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Quantitative Easing europeo (vero): il mercato inizia a crederci

Nello splendido scenario di Jackson Hole tutti aspettavano Janet e invece è spuntato Mario. Draghi è stato molto chiaro nell’indicare un’interessante, ulteriore, svolta

di Redazione Soldionline 28 ago 2014 ore 12:49
Tratto dall’Outlook della settimana di Alessandro Balsotti, Senior Portfolio Manager di JCI Capital

Nello splendido scenario di Jackson Hole, tutti aspettavano Janet. Invece è spuntato Mario. La governatrice della Federal Reserve si è esibita in equilibrismi verbali che solo un’osservazione attentissima, per non dire maniacale, poteva definire ‘hawkish’, non essendo così drammaticamente accomodanti quanto Bernanke e lei stessa ci avevano abituato in passato.

draghi2Draghi, a mercati ormai quasi chiusi, è stato invece molto chiaro nell’indicare un’interessante, ulteriore, svolta.
Finora, nei suoi interventi a valle dei comitati monetari dell’ECB, aveva sempre affermato che, nonostante tutto, le aspettative di inflazione di medio lungo termine erano rimaste ancorate, suggerendo che i rischi di una vera deflazione rimanevano molto bassi. Ancora a inizio agosto aveva ricordato che solo l’inflazione attesa di breve aveva accusato un declino come “è naturale dal momento che sono pesantemente determinate dall’inflazione rilevata”, mentre nulla del genere si poteva inferire in quella attesa più a medio lungo termine. Nel suo discorso in Wyoming ci dice invece a chiare lettere che “durante il mese di agosto i mercati finanziari hanno indicato che le aspettative d’inflazione mostrano un declino significativo su tutti gli orizzonti temporali. Il tasso degli ‘inflation swaps’ 5 anni su 5 anni - il punto di riferimento che normalmente usiamo per definire le aspettative di inflazione di medio periodo – sono scesi di 15 punti base e sono ora sotto 2%”.

Le conseguenze potenziali di una presa di coscienza simile vanno ricercate nelle parole pronunciate da lui stesso in passato. Draghi ha spesso ripetuto che per risolvere il problema del ripristino del canale, interrotto, di trasmissione della politica monetaria al settore privato, andavano individuate soluzioni mirate, come poi sono state gli annunciati T-LTRO e un ‘QE di nicchia’ avente come oggetto il mercato degli ABS. Se invece il problema fosse diventato una perdita di fiducia nei confronti del rispetto del target d’inflazione, la risposta avrebbe dovuto coerentemente essere un “ampio programma di acquisto titoli”. Un QE più simile a quello di stampo americano o del (recente) Giappone per intenderci. Il mercato ne ha preso atto e sta cominciando a prezzare una possibilità non così remota che l’ECB sia alla fine costretta ad annunciare una qualche forma di acquisto massiccio di titoli governativi: l’euro continua ad indebolirsi, le borse tornano a dare qualche segnale positivo e, soprattutto, la parte a lunga dei tassi europei strappa nuovamente al ribasso stracciando quelli che già erano quasi ovunque minimi storici. E non solo la parte a lunga, visto che ormai il 2 anni tedesco è stabilmente in territorio di rendimenti negativi. Draghi ha detto chiaramente che “i rischi di fare troppo poco sono ormai superiori rispetto a quelli di fare troppo” (a livello di stimolo monetario, si intende). Sconsigliabile al momento quindi provare a contrastare questi movimenti. Forse prudenza andrebbe riposta nell’aumentare o nel mettere in piedi posizioni lunghe di bund a questi livelli se si crede che l’ECB possa fare sul serio: alla fine in US la banca centrale è riuscita a far salire aspettative d’inflazione e i tassi nominali dai minimi in maniera significativa. Difficile però che nell’Eurozona, con ben conosciuti vincoli legali e culturali, si riesca a intervenire con la stessa spregiudicatezza. Altri effetti che si possa attendere da una BCE più aggressiva? Volatilità sul reddito fisso che viene spinta ancora più in basso mentre può dare qualche segnale di ripresa sui cambi. Curva americana in grado di appiattirsi ulteriormente, stretta tra rialzi sempre più vicini sul breve e tassi a lungo che rimangono appesantiti dalla forza di gravità dei tassi europei. Ulteriore supporto ai ‘risky assets’: azionario, emergenti e obbligazioni corporate a rating più basso.

Per l’investitore che ha la possibilità di ragionare su orizzonti temporali più lunghi la vera domanda dovrebbe forse essere se anche una BCE più aggressiva può veramente fare qualcosa per l’economia reale.
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