Battere il mercato si può, ma…
Le gestioni “attive” offrono risultati significativamente superiori agli indici di mercato nel lungo periodo. Ma trovano, specie in Italia, numerosi ostacoli legati alla scarsa cultura finanziaria, alla limitata concorrenza e a scelte strategiche infelici da parte dei principali protagonisti del risparmio gestito.
di La redazione di Soldionline 7 feb 2006 ore 15:36
Tuttavia il rischio di ottenere, come ha verificato questo studio, performance inferiori a quelle medie di mercato anche per periodi elevati (fino a una decina d'anni) rende i gestori molto restii ad adottare una strategia troppo 'attiva': dopo tutto le quote di un fondo vengono pubblicate ogni giorno sui quotidiani finanziari e i clienti sono soliti perdere la pazienza dopo poche settimane o mesi di delusioni non attendendo 8 o 10 anni per cambiare gestore. E forse rendimenti elevati al rischio di altrettanto elevati rischi non sono neppure quanto i clienti chiedono, almeno non tutti. Così i gestori si 'autocensurano' e limitano il grado di scostamento dei propri investimenti rispetto al portafoglio di mercato. Ma a questo punto devono adottare un turnover più modesto, pena l'abbattimento della performance di periodo a causa degli eccessivi (ed ingiustificati) costi di transazione.
Ma in molti casi questi costi (per il fondo e dunque per gli investitori) sono una fonte di reddito per il gruppo cui appartiene la società che gestisce il fondo. Il che potrebbe spiegare, insieme agli elevati costi d'ingresso e alle commissioni di gestione a volte sproporzionate al 'costo' della gestione stessa, come mai dalle indagini di Mediobanca i risultati medi dei fondi italiani si siano rivelati inferiori a quelli dei relativi indici di mercato negli ultimi dieci anni (un periodo che, peraltro, non inficerebbe ancora la validità dello studio di Hodges e Brealey).
Tirando le somme: la gestione attiva ha un senso e produce risultati migliori che la semplice replica di indici di mercato; tuttavia perché si riescano ad ottenere simili risultati è necessario assumere un rischio specifico più elevato e dunque occorre avere, ed esserne consapevoli, buone capacità predittive (da cui l'importanza dell'analisi finanziaria e di un sistema in cui chi truffa e falsifica bilanci e informazioni al mercato viene espulso per sempre). D'altro canto occorre anche sapere che maggiore sarà la sovraperformance cercata maggiori saranno i rischi di risultati deludenti anche per periodi di tempo relativamente elevati e che per proporre alternative d'investimento (e correlati stili di gestione) con differenti profili di rischio sarà necessario adottare coerenti strategie di turnover e, in ultima analisi, fissare correttamente i costi da addossare agli investitori.
Che in Italia, ancora una volta, pagano spesso non l'incapacità degli operatori (i gestori italiani sono mediamente efficienti quanto i colleghi britannici o statunitensi) quanto la scarsa concorrenza presente nel settore e la decisione poco 'illuminata' di impostarne la distribuzione come se si trattasse di prodotti di massa. Dunque spingendone la vendita in modo capillare, con ritocchi-civetta a costi e tariffe e senza troppo insistere sulla qualità del proprio servizio (se non nel caso di piccole 'boutique' che però inevitabilmente possono 'servire' pochi selezionati clienti).
Insomma: chi aveva a disposizione (in proprio o tramite la propria clientela) grandi patrimoni da far gestire, come le banche e le assicurazioni, ha preferito sfruttarne la massa per produrre pingui utili senza troppo dover sostenere i costi derivanti dalla ricerca della qualità (ed anzi tagliando in questi anni i costi con la vendita delle 'fabbriche prodotto' a operatori internazionali, per concentrarsi sulla sola distribuzione). Chi invece aveva capito che nella gestione di portafoglio vince chi punta sulla qualità, anche se questa costa e giustifica (in questo caso sì) costi relativamente più elevati non ha (ancora?) raggiunto una consistenza patrimoniale tale da indirizzare in senso 'virtuoso' l'evoluzione del settore. E in alcuni casi ha preferito, dopo qualche anno di successo, passare la mano, staccando congrui assegni per cedere know-how, marchi e patrimoni a operatori (molto spesso esteri) desiderosi di entrare nel ricco mercato italiano.
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Luca Spoldi
Analista finanziario, Amministratore di 6 In Rete Consulting
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