ALLA RICERCA DEL RITORNO ASSOLUTO
C’erano una volta i fondi d’investimento tradizionali. Ora la novità è rappresentata da quelli che possono operare anche al ribasso come gli hedge fund: i fondi absolute return. Tutti possono sottoscriverli e promettono efficienza e trasparenza. C’è da fidarsi?
di Redazione Soldionline 22 ott 2010 ore 14:43
A cura di Salvatore Gaziano www.borsaexpert.it
Estratto dal numero di MoneyReport di ottobre
Chi in Borsa vuole guadagnare sempre, in tutte le condizioni di mercato, in questi anni si è visto proporre di tutto: dai prodotti a capitale garantito alle obbligazioni unit o index linked, dai fondi flessibili a quelli total return. Oggi i nuovi prodotti che promettono di ottenere ritorni positivi in ogni condizione di mercato si chiamano fondi a ritorno assoluto. Questi fondi puntano non a superare un benchmark ma ad avere performance positive in qualsiasi tipo di mercato e danno quasi carta bianca al gestore a cui non viene richiesto di replicare un benchmark ma di attuare strategie flessibili adeguate al tipo di mercato, potendo spaziare magari da azionario a obbligazionario, dal rialzo al ribasso oppure decidere se indebitarsi o meno.
L’inchiesta di copertina di Money Report è dedicata proprio a questo argomento. L’obiettivo è rispondere a molte delle domande che si pongono gli investitori. I fondi a ritorno assoluto mantengono quello che promettono? Questi prodotti sono la nuova frontiera del risparmio gestito? In altre parole: c’è da fidarsi o è bene (come al solito) saper valutare i differenti prodotti, le società di gestione che li lanciano e il “momentum” di mercato? Fra gli esperti intervisttati c’è Stefano Gaspari, amministratore delegato di Mondo Hedge.
Un osservatorio privilegiato sul mondo dei fondi speculativi che in Italia hanno coperto finora una quota di mercato relativamente piccola soprattutto per effetto della normativa in vigore che richiede una quota di accesso minima di 500.000 euro, limitandone evidentemente la diffusione agli investitori istituzionali o alla cosiddetta clientela “affluent”.
Ora con i fondi absolute return che recepiscono la direttiva Ucits III tutti o quasi possono mettersi in portafoglio una quota di fondi “simil hedge” col vantaggio non solo di non dovere mettere un “chip” da mezzo milione di euro ma anche di avere più facilità di entrata e di uscita. E una normativa abbastanza rigida pensata per limitare i casi di gestione scorretta, in conflitto d’interessi o avventata.
Grazie a questa normativa sui i prodotti Ucits III alternativi autorizzati alla distribuzione in Italia si sono riversati oltre 32 miliardi di euro di masse in gestione, nel contesto di un segmento che, sui mercati internazionali, conta ormai ben 315 prodotti al netto delle doppie classi (+57% da fine 2009), di cui 169 autorizzati alla distribuzione in Italia ed un patrimonio gestito che a fine agosto superava abbondantemente i 49 miliardi di euro.
Del resto la promessa di questi fondi è particolarmente allettante. Sono uno strumento teoricamente “perfetto” per il portafoglio di molti risparmiatori che vorrebbero avere la “botte piena” e la “moglie ubriaca”. Essere investiti sui mercati finanziari tramite il possesso diretto o indiretto di azioni, obbligazioni, etf, materie prime e partecipare però soprattutto ai guadagni indipendentemente dall’andamento dei mercati.
Questi prodotti possono gestire asset molto diversi con strategie diversificate. I cosiddetti “absolute return” sono fondi che puntano non a superare un benchmark ma ad avere performance positive in qualsiasi tipo di mercato e danno quasi carta bianca al gestore a cui non viene richiesto di replicare un benchmark ma di attuare strategie flessibili adeguate al tipo di mercato, potendo spaziare magari da azionario a obbligazionario, dal rialzo al ribasso oppure decidere se indebitarsi o meno.
Se vogliamo andare poi al recente passato il primo tentativo dell’industria del risparmio gestito europeo e italiano di approcciare la possibilità di operare sia al rialzo che al ribasso sono stati i fondi cosiddetti 130/30 ovvero un tipo di fondo d’investimento che può impiegare fino al 130% del patrimonio investito su posizioni long, mentre il 30% in posizioni short (al ribasso), mantenendo quindi un’esposizione netta media al 100%.
Lanciati soprattutto nel 2005 e 2006 al pubblico dei risparmiatori con l’obiettivo di ottenere importanti vantaggi rispetto ai fondi tradizionali azionari e cogliere alcune opportunità anche nei momenti di ribasso, se si vanno ad analizzare i risultati col senno del poi sono stati nella realtà spesso una grossa delusione. E non solo in Italia. Come testimonia un articolo pubblicato qualche settimana fa sul Wall Street Journal che ha ben raccontato come l’entusiasmo iniziale sia andato poi progressivamente scemando a causa dei risultati deludenti nell’ultimo biennio di questi fondi: spesso perfino peggiori di quelli tradizionali.
Basta guardare per esempio il comportamento di fondi “absolute” come Ubs Absolute Return che fino al 2006 era stato il migliore della categoria Morningstar con un rendimento annuo del +3,43% per poi perdere nel 2007 il -8% con un crollo di quasi il -30% nel 2008 poiché investiva anche in strumenti derivati (come Abs, Cdo e Rmbs) che hanno subito pesanti svalutazioni con lo scoppiare della crisi della liquidità e dei subprime. E nel passato le performance di molti di questi fondi, nonostante gli obiettivi robanti, alla prova dei fatti non hanno ottenuto rendimenti extra rispetto a dei tranquilli Cct e Btp.
Inutile illudersi quindi: nessuno ha trovato il sistema per guadagnare in modo sicuro in tutte le condizioni di mercato. Una quota di rischio la si sopporta sempre, soprattutto quando si è caccia di extra rendimenti. Però se negli anni passati la situazione dei fondi cosiddetti “absolute” ci diceva che erano più una creazione dei reparti marketing che una reale innovazione di prodotto, qualcosa negli ultimi anni è migliorato e inizia ad emergere qualche fondo interessante in misura statistica più significativa (ricordandosi sempre che vale la regola che percentualmente la stragrande parte dei fondi si comporta peggio del mercato) che nel passato.
Individuare e cavalcare un fondo absolute return ma anche un fondo total return realmente flessibile non è quindi propriamente facile; anzi è più difficile di un fondo tradizionale e anche per questo motivo MoneyExpert.it con la collaborazione dell’ufficio studi di BorsaExpert.it ha deciso di lanciare un servizio dedicato proprio alla selezione dei migliori fondi flessibili e absolute return.
Tra gli ultimi articoli di MoneyReport segnaliamo:
FONDI, QUI IL PREZZO E’ GIUSTO. IWBANK CONTRO FINECO.
DANIELI: UN TITOLO D’ACCIAIO A PREZZI DA SALDO
QUESTIONI DI BORSA (O FORSE DI PSICO-BORSA) E DI MAGIA…
Ora le azioni e le Borse non sono più di “moda”. E’ finita un’era oppure…
Per accedere all’inchiesta completa e agli altri report e approfondimenti in versione anteprima o completa basta cliccare su www.moneyreport.it e in caso di registrazione (gratuita) sarà anche possibile ottenere un numero prova gratuito della rivista mensile.
Estratto dal numero di MoneyReport di ottobre
Chi in Borsa vuole guadagnare sempre, in tutte le condizioni di mercato, in questi anni si è visto proporre di tutto: dai prodotti a capitale garantito alle obbligazioni unit o index linked, dai fondi flessibili a quelli total return. Oggi i nuovi prodotti che promettono di ottenere ritorni positivi in ogni condizione di mercato si chiamano fondi a ritorno assoluto. Questi fondi puntano non a superare un benchmark ma ad avere performance positive in qualsiasi tipo di mercato e danno quasi carta bianca al gestore a cui non viene richiesto di replicare un benchmark ma di attuare strategie flessibili adeguate al tipo di mercato, potendo spaziare magari da azionario a obbligazionario, dal rialzo al ribasso oppure decidere se indebitarsi o meno.
L’inchiesta di copertina di Money Report è dedicata proprio a questo argomento. L’obiettivo è rispondere a molte delle domande che si pongono gli investitori. I fondi a ritorno assoluto mantengono quello che promettono? Questi prodotti sono la nuova frontiera del risparmio gestito? In altre parole: c’è da fidarsi o è bene (come al solito) saper valutare i differenti prodotti, le società di gestione che li lanciano e il “momentum” di mercato? Fra gli esperti intervisttati c’è Stefano Gaspari, amministratore delegato di Mondo Hedge.
Un osservatorio privilegiato sul mondo dei fondi speculativi che in Italia hanno coperto finora una quota di mercato relativamente piccola soprattutto per effetto della normativa in vigore che richiede una quota di accesso minima di 500.000 euro, limitandone evidentemente la diffusione agli investitori istituzionali o alla cosiddetta clientela “affluent”.
Ora con i fondi absolute return che recepiscono la direttiva Ucits III tutti o quasi possono mettersi in portafoglio una quota di fondi “simil hedge” col vantaggio non solo di non dovere mettere un “chip” da mezzo milione di euro ma anche di avere più facilità di entrata e di uscita. E una normativa abbastanza rigida pensata per limitare i casi di gestione scorretta, in conflitto d’interessi o avventata.
Grazie a questa normativa sui i prodotti Ucits III alternativi autorizzati alla distribuzione in Italia si sono riversati oltre 32 miliardi di euro di masse in gestione, nel contesto di un segmento che, sui mercati internazionali, conta ormai ben 315 prodotti al netto delle doppie classi (+57% da fine 2009), di cui 169 autorizzati alla distribuzione in Italia ed un patrimonio gestito che a fine agosto superava abbondantemente i 49 miliardi di euro.
Del resto la promessa di questi fondi è particolarmente allettante. Sono uno strumento teoricamente “perfetto” per il portafoglio di molti risparmiatori che vorrebbero avere la “botte piena” e la “moglie ubriaca”. Essere investiti sui mercati finanziari tramite il possesso diretto o indiretto di azioni, obbligazioni, etf, materie prime e partecipare però soprattutto ai guadagni indipendentemente dall’andamento dei mercati.
Questi prodotti possono gestire asset molto diversi con strategie diversificate. I cosiddetti “absolute return” sono fondi che puntano non a superare un benchmark ma ad avere performance positive in qualsiasi tipo di mercato e danno quasi carta bianca al gestore a cui non viene richiesto di replicare un benchmark ma di attuare strategie flessibili adeguate al tipo di mercato, potendo spaziare magari da azionario a obbligazionario, dal rialzo al ribasso oppure decidere se indebitarsi o meno.
Se vogliamo andare poi al recente passato il primo tentativo dell’industria del risparmio gestito europeo e italiano di approcciare la possibilità di operare sia al rialzo che al ribasso sono stati i fondi cosiddetti 130/30 ovvero un tipo di fondo d’investimento che può impiegare fino al 130% del patrimonio investito su posizioni long, mentre il 30% in posizioni short (al ribasso), mantenendo quindi un’esposizione netta media al 100%.
Lanciati soprattutto nel 2005 e 2006 al pubblico dei risparmiatori con l’obiettivo di ottenere importanti vantaggi rispetto ai fondi tradizionali azionari e cogliere alcune opportunità anche nei momenti di ribasso, se si vanno ad analizzare i risultati col senno del poi sono stati nella realtà spesso una grossa delusione. E non solo in Italia. Come testimonia un articolo pubblicato qualche settimana fa sul Wall Street Journal che ha ben raccontato come l’entusiasmo iniziale sia andato poi progressivamente scemando a causa dei risultati deludenti nell’ultimo biennio di questi fondi: spesso perfino peggiori di quelli tradizionali.
Basta guardare per esempio il comportamento di fondi “absolute” come Ubs Absolute Return che fino al 2006 era stato il migliore della categoria Morningstar con un rendimento annuo del +3,43% per poi perdere nel 2007 il -8% con un crollo di quasi il -30% nel 2008 poiché investiva anche in strumenti derivati (come Abs, Cdo e Rmbs) che hanno subito pesanti svalutazioni con lo scoppiare della crisi della liquidità e dei subprime. E nel passato le performance di molti di questi fondi, nonostante gli obiettivi robanti, alla prova dei fatti non hanno ottenuto rendimenti extra rispetto a dei tranquilli Cct e Btp.
Inutile illudersi quindi: nessuno ha trovato il sistema per guadagnare in modo sicuro in tutte le condizioni di mercato. Una quota di rischio la si sopporta sempre, soprattutto quando si è caccia di extra rendimenti. Però se negli anni passati la situazione dei fondi cosiddetti “absolute” ci diceva che erano più una creazione dei reparti marketing che una reale innovazione di prodotto, qualcosa negli ultimi anni è migliorato e inizia ad emergere qualche fondo interessante in misura statistica più significativa (ricordandosi sempre che vale la regola che percentualmente la stragrande parte dei fondi si comporta peggio del mercato) che nel passato.
Individuare e cavalcare un fondo absolute return ma anche un fondo total return realmente flessibile non è quindi propriamente facile; anzi è più difficile di un fondo tradizionale e anche per questo motivo MoneyExpert.it con la collaborazione dell’ufficio studi di BorsaExpert.it ha deciso di lanciare un servizio dedicato proprio alla selezione dei migliori fondi flessibili e absolute return.
Tra gli ultimi articoli di MoneyReport segnaliamo:
FONDI, QUI IL PREZZO E’ GIUSTO. IWBANK CONTRO FINECO.
DANIELI: UN TITOLO D’ACCIAIO A PREZZI DA SALDO
QUESTIONI DI BORSA (O FORSE DI PSICO-BORSA) E DI MAGIA…
Ora le azioni e le Borse non sono più di “moda”. E’ finita un’era oppure…
Per accedere all’inchiesta completa e agli altri report e approfondimenti in versione anteprima o completa basta cliccare su www.moneyreport.it e in caso di registrazione (gratuita) sarà anche possibile ottenere un numero prova gratuito della rivista mensile.