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Uno stress-test per sentirsi meno stressati

Durante il fine settimana l’ECB (e l’EBA) ci hanno rovesciato addosso un’imponente mole di dati sul sistema bancario europeo, frutto di quasi un anno di lavoro di analisi da parte di molte centinaia di funzionari

di Redazione Soldionline 28 ott 2014 ore 11:56

A cura di Alessandro Balsotti, Senior Portfolio Manager di JCI Capital

Durante il fine settimana l’ECB (e l’EBA) ci hanno rovesciato addosso un’imponente mole di dati sul sistema bancario europeo, frutto di quasi un anno di lavoro di analisi da parte di molte centinaia di funzionari. Qui trovate il cosiddetto ‘comprehensive assessment’ dell’ECB un documento di 178 pagine, la cui parte chiave, i nomi delle banche che non hanno passato il test in uno o più stadi, compare nella tabella 1 a pagina 18.

Il risultato è stato abbastanza in linea con le indiscrezioni fatte trapelare settimana scorsa. A fine 2013 erano 25 le banche non sufficientemente capitalizzate, per un ammanco complessivo di 24 miliardi di euro. Con le varie azioni correttive, dismissioni di asset e aumenti di capitale già effettuate nel 2014, le banche non in regola sono scese a 13, per un ammanco complessivo di 9 miliardi.
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stress2Senza nessuna grossa sorpresa negativa e con ricapitalizzazioni ancora necessarie limitate ci si sarebbe aspettato oggi una reazione più entusiasta da parte dell’azionario europeo. L’euforia è durata meno di un’ora e il mercato è presto tornato a scambiare sotto i livelli di venerdì. Con una price-action così deludente, le critiche all’esercizio sono affiorate velocemente. Lo stress-test non è stato abbastanza severo (la recessione prevista nell’Eurozona nel 2015 è di -1.4% per il GDP, mentre nel 2009 era stato di -4.5%). Lo stress-test prevede una recessione ma non propriamente uno scenario deflattivo, quello che più spaventa al momento. Non si calcolano i fenomeni di congelamento del credito e di vendite forzate che si generano nei momenti difficili. Tutto l’esercizio si basa su un modello ‘risk-weighted’ degli asset, misura in qualche modo più ‘taroccabile’, e non sul semplice calcolo della leva nominale. Eccetera, eccetera. Sono tutte critiche che hanno una loro dignità ma che non sono certo novità di oggi, visto che attaccano regole che già erano state trasparentemente dichiarate da tempo.

Cercando di vedere il lato positivo, possiamo dire che si è concluso un processo lungo e macchinoso, sicuramente attaccabile in alcuni suoi aspetti, ma che rappresenta un primo genuino e indiscutibile passo verso un’unione bancaria, necessario tassello per la sopravvivenza dell’Eurozona.

Se ci vogliamo lasciare andare a una considerazione più amara, come italiani, non possiamo non vedere come un fallimento di governance, regolamentare e, più generalmente, di cultura della trasparenza, il fatto che ben 9 delle 25 banche non ‘in ordine’ a fine 2013 fossero italiane. I bilanci bancari sono molto più difficili da leggere e interpretare di quelli di altre aziende. L’investitore deve in qualche modo integrare i numeri con una soggettiva percezione di fiducia. Se una patrimonializzazione adeguata viene raggiunta solo sotto minaccia, difficilmente la fiducia in un’istituzione finanziaria ne uscirà accresciuta. Le valutazioni di certe banche italiane sono sicuramente attraenti, ma bisognerebbe fidarsi.

Torniamo a guardare alla Fed, in riunione mercoledì. Il mercato potrebbe essere tornato ad una fase laterale con meccanismi che si auto-regolano. Se il crollo del mercato ha fatto pensare a una Fed più spaventata e disposta ad allontanare i rialzi, ora quasi spariti dal 2015, è difficile che dopo un rimbalzo simile (l’S&P 500 è ben 7% sopra i minimi di 10 giorni fa e solo 3% sotto i massimi di ogni tempo) Yellen & Co. possano riuscire a sorprenderci con un atteggiamento ulteriormente dovish. Oppure avremmo bisogno di qualche brutto dato economico. In quel caso, con la psicosi della deflazione globale tutt’altro che eliminata, sarebbe però molto improbabile potersi godere ulteriori rialzi azionari.

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