E se la Grecia uscisse dall’euro?
La partita tra Grecia e zona euro non è finita con i recenti accordi, e può accadere ancora di tutto. E se finisse in Grexit? Tutto facile o imprevedibili effetti negativi?
di Marco Delugan
4 mar 2015 ore 10:27
Se la Grecia uscisse dall’euro, cosa potrebbe accadere? Tutto facile e indolore o effetti domino imprevedibili su altri paesi della zona? Difficile saperlo prima. A chiarire le cose ci ha provato l’economista Jean Pisani-Ferry in un articolo apparso il 28 febbraio di ques’anno su Project Syndicate dal titolo The Costs of Grexit. Di seguito la traduzione delle sue parole.
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All'inizio di questa settimana (l’articolo è stato pubblicato il 28 febbraio, ndr), dopo giorni di discussioni, il nuovo governo di Atene ha raggiunto un accordo con i creditori della zona euro che include un pacchetto di riforme immediate e una proroga di quattro mesi del programma di assistenza finanziaria. Ma, nonostante il sospiro di sollievo in Europa, il compromesso non esclude la necessità di ulteriori negoziati difficili su un nuovo programma finanziario di assistenza che devono essere introdotti entro la fine di giugno.
In qualsiasi trattativa, una variabile chiave che influenza il comportamento dei protagonisti, quindi il risultato, è quello che il mancato raggiungimento di un accordo costerebbe ciascuno di essi. In questo caso, il problema è il costo dell’uscita della Grecia ("Grexit") dalla zona euro - una prospettiva che è stata ampiamente discussa nei media durante tutta la trattativa recente, con notevoli riflessioni sulla posizione dei vari attori, in particolare il governo greco e quello tedesco.
Dal punto di vista della Grecia, l’uscita dall'euro sarebbe un evento altamente distruttivo, il che spiega perché sua un’ipotesi poco condivisa nel paese ellenico. Ma che dire dei costi di una Grexit costi per il resto della zona euro? Fin da quando la questione è stata posta per la prima volta nel 2011-2012, ci sono stati due punti di vista opposti.
Una posizione - chiamata la teoria del domino - sostiene che se la Grecia dovesse uscire dall’euro, i mercati inizierebbero immediatamente a chiedersi chi potrebbe essere il prossimo a seguire la stessa strada. Il destino di altri paesi verrebbe così messo in dubbio, come è avvenuto durante le crisi valutarie asiatiche del 1997-98 o la crisi del debito sovrano europeo del 2010-2012. La disintegrazione della zona euro potrebbe così avere inizio.
L'altro punto di vista - spesso chiamato la teoria della zavorra - sostiene che la zona euro verrebbe in realtà rafforzata dal ritiro della Grecia. L'unione monetaria si sbarazzerebbe di un problema che finirebbe comunque col ripresentarsi periodicamente, e la decisione della zona euro di consentire o invitare la Grecia a uscirne, finirebbe con il rafforzare la credibilità delle sue regole. Nessun paese, si sostiene, potrebbe più ricattare i suoi partner.
Nel 2012 la teoria del domino sembrava abbastanza realistica, tanto che i paesi creditori abbandonarono l'opzione Grexit. Così, dopo aver riflettuto e meditato durante l'estate, il cancelliere tedesco Angela Merkel è andato ad Atene a esprimere le sue "speranze e desideri" che la Grecia rimanga nella zona euro.
Ma la situazione oggi è diversa. Le tensioni sui mercati finanziari si sono ridotte; Irlanda e Portogallo non sono più assistiti da aiuti economici internazionali; il sistema finanziario della zona euro è stato rafforzato dalla decisione di avviarsi a diventare anche un’unione bancaria; e gli strumenti di gestione delle crisi sono già stati messi in atto. Una reazione a catena indotta dall’uscita della Grecia dall’euro è significativamente meno probabile.
Ma non è detto che la perdita sarebbe del tutto innocua. Perché ci sono tre ragioni per cui Grexit potrebbe ancora indebolire seriamente l'unione monetaria europea.
In primo luogo, l’uscita della Grecia smentirebbe il presupposto per cui la partecipazione all'euro è irrevocabile. È vero che la storia insegna che nessun impegno è irrevocabile: secondo Jens Nordvig di Nomura Securities, dall'inizio del XIX secolo si sono verificati 67 collassi di unioni valutarie. Ma ogni uscita dalla zona euro aumenterebbe la probabilità percepita che altri paesi possano, prima o poi, seguire l'esempio.
In secondo luogo, l'uscita potrebbe giustificare quelli che considerano l'euro solo un accordo per un tasso di cambio fisso, non una moneta vera. La fiducia nel dollaro si basa sul fatto che non vi è alcuna differenza tra un dollaro tenuto in una banca di Boston e uno tenuto a San Francisco. Ma dalla crisi del 2010-2012, questo non è più del tutto vero per l’euro. La frammentazione finanziaria si è ridotta, ma non è scomparsa, il che significa che un prestito a una società effettuato in Austria non ha lo stesso tasso di interesse di un prestito alla stessa società concesso oltre il confine italiano. Alcuni critici, come l'economista tedesco Hans-Werner Sinn, si sono specializzati nel tracciamento dell'esposizione al rischio di rottura.
Niente di tutto questo sarebbe realmente letale per la zona euro, per via di diverse iniziative adottate negli ultimi anni; ma sarebbe un errore ritenere che la piena fiducia sia stata ripristinata. I cittadini europei, di fronte al ritiro (o all’espulsione) di un paese dalla zona euro inizierebbero a guardare la moneta unica in modo diverso. Dove si trova un euro diventerebbe una questione rilevante. Gli investitori nazionali e stranieri dovrebbero esaminare più attentamente se il valore di un asset patrimoniale possa venire influenzato da una rottura dell'unione monetaria. I governi dovrebbero diventare più guardinghi sui rischi a cui i loro partner li possono esporre. Anzi, il sospetto diventerebbe irreversibile, e finirebbe col sostituire la fiducia nell’irreversibilità della zona euro.
Infine, l'uscita costringerebbe i politici europei formalizzare le regole – ancora non scritte e non specificate - per il divorzio dalla zona euro. Al di là di principi generali di diritto internazionale - per esempio, che ciò che conta per decidere la valuta di denominazione di un bene post - divorzio sono la legge applicabile al contratto sottostante e la relativa giurisdizione - non ci sono regole concordate per decidere come la conversione in una nuova moneta verrebbe realizzata.
Un’uscita della Grecia dall’euro obbligherebbe alla definizione di queste regole, quindi mettere in chiaro quanto vale un euro, quanto dipende da dove, da chi, e in quale forma lo si detiene. In effetti questo non solo renderebbe il rischio di rottura dell’euro più immaginabile; ma lo renderebbe anche molto più concreto.
Niente di tutto questo significa che i membri della zona euro dovrebbero essere pronti a pagare qualsiasi costo necessario per mantenere la Grecia all'interno della zona euro. Ciò, ovviamente, equivarrebbe a una resa. Ma non dovrebbero comunque farsi illusioni: non ci può essere una cosa come una Grexit felice.
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