ETF short: una nuova forma di speculazione
L’andamento negativo degli indici azionari che fa del 2009 il peggiore inizio anno della storia dell’S&P500 lascia perplessa la maggiore parte degli addetti ai lavori. Pur a fronte di un quadro economico molto negativo, esistono infatti alcuni elementi positivi. Perché allora gli indici azionari non riescono a rimbalzare?
di Redazione Soldionline 2 mar 2009 ore 10:13A cura di Jc&Associati
26 febbraio,
Premessa:
L’andamento negativo degli indici azionari che fa del 2009 il peggiore inizio anno della storia dell’S&P500 lascia perplessa la maggiore parte degli addetti ai lavori.
Pur a fronte di un quadro economico molto negativo, esistono infatti alcuni elementi positivi.
L’Amministrazione Bush che negli Stati Uniti a causa dell’eccesso di deregulation o di regole sbagliate ha notevoli responsabilità nella crisi in atto, è stata sostituita.
I tassi di interesse sono stati portati a livelli record, e sebbene le banche non siano ancora nuovamente attive del lending, si tratta della principale condizione per fare ripartire la congiuntura economica.
I governi dei paesi industrializzati e dei principali emergenti hanno implementato piani di stimolo record, a livello di consumatore (sgravi fiscali), con interventi diretti su settori (auto, trasporti..), con interventi diretti alla crescita (piano infrastrutturale ed ecologico).
I rendimenti delle classi di investimento meno rischiose sono oramai minimi.
Infine un consumatore mediamente oberato dai debiti (meno in Asia ed Europa, più nei paesi anglosassoni) recupera potere di acquisto grazie a benzina e gasolio meno cari, a rate del mutuo a tasso variabile in continuo calo, a bollette dei servizi di pubblica utilità che tenderanno a diminuire, infine ad un generalizzato calo dei prezzi dei beni discrezionali.
Gli Stati Uniti a breve forniranno tutti i dettagli del piano finanziario che dovrebbe riportare in equilibrio il disastrato sistema bancario. Così come già nel primo trimestre cominceranno a sentirsi gli effetti del piano di stimoli.
Perché allora gli indici azionari non riescono a rimbalzare?
Perché dopo uno dei peggiori anni della storia per l’S&P500 (il 2008), nell’anno in corso la maggiore parte degli indici azionari ha una performance negativa tra il 15 e il 20%?
Proviamo a dare una risposta, che probabilmente lascerà perplessi alcuni investitori.
Quando una classe di investimento non si adegua a nessun possibile nuovo catalyst del mercato, ovvero eventi in grado di invertire almeno momentaneamente (se non strutturalmente) un trend in corso, si può cominciare a ipotizzare una bolla speculativa.
Nel 2000 c’è stata la bolla delle società internet. Sebbene fosse palese che le valutazioni sul fatturato fossero fuori da ogni logica, fino al marzo 2001 il comparto continuava inesorabilmente a salire.
Nel 2008 si è consumata la bolla speculativa del petrolio, che JC&Associati ha ripetutamente evidenziato. Anche nel momento in cui era chiaro che i paesi industrializzati avevano sensibilmente ridotto i consumi, il petrolio ha continuato a salire.
Sempre nel 2008 il dollaro ha toccato i minimi pluriennali contro la maggiore parte delle valute, nonostante fosse evidente che il deficit commerciale degli Stati Uniti fosse in costante recupero, così come il differenziale del potere di acquisto con le altre aree geografiche era troppo evidente.
Infine la situazione attuale (con diversi fattori tipo i default rate impliciti nel debito societario che scontano una crisi peggiore di quella del 1929) in cui è probabile che nei prossimi mesi anche i dati macroeconomici più penalizzati (consumo, occupazione, produzione, real estate) cominceranno a stabilizzarsi se non addirittura a fornire qualche segnale di recupero.
Cosa hanno in comune queste 4 patologie di mercato?
Da un lato una politica commerciale del sistema finanziario a dire poco miope, dall’altra una mancanza di capacità di pensiero “contrarian” da parte degli investitori.
Primo punto: le istituzioni finanziarie che trattano prodotti finanziari sovente vendono quello che è facile vendere. Non quello che sarebbe logico vendere in base alla valutazione corrente delle singole classi di investimento, tantomeno in base alle esigenze del singolo investitore/cliente.
Il circolo è perverso: il cliente subisce un bombardamento in termini di pubblicità e di titoli di giornali (anche essi cavalcano le notizie più “calde”), gli analisti sell-side inseguono i prezzi anziché anticiparli.
Il risultato è che il cliente investe in ciò che è di moda, evitando ciò che non è di moda (ma che magari è contraddistinto da valutazioni più appetibili).
Magari attaccandosi al trend l’investitore ottiene dei risultati nel brevissimo termine; perderà invece irrimediabilmente valore nel medio periodo.
Secondo punto: non è che non ci siano dei fondamenti nella fase iniziale di ogni bolla speculativa, solo che bisogna prendere profitto ed uscire prima che il trend si inverta. Perché l’inversione è talmente rapida che non concede il tempo di riposizionarsi, se non agli investitori più veloci nel comprendere il cambio di scenario.
E’ palese che internet e la banda larga sono state per il momento la principale rivoluzione del nuovo secolo, che il petrolio dopo anni di scarsità di investimenti sia diventato motivo di interesse, che il dollaro sia stato venduto anche in seguito finanza sconsiderata e alla politica estera dell’Amministrazione Bush e che gli indici azionari scendano a fronte di una crisi economica molto grave.
Ma è a nostro avviso altrettanto palese che internet richiederà circa 20 anni perché la banda larga abbia una diffusione totale, che il petrolio per quanto scarso non finirà domani o dopodomani, che il dollaro non è diventato una valuta emergente, che i paesi industrializzati non torneranno al baratto (come comincerebbero a scontare una nuova gamba ribassista degli indici azionari).
Una delle cause della crisi degli indici finanziari: gli ETF short
Per trovare una delle cause della attuale crisi degli indici azionari bisogna a nostro avviso analizzare i prodotti finanziari di nuova generazione.
In particolare la novità sono gli ETF short, uno strumento di enorme utilità che negli ultimi mesi potrebbe essere stato usato in modo poco efficiente.
Chi scrive ha sempre considerato gli ETF un’ innovazione di grande valore nel suo complesso, inclusi quelli sulle materie prime e gli ETF short.
Quello che tuttavia è importante che gli investitori comprendano a pieno, sono a nostro avviso il contesto, le motivazioni e la fase di mercato in cui gli ETF short si dovrebbero inserire in portafoglio.
Non tutti gli investitori dovrebbero riempirsi il portafoglio di materie prime, solo quelli che capiscono a fondo il concetto di decorrelazione; in una percentuale coerente con il proprio portafoglio; scegliendo tra le singole materie prime, oppure investendo in un paniere solo quando la classe di investimento a livello generale è appetibile in termini relativi.
Analogo discorso per gli ETF short, possono essere molto efficienti ed efficaci, ma vanno utilizzati coerentemente con le proprie strategie, non solo perché sono una delle poche tipologie di titoli che sta performando bene.
In particolare sugli ETF short sta a nostro avviso succedendo quanto è successo in precedenza per internet, dollaro, petrolio.
Gli ETF short sono oramai acquistabili da quasi tutte le categorie di investitori, sono ampiamente pubblicizzati, sono gli unici titoli azionari che a 18 mesi hanno un ritorno ampiamente positivo.
Ma un conto è acquistarli scientemente per proteggere la componente azionaria del portafoglio sulle resistenze tecniche degli indici azionari o meglio ancora all’inizio del trend alcuni trimestri fa, un altro conto è cercare rendimenti agli attuali livelli degli indici.
Molti investitori finiscono infatti per immunizzare più che proporzionalmente il proprio portafoglio o comunque a coprirlo per la maggiore parte. Con il risultato che a fronte di eventuali rimbalzi, rischierebbero di recuperare solo parzialmente o addirittura di perdere.
Il punto che vorremmo sottolineare è che lo short effettuato da investitori retail (e sempre di più da investitori istituzionali) è una novità degli ultimi trimestri e dal momento in cui i volumi sono progressivamente sempre crescenti, è probabile che la maggiore parte degli acquisti di questi strumenti sia stata fatta proprio su livelli bassi degli indici. Quando cioè per dirla in gergo la maggiore parte dei buoi sono già scappati.
Cosa succede quando viene acquistato un ETF short o meglio ancora un ETF short a leva?? Che la (o le) società che devono costruire il paniere sintetico per la società di distribuzione vadano a vendere titoli (laddove è possibile) oppure futures. La singola operazione di poche migliaia di euro ovviamente non influenza il mercato, ma proviamo a calcolare la sommatoria di operazioni sullo strumento effettuate nelle diverse parti del mondo.
La conseguenza è che in alcuni giorni anche escludendo la speculazione professionale che indubbiamente c’è e trova gioco facile, gli ETF short possono facilitare il ribasso degli indici azionari.
La tipologia di ETF short è diventata molto ampia in quanto sono rappresentati singoli indici e settori, le diverse dimensioni aziendali (small, medium, big caps) con strumenti che possono realizzare il doppio o anche il triplo della performance del sottostante. E’ facile intuire che questi ultimi siano armi letali se male utilizzati.
I volumi realizzati sugli ETF short sono impressionanti, anche perché i cosiddetti ETF a leva (gli ultrashort) trattano considerevolmente di più.
Un esempio: solo l’ultrashort del Nasdaq e dell’S&P500 negli Stati Uniti, possono arrivare a trattare oltre $15 miliardi di controvalore transato in un giorno; aggiungiamo l’ultrahort sul settore finanziario e si potrebbe abbondantemente i $20 miliardi.
Sommiamo poi tutte le altre tipologie di ETF short (a livello settoriale e di indice) negli Stati Uniti e infine aggiungiamo i medesimi strumenti quotati nelle varie borse internazionali; possiamo quindi facilmente intuire quanta pressione ribassista mettano agli indici azionari le diverse tipologie di ETF short nelle diverse aree geografiche.
Ecco spiegato quindi, almeno in parte, perché gli indici azionari non riescano a rimbalzare nonostante ci siano tutte le condizioni.
La morale più triste della storia potrebbe essere che una parte degli investitori che comprano ETF short agli attuali livelli, sono magari anche quelli che con cospicue perdite in portafoglio, avrebbero bisogno di un rimbalzo per cominciare a recuperare.
Al contrario con gli ETF short cannibalizzano il rimbalzo e soprattutto si mettono alla mercè della speculazione professionale, sollecita al contrario ad invertire la propria posizione nel momento in cui i dati macroeconomici dovessero dare qualche confortante segnale di miglioramento.
Il mercato come sappiamo ha sempre ragione e nonostante forze contrarie, in assenza della caduta del capitalismo (che nonostante tutto non dovrebbe esserci…), tornerà prima o poi a fare risalire gli indici azionari.
A quel punto molti investitori potrebbero sommare alle vecchie perdite le nuove perdite derivanti dagli ETF short che ripetiamo sono utili, ma solo a fronte di una profonda conoscenza dello strumento e delle sue implicazioni.
Aggiungendo altra ironia (o forse è meglio tristezza), gli indici azionari finiranno per creare anche una nuova bolla speculativa, ma questa volta al rialzo.
Quando?
Quando verso l’apice del trend rialzista, con le perdite degli ETF short divenute insostenibili (non parliamo di quelle degli ultradshort ovviamente…), ci sarà la liquidazione finale di questi strumenti da parte della maggiore parte degli investitori. Le operazioni di hedging degli specialisti scelti dalle società emittenti, questa volta in acquisto, potrebbero infatti innescare la gamba finale del rimbalzo, con gli indici magari già in ipercomprato.
Qualche investitore in panico, a quel punto vendendo gli ETF short, potrebbe riposizionarsi nuovamente su ETF long.
Riuscirà mai una parte del mercato a spezzare questo ciclo perverso degli investimenti??
a cura di JC&Associati
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