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La Dow/Gold Ratio

La Dow/Gold ratio è uno dei dati che suscita più interesse tra gli investitori. Google per esempio rimanda circa 5 milioni di risultati, e 650 storie uniche per la ricerca con termini “Dow/Gold Ratio”

di Redazione Soldionline 10 lug 2012 ore 15:56
Di Adrian Ash - BullionVault

La Dow/Gold ratio è uno dei dati che suscita più interesse tra gli investitori. Google per esempio rimanda circa 5 milioni di risultati, e 650 storie uniche per la ricerca con termini “Dow/Gold Ratio”.  Con punte massime a fine 2008 e metà 2011, i risultati equivalgono in numero il volume di ricerca per “Treasury bonds”, un mercato che complessivamente vale il doppio rispetto al valore di tutto l’oro esistente al mondo. Perché questo interesse?
La Dow/Gold Ratio mappa nel tempo in quale modo l’indice Dow Jones del mercato azionario americano performa in termini di oro, invece che in dollari. La ratio viene calcolata dividendo i punti nel Dow Jones Industrial Average (DJAI) per il prezzo dell’oro in dollari all’oncia. Lo scopo è di mostrare in che modo gli investimenti nella Corporate America “l’economia più efficace del mondo” (così chiamata da Niall Ferguson, professore ad Harvard) stanno performando se paragonati all’oro, il metallo che tradizionalmente non produce rendimenti e null’altro fa (tant’è vero che neppure arrugginisce).

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Gli investimenti nella Corporate America erano particolarmente negativi 80 anni fa, per esempio. Mentre la Grande Depressione avanzava la Dow/Gold Ratio segnò proprio il 4 luglio il dato inferiore del 1900 fino a quel momento.
Il venerdì successivo, l’8 luglio 1932, il Dow chiuse a solo 41 punti, mentre il prezzo dell’oro era fissato a $20,67 all’oncia, il prezzo ufficiale stabilito dallo standard aureo che agganciava il dollaro all’oro. Valutato in oro (che a quel tempo era ancora vero e proprio denaro) il mercato azionario americano calò sotto il 2,0, un crollo di oltre il 90% dal picco che era stato raggiunto appena tre anni e mezzo prima, che significò il livello più basso di tutto il XX secolo.
L’indice Dow riuscì a fare persino peggio rispetto al prezzo dell’oro a gennaio 1980, quanto la Dow/Gold Ratio sprofondò all’1,0, un calo del 96% rispetto al record del capodanno 1966. Chi ha investito in equities allora può rincuorarsi grazie al cambio di direzione degli ultimi 10 mesi, perché scivolando dal nuovo record massimo sopra i 40 avvenuto durante la bolla tecnologica, la Dow/Gold Ratio ha recuperato dopo aver toccato a settembre 2011 il minimo in venti anni a 6,5.
Per dirla tutta, il Dow Jones ha sovraperformato il prezzo dell’oro del 25% dalla scorsa estate. Pensate a quale sarebbe stata la percentuale di tale sovraperformance se nel 2009, quando il Dow è stato aggiornato, la Apple fosse stata aggiunta all’Average invece che, per esempio, Cisco.
Questo è il problema nel ritenere il Dow una guida seria  ed efficace. Questo almeno dicono i detrattori, e in effetti ci sono dei motivi validi per tale argomentazione.
Per quanto non sia immutabile (come invece è l’oro) il Dow cambia ben poco, nonostante le mutevoli fortune delle più importanti azioni americane. Inoltre, il Dow include solo 30 dei migliaia di titoli disponibili dei mercati US, e si tratta di 30 titoli scelti da un comitato che segue pochissime regole. L’indice tra l’altro non soppesa tali 30 titoli a seconda della loro capitalizzazione. Ecco come funziona: viene sommato il prezzo di ciascun titolo, e poi lo si divide per un “divisore Dow” che è un numero arbitrario (al momento è 0.132129493, si legge sul Wall Street Journal) che è soggetto a modifica ogni volta che avvenga una ricapitalizzazione o una sostituzione delle aziende comprese nel paniere. Significa quindi che i titoli con un prezzo di alto hanno più impatto di titoli con prezzo più basso anche se di aziende con minore capitalizzazione.
Come guida per definire l’America delle Corporation il DJAI non è quindi efficace. Gli indici più completi, che pesano i titoli a seconda della capitalizzazione sul mercato, lo sono invece di più?

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Non c’è quindi un’enorme differenza tra il Dow Jones e il più completo e rigoroso S&P 500. Perlomeno non se vengono paragonati per valutare l’investimento in titoli azionari con quello in oro. A dirla tutta, partendo dal momento di picco storico il Dow ha performato meno peggio contro l’oro di quanto abbia fatto il S&P 500. Un’oncia d’oro oggi compra  titoli Dow Jones per un valore che è 5,1 volte di quello che era a metà dello scorso decennio. Il rapporto relativamente allo S&P 500 è del 6,4.
La Dow/Gold Ratio cattura quindi in maniera piuttosto ampia la maniera in cui il denaro investito nella Corporate America ha performato male se paragonato all’oro, metallo immutabile e relativamente inutile, ma in grado di proteggere contro un eventuale perdita completa del capitale. L’oro è stato chiaramente il modo perfetto per conservare il capitale nel momento in cui i rendimenti dei titoli azionari sono stati travolti dai rischi. La Dow/Gold Ratio è anche l’indicatore a lungo termine perfetto per chi è contrario agli investimenti in titoli azionari sempre e a prescindere.
“Mi aspetto che la tendenza (del prezzo dell’oro rispetto al Dow) prosegua invariata per i prossimi anni” ha dichiarato nel 2005 Marc Faber (wealth manager di origine svizzera basato in Asia) cinque anni dopo che la Dow/Gold Ratio aveva iniziato la discesa. Alla fine del ciclo, ha previsto, “Chi possiede oro potrà comprare un punto Dow Jones con un’oncia d’oro”. Ad inizio 2009, Faber ha rivisto la sua opinione: “Arriverà un momento in cui il prezzo dell’oro sarà più alto del Dow Jones” dichiarò a gennaio 2009 durante una tavola rotonda organizzata da Barron’s. La stessa ratio di 1:1 (che si vide brevemente nel 1980 quando il prezzo dell’oro raggiunse il picco e i titoli azionari viravano verso quella che sarebbe stata l’occasione di acquisto migliore) viene menzionata anche dalla cassandra dei mercati Bob Janjuah di Nomura (nel novembre 2011, e poi a marzo e aprile 2012).
“Ritengo che il prezzo in dollari di un’oncia d’oro e il Dow convergeranno vicino o ad 1, entro i prossimi 2 anni. Sono convinto che accadrà, quello che non sono in grado di prevedere è se convergeranno a 7.000 o a 14.000.”
Detto in altre parole, il Dow potrebbe rimanere dove è, oppure dimezzare il valore. Secondo l’analisi di Janjuah, l’oro varrà comunque molto di più.
Si potrebbe obiettare che riferirsi alla Dow/Gold Ratio per prevedere l’andamento dei mercati azionari sia piuttosto ingenuo. Sopratutto se si ritiene che il minimo storico della ratio dell’inizio degli anni ’80 (inferiore anche a quello della Grande Depressione) debba essere toccato di nuovo prima di poter parlare di bear market per le azioni.
Inoltre, ritenere necessario un ritorno a quei livelli implicherebbe che l’oro è già sopravvalutato e le azioni sono convenienti, visto che sia la ratio Dow/Gold che la S&P/Gold sono al momento oltre il 50% delle medie della metà del secolo scorso. Un’analisi meno catastrofista potrebbe prendere in considerazione un punto di svolta non così eccessivi. Gli investitori meno aggressivi potrebbero quindi non volere a tutti i costi centrare il minimo, e farsi bastare la sestuplicazione del valore deli titoli in termini di oro avvenuta a partire dal 2000 ad oggi.
Il punto è che se la Dow/Gold Ratio finisse davvero a 1,0, si assisterebbe ad un ulteriore moltiplicazione per sei del valore dell’oro contro il Dow. Anche comprando molto prima del cataclisma finale sui mercati azionari (che è quello che avverrebbe se il Dow/Gold Ratio andasse ad 1), anche salvandosi dal fallimento delle corporations (1 su 14 dei titoli quotati sparì dal NY Stock Exchange dal ’29 al ’33, e 1 su 28 dal ’78 al ’82), il broker presso il quale si mantiene il conto titoli avrebbe comunque enormi difficoltà a sopravvivere mentre il mercato azionario affonda. Comprare oro fornisce protezione contro il fallimento finanziario di qualsiasi istituzione, esponendo l’investimento esclusivamente al rischio legato al prezzo dell’oro, e proteggendo dal rischio di perdita totale dell’investimento.
Questi sono gli elementi che portarono il prezzo dell’oro all’oncia alla parità con il Dow nel 1932 e nel 1980. Se si dovesse arrivare ancora a quel livello, rinunciare all’oro per comprare titoli azionari sarà riservato certamente a pochissimi coraggiosi. 

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