENTI. TROPPO POCO E TROPPO ARDUE…
Capire quanto petrolio ci sia sottoterra è quindi un mistero per quanto alti prezzi del petrolio aiutano sicuramente gli investimenti nel settore come si è già visto negli ultimi 2 anni. Ma evidentemente il petrolio o i giacimenti di gas naturali che si scoprono oggi sono sempre più di frontiera. Il petrolio “leggero” (di facile raffinazione) e “dolce” (non troppo carico di zolfo) sarà sempre più difficile da trovare come dimostra Tiber, il maxi-giacimento scoperto dalla British Petroleum nel Golfo del Messico un mese fa. Una scoperta apparentemente clamorosa visto che è un giacimento classificato come gigante, forte di almeno mezzo miliardo di barili di greggio recuperabili. Andare a prendere tutto questo petrolio non sarà però una passeggiata visto che si trova in mezzo all’oceano, a 400 chilometri a sud-est di Houston (Usa) in acque fra le più profonde mai scoperte dall'industria petrolifera e del gas: circa 10,6 chilometri di profondità. Non certo un buco nell’acqua. Il picco globale potrebbe, secondo l'Aie (l’agenzia internazionale dell’energia), essere rimandato a dopo il 2030 solo se si comincerà a produrre petrolio da risorse il cui sviluppo richiederebbe ingenti investimenti: la stima è di ventiseimila miliardi di dollari. “Dall'inizio degli anni ‘80 consumiamo più di quanto troviamo. Gli investimenti di cui si parla appaiono fuori dalla portata di qualsiasi compagnia petrolifera pubblica o privata - osserva Luca Pardi, vicepresidente di Aspo Italia (l’associazione per lo studio del picco del petrolio, del gas e delle materie prime) e primo ricercatore dell'Istituto per i processi chimico-fisici del Cnr - La produzione globale oggi arriva a 83-85 milioni di barili al giorno. Il livello è lo stesso dal 2004. I modelli secondo noi più attendibili indicano un possibile momento di picco per il 2010”.
IL FUTURO DELLE ENERGIE PULITE
Il passaggio dagli idrocarburi alle energie cosiddette alternative o rinnovabili (vento, sole, biomasse) non sarà quindi un passaggio facile e immediato. “Le energie rinnovabili sono affascinanti e probabilmente contribuiranno in modo crescente al nostro fabbisogno energetico. Ma non sono, e non lo saranno nemmeno domani, la soluzione.
“Vento e sole rappresentano certo il futuro ma i prossimi anni saranno comunque sempre a favore del petrolio e del gas naturale”. Parola di Emanuele Oggioni, gestore azionario Europa di Saint George Capital Management, società svizzera di gestione del risparmio del gruppo Fondiaria Sai e che in questa inchiesta conversa a fondo con l’ufficio studi di BorsaExpert.it.
Il settore delle energie pulite è salito moltissimo negli anni passati ma nell’ultimo anno si è assistito a uno sboom. Il fascino delle energie alternative resta elevato ma le minacce e i pericoli sempre in agguato. La vittoria in Germania della Merkel e del centro-destra ha rilanciato l’opzione nucleare e ha provocato un’immediata reazione negativa verso i titoli delle energie rinnovabili anche perché si parla sempre più di tagli ai sussidi e agli incentivi. “Molte società quotate fino a poco tempo fa erano a piccola e media capitalizzazione borsisistica. È logico quindi che questi titoli si muovano con una volatilità elevata quando arrivano flussi ingenti sull’azionario, gonfiando o sgonfiando velocemente le quotazioni. Quando poi il petrolio sale, come nel 2008, si creano delle vere e proprie mode da bolla speculativa. Ora però si può riguardare il settore ed essere molto selettivi”. E anche informati visto che nel settore delle rinnovabili si susseguono le tecnologie. “Ora la tecnologia più nel solare sembra il CSP (concentrated solar thermal power) che dà il suo meglio in aree desertiche o semi desertiche e sfrutta specchi che concentrano la luce solare generando temperature elevatissime (come gli impianti di Abengoa realizzati in Spagna vicino Siviglia). Queste temperature rimangono elevate per diverse ore dopo il tramonto del sole, così da poter generare ulteriormente energia elettrica. Si tratta quindi del sistema più efficiente e anche più economico al momento (costa circa il 20% in meno delle tecnologie solari a pannelli)”.
SONO GLI IDROCARBURI (E NON IL CRODINO) A FAR GIRARE IL MONDO

Picco o non picco rinunciare alle fonti fossili non è facile e la loro resa energetica è tuttora ineguagliabile. Oggi il 62% della produzione di energia proviene dal petrolio e dal gas naturale e secondo alcuni studi per tutto questo secolo il contributo di queste risorse (con un sorpasso del gas naturale sul petrolio) resterà sopra il 50% gradualmente sostituito da fonti alternative, alcune rinnovabili (energia eolica, solare...), altre no (nucleare, carbone…).
Nonostante, infatti, i fortissimi investimenti nel settore la quota di energia prodotta dalle “rinnovabili” è ancora limitata. Poco più del 10%. Il mondo va a petrolio (37% dei consumi), gas naturale (25%), carbone (23%) e nucleare (5%). Le energie rinnovabili pesano ancora poco seppure i massicci investimenti nel settore potrebbero accelerarne la crescita.
Ma sarebbe ancora prematuro gridare alla fine del petrolio. Nei prossimi 50 anni il petrolio magari non sarà più la risorsa n.1 fra le fonti energetiche disponibili ma è difficile credere che sia effettivamente agli sgoccioli. Prima che le fonti rinnovabili dominino il mondo occorrerà aspettare il nuovo secolo e oltre, come è avvenuto nel passato dove diverse fonti energetiche si sono affiancate con una che ha assunto un ruolo predominante. Fino al 1955 è stato il carbone, poi il petrolio. Nei prossimi decenni sarà la volta del gas naturale e poi forse (secondo gli studi più diffusi) fra mezzo secolo quello delle fonti rinnovabili, salvo che qualche nuova tecnologia o scoperta non modifichi improvvisamente il corso della storia. Intanto, comunque, capire quali potranno essere le aziende europee specializzate in energia pulita (che trattiamo anche in questa inchiesta di MoneyReport.it a cui ci può registrare gratuitamente per ottenere un numero Saggio) può essere una buona base di partenza.
Per scaricare l’anteprima del numero di MoneyReport di ottobre clicca qui
Estratto dall’inchiesta di copertina del n. 7 di MoneyReport

Ma questo “Bengodi” è illimitato? Oppure l’era del petrolio a basso costo è agli sgoccioli, come sostengono alcuni, ed è iniziata già la fase di esaurimento progressivo delle scorte petrolifere, ovvero abbiamo già raggiunto il picco del petrolio. E’ l’argomento affrontato questo mese con un’inchiesta approfondita su MoneyReport.it di ottobre dove si parla a 360° del settore, analizzando anche pro e contro delle principali idee d’investimento.
Investire su vento, sole e biomasse è un affare per i risparmiatori o lo è soprattutto per gli intermediari e le società del settore? Sempre pronti a vendere un sogno di facile ricchezza per il popolo dei risparmiatori, confezionando prodotti finanziari ad hoc? Quali sono i rischi che si corrono? Quali tecnologie preferire e come valutare le aziende del settore?
Da alcuni anni l’attenzione verso le cosiddette energie alternative e rinnovabili è diventato fortissimo. Merito di una maggiore coscienza ecologica ma anche di una maggiore consapevolezza che la pacchia del petrolio a prezzi bassi sta finendo visto che questa materia prima non è infinita insieme a considerazioni geo-politiche. Basti pensare che l’Arabia Saudita detiene circa il 25% delle riserve di petrolio conosciute di tutto il mondo e nell’area del Golfo Persico si stimano in circa il 65% le riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre il 30% del totale mondiale ed è quindi l’unica area in grado di soddisfare le richieste energetiche future.
LA TEORIA DEL PICCO. E QUEGLI ALLARMI PRONUNCIATI GIA’ ALTRE VOLTE..

Ma l’era del petrolio sta veramente finendo e siamo agli “sgoccioli” come sostengono i seguaci della “teoria del picco”? E’ stato un geologo della compagnia petrolifera Shell, Marion King Hubbert, a formularla negli anni ’50. L’idea alla base della “teoria del picco del petrolio” è che questa risorsa, non essendo infinita, prima o poi arriverà al declino seguendo una rappresentazione grafica simile a una curva a campana. Sebbene fosse stato scarsamente preso in considerazione dai suoi colleghi del settore, Hubbert centrò la previsione visto che dagli anni’ 70 in poi negli Stati Uniti la produzione di petrolio ha iniziato a calare. Secondo i seguaci di questa teoria il top della produzione mondiale di petrolio è stato raggiunto in questi anni (o ci siamo molto vicini) ed è iniziata già l’inevitabile fase discendente. Il rialzo dei prezzi, talvolta drammatico, a cui abbiamo iniziato ad assistere (come il top di 150 dollari al barile raggiunto lo scorso anno) è solo un prodromo di quello che accadrà. Aggravato anche da una domanda di energia che si è moltiplicata con l’irrompere sul palcoscenico mondiale di alcune economie estremamente voraci di petrolio e fonti assimilate come la Cina e l’India. Basti pensare che fra il 2000 e il 2007 la domanda giornaliera di petrolio è cresciuta di 9,4 milioni di barili. E quasi l’85% di questo incremento è venuto dai Paesi Emergenti.
In pratica, secondo i più pessimisti ancora pochi decenni e il mondo entrerà in “riserva” se non proprio in un “collasso energetico”. Difficile farsi un’opinione super partes sull’argomento poiché è bene ricordare che già altre volte negli ultimi decenni si era già gridato alla catastrofe energetica. Nel 1910 il Servizio Geologico degli Stati Uniti affermò che i pozzi si sarebbero esauriti nel giro di un ventennio. Un allarmante articolo comparso nel 1951 sul «New York Times» annunciava che, in base alla stima di allora, le riserve petrolifere conosciute avrebbero permesso di produrre idrocarburi ancora per poco. Già alla fine degli anni ’60, secondo questo studio, si sarebbe rimasti all’asciutto. Ma lo studio del passato che ha maggiormente destato scalpore e controversie fu quello elaborato negli anni ’70 dal Massachussets Institute of Technology e fatto proprio da un centinaio di scienziati e Premi Nobel associati al Club di Roma e che riguardava proprio i limiti dello sviluppo. Si prediceva già allora che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. Le polemiche su quello studio durano ancora oggi visto che sulla data di “scadenza” delle fonti fossili non c’è mai comunione di veduta fra gli scienziati e la lotta fra gli ottimisti e i pessimisti è senza esclusione di colpi. Anche perché qualsiasi previsione si basa sul rapporto tra la quantità di riserve economicamente producibili nel mondo e la quantità di idrocarburi prodotti all’anno. Il cosiddetto fattore «R/P».
Tutto questo per dire che la matematica del petrolio è un opinione, ai confini fra scienza e fantascienza. Di nero intorno al petrolio non c’è soltanto il colore. La trasparenza è sempre qualcosa di relativo. Anche riguardo le riserve.
LE SCOPERTE DI NUOVI GIACIMENTI. TROPPO POCO E TROPPO ARDUE…

IL FUTURO DELLE ENERGIE PULITE
Il passaggio dagli idrocarburi alle energie cosiddette alternative o rinnovabili (vento, sole, biomasse) non sarà quindi un passaggio facile e immediato. “Le energie rinnovabili sono affascinanti e probabilmente contribuiranno in modo crescente al nostro fabbisogno energetico. Ma non sono, e non lo saranno nemmeno domani, la soluzione.

Il settore delle energie pulite è salito moltissimo negli anni passati ma nell’ultimo anno si è assistito a uno sboom. Il fascino delle energie alternative resta elevato ma le minacce e i pericoli sempre in agguato. La vittoria in Germania della Merkel e del centro-destra ha rilanciato l’opzione nucleare e ha provocato un’immediata reazione negativa verso i titoli delle energie rinnovabili anche perché si parla sempre più di tagli ai sussidi e agli incentivi. “Molte società quotate fino a poco tempo fa erano a piccola e media capitalizzazione borsisistica. È logico quindi che questi titoli si muovano con una volatilità elevata quando arrivano flussi ingenti sull’azionario, gonfiando o sgonfiando velocemente le quotazioni. Quando poi il petrolio sale, come nel 2008, si creano delle vere e proprie mode da bolla speculativa. Ora però si può riguardare il settore ed essere molto selettivi”. E anche informati visto che nel settore delle rinnovabili si susseguono le tecnologie. “Ora la tecnologia più nel solare sembra il CSP (concentrated solar thermal power) che dà il suo meglio in aree desertiche o semi desertiche e sfrutta specchi che concentrano la luce solare generando temperature elevatissime (come gli impianti di Abengoa realizzati in Spagna vicino Siviglia). Queste temperature rimangono elevate per diverse ore dopo il tramonto del sole, così da poter generare ulteriormente energia elettrica. Si tratta quindi del sistema più efficiente e anche più economico al momento (costa circa il 20% in meno delle tecnologie solari a pannelli)”.
SONO GLI IDROCARBURI (E NON IL CRODINO) A FAR GIRARE IL MONDO

Picco o non picco rinunciare alle fonti fossili non è facile e la loro resa energetica è tuttora ineguagliabile. Oggi il 62% della produzione di energia proviene dal petrolio e dal gas naturale e secondo alcuni studi per tutto questo secolo il contributo di queste risorse (con un sorpasso del gas naturale sul petrolio) resterà sopra il 50% gradualmente sostituito da fonti alternative, alcune rinnovabili (energia eolica, solare...), altre no (nucleare, carbone…).
Nonostante, infatti, i fortissimi investimenti nel settore la quota di energia prodotta dalle “rinnovabili” è ancora limitata. Poco più del 10%. Il mondo va a petrolio (37% dei consumi), gas naturale (25%), carbone (23%) e nucleare (5%). Le energie rinnovabili pesano ancora poco seppure i massicci investimenti nel settore potrebbero accelerarne la crescita.
Ma sarebbe ancora prematuro gridare alla fine del petrolio. Nei prossimi 50 anni il petrolio magari non sarà più la risorsa n.1 fra le fonti energetiche disponibili ma è difficile credere che sia effettivamente agli sgoccioli. Prima che le fonti rinnovabili dominino il mondo occorrerà aspettare il nuovo secolo e oltre, come è avvenuto nel passato dove diverse fonti energetiche si sono affiancate con una che ha assunto un ruolo predominante. Fino al 1955 è stato il carbone, poi il petrolio. Nei prossimi decenni sarà la volta del gas naturale e poi forse (secondo gli studi più diffusi) fra mezzo secolo quello delle fonti rinnovabili, salvo che qualche nuova tecnologia o scoperta non modifichi improvvisamente il corso della storia. Intanto, comunque, capire quali potranno essere le aziende europee specializzate in energia pulita (che trattiamo anche in questa inchiesta di MoneyReport.it a cui ci può registrare gratuitamente per ottenere un numero Saggio) può essere una buona base di partenza.
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