Petrolio, una corsa senza fine?
A differenza che negli anni Settante, l’attuale crisi petrolifera è stata fin troppo a lungo minimizzata da analisti e operatori, col risultato che ora non sono prevedibili soluzioni a breve al problema. In attesa che la politica e le aziende facciano la loro parte, agli investitori potrebbe convenire un atteggiamento opportunistico: puntare sul settore delle energie alternative.
di La redazione di Soldionline 22 mag 2008 ore 11:54Crisi dei mercati finanziari atto secondo: se nel momento di euforia relativa che in aprile e nella prima metà di maggio ha consentito ai listini di rimbalzare poderosamente dai minimi di fine marzo tutto sembrava tornato sereno, da qualche giorno alcuni scricchiolii sinistri sono tornati a far sentire la propria eco sui mercati. Qualche dato macro peggiore del previsto, come la produzione industriale in improvvisa e forte contrazione in Italia, o un surplus commerciale giapponese dimezzatosi ad aprile, ma soprattutto un petrolio senza freni, arrivato al nuovo record di 133,17 dollari al barile, hanno raggelato l'entusiasmo degli investitori nonostante ormai sia dato per scontato che "il peggio è alle spalle" sul mercato dei crediti, quello per intenderci dove l'esplosione dei mutui subprime aveva lo scorso luglio posto fine al mercato toro che durava da oltre quattro anni.
Già, il petrolio: mentre l'oro ha ritracciato in queste settimane dai record dei mille dollari l'oncia, sotto la pressione di prese di beneficio da parte dei grandi investitori finanziari che hanno ridotto le proprie posizioni per investire in qualche caso proprio sui mercati azionari, il petrolio zitto zitto ha continuato a salire, con la prospettiva che non sia finita qui se è vero quanto sostiene Goldman Sachs che nel secondo semestre dell'anno il prezzo medio sarà di almeno 141 dollari al barile. Il che vorrebbe dire un incremento del 100% nell'arco di poco più di dodici mesi, dopo che già da un biennio il petrolio, e con lui le principali fonti energetiche, segnano incrementi a doppia cifra delle proprie quotazioni. Perché tutto questo? Perché il mondo cresce, i paesi emergenti dopo decenni mantengono le loro promesse ed emergono, in particolare i quattro del "Bric" (Brasile, Russia, India e Cina, che hanno infatti annunciato di voler fare un G4 per proprio conto), perché gli investimenti nel settore energetico sono rimasti modesti per anni ed ora faticano a reggere il ritmo di crescita della domanda. Perché la finanziarizzazione globale favorisce la speculazione sugli strumenti derivati legati alle materie prime.
Ma il fatto forse più grave, almeno psicologicamente, è che per mesi analisti e investitori hanno rimosso il problema: si è detto che l'incremento del petrolio era inevitabile e correggeva una situazione di eccessiva depressione dei prezzi precedente; che comunque faceva bene ai bilanci delle compagnie del settore e dunque dava una mano ai listini alle prese con la crisi dei finanziari, che presto o tardi lo stesso aumento dei prezzi avrebbe frenato un poco la crescita finendo dunque con l'esaurirsi. La verità è che così non si è colto per tempo la gravità del problema che si risolve in una semplice constatazione: non è possibile garantire uno stile di vita (e di consumi) simile a quelli occidentali a tutti gli abitanti del pianeta o anche solo a 4-5 miliardi di essi, come si avranno tra pochi anni conteggiando solo i paesi dell'Ocse e del Bric.
Delle due l'una, o si cambiano stili di consumo, in particolare in campo energetico, o si trovano soluzioni alternative, ma si sappia che nulla al momento è pronto che non abbia controindicazioni: sole e vento nonostante i progressi tecnologici non basteranno, secondo le stime, che a coprire un 10%-20% del fabbisogno, il nucleare produce scorie fissili la cui gestione è al momento quasi impossibile (ci si accapiglia in tutto il mondo per aprire una discarica di rifiuti urbani o un inceneritore, figuriamoci un deposito nucleare, anche senza pensare ai rischi di attentati terroristici connessi), gli investimenti per la ricerca (specie in Italia come già ricordato le scorse settimane) languono o vengono destinati ad altro.
La scarsa sensibilità al tema ha finora prodotto fenomeni allarmanti, come l'introduzione di nuovi modelli di automobili all'insegna del maggiore confort e della maggiore potenza, che si traducono in una maggiore necessità di carburante; la volontà di vivere in una sorta di eterna primavera moltiplica la domanda di impianti di condizionamento ovunque, il che fa crescere i consumi di elettricità; la scarsa attenzione al tema dei rifiuti impedisce di gestire correttamente almeno queste produzioni e di tentare di ricavare da esse parte dell'energia che consumiamo (ne parleranno proprio a Napoli l'associazione Campania Start-Up e il Dipartimento di Energia e Trasporti del Cnr, cercando di fare il punto sulle potenzialità e sulle condizioni richieste per raggiungere e realizzare, da qui al 2020, gli obiettivi europei relativi ai rifiuti ed alle fonti di energia rinnovabili in un convegno dal titolo "Le industrie per la produzione di energia da biomasse e da rifiuti").
In questo la crisi petrolifera del XXI secolo è peggiore di quelle degli scorsi decenni: negli anni Settanta infatti le risposte all'emergenza furono rapide, dalle domenica a targhe alterne all'introduzione di nuovi motori e nuovi modelli "energy saving" in tutti i campi, dall'elettronica di consumo all'auto. Risposte che al momento,invece, non vengono né dalla politica né dalle aziende private, nonostante i segnali di una certa attenzione al fenomeno da parte dei consumatori (che stanno spontaneamente, ossia per propri vincoli di reddito, riducendo i consumi di carburante e iniziando a comprare auto di cilindrata più piccola) non manchino. Dal punto di vista degli investimenti dunque il consiglio è di estrema cautela: puntare ora sul petrolio potrebbe garantire ulteriori soddisfazioni in termini di trading, ma a rischi crescenti. Scommettere sull'introduzione di nuovi prodotti "risparmiosi" da parte dei produttori automobilistici o dell'elettronica di consumo appare ancora azzardato (salvo forse qualche nome come Toyota che si è mossa per tempo in questi anni). Resta da non sottovalutare il tema delle rinnovabili, che da mesi sta facendo la fortuna di alcuni titoli di società che hanno fiutato l'aria e iniziato a investire nel settore, un atteggiamento opportunistico che finora ha ripagato meglio le attese: non comprerete carta a buon mercato, ma in attesa che lo scenario si faccia più chiaro potrebbe essere la scelta migliore.