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Rassegna stampa economica del 25 febbraio 2015

di Mauro Introzzi 25 feb 2015 ore 07:24 Le news sul tuo Smartphone

Benetton pronti a vendere i duty free (Il Sole24Ore)
Secondo il quotidiano economico Edizione Holding, la finanziaria della famiglia Benetton che controlla il 50,1% di World Duty Free, sta valutando l’apertura del capitale della società dei duty free a nuovi soci.
La società, nata dalla scissione di Autogrill, avrebbe infatti ricevuto negli ultimi mesi in modo spontaneo diverse manifestazioni d’interesse per l’ingresso nella compagine azionaria. Ad essersi fatti già avanti sarebbero infatti tutti i colossi internazionali di un settore che oggi è suddiviso tra 5-6 operatori nel mondo che controllano il 90% del mercato.
Tra chi ha manifestato il suo interesse ci sarebbe la svizzera Dufry (che di recente ha rilevato Nuance Group per 1,2 miliardi), le francesi Lagardere (con LS Travel Retail) e Lvmh (con Dfs) e i colossi coreani del settore Lotte e Shilla.
Se l’operazione dovesse concretizzarsi, ne nascerebbe così un gigante dei duty free. Resta da capire se i potenziali acquirenti industriali siano interessati soltanto a una minoranza (con Edizione che scenderebbe al 30 per cento) oppure, come è più probabile, all’acquisto dell’intero gruppo.

No dei big alla bad bank di Stato (MF)
Il quotidiano finanziario scrive che sono arrivati i no dei vertici di IntesaSanpaolo (per il tramite del presidente del consiglio di gestione Gian Maria Gross-Pietro) e Mediobanca (per il tramite dell'amministratore delegato Alberto Nagel) alla costituzione di una bad bank pubblica - o a prevalenza pubblica - che si faccia carico dei crediti deteriorati del sistema contribuendo così ad alleggerire i bilanci degli istituti italiani e a favorire la ripresa dell'attività creditizia.
Secondo i manager dei due istituti una soluzione "alla spagnola" è fuori tempo massimo e sarebbe stata perfetta un paio di anni fa. Ora, invece, lo Stato dovrebbe creare le condizioni per favorire le cessioni dei crediti e diminuire alcune anomalie, tipo i tempi di riscossione di crediti ed esecuzioni di ipoteche immobiliari, oggi doppi rispetto agli altri paesi.

Google fa pace con il Fisco, paga 320 milioni (Corriere della Sera)
Il quotidiano scrive che Google avrebbe raggiunto un accordo con il fisco italiano per il versamento delle tasse su un imponibile di 800 milioni in cinque anni. In altre parole il colosso di Mountain View dovrà versare 320 milioni di euro di tasse arretrate.
Secondo il Corriere si tratta di un colpo di scena, perché al gigante del web non sarebbero mancati né arsenali giuridici per provare una resistenza a oltranza, né l’opportunità di aspettare a maggio un decreto legislativo fiscale che dovrebbe favorirlo.
Come molti altre società straniere del web anche Google produce in Italia molti utili sui quali però paga le tasse non in Italia (ad esempio appena 1,8 milioni nel 2013) ma in Paesi che presentano o addirittura programmaticamente offrono condizioni di fiscalità privilegiata.
I responsabili dell'indagine hanno documentato che, se tutto il servizio era pensato-contrattato-svolto in Italia, fatture e pagamenti venivano invece indirizzati sulla Google irlandese: questa girava i soldi sulla Google olandese sotto forma  di royalties per i marchi e licenze, che poi prendevano la strada di un’altra società irlandese controllante l’iniziale Google  irlandese, che a sua volta vedeva però il proprio controllo in capo ad altre due diramazioni di Google soggette a imposizione fiscale alle Bermuda.

Sì dell’Eurogruppo ad Atene ma sul piano di riforme molti dubbi da Fmi e Bce (La Repubblica)
Ieri è arrivato il tanto atteso via libera, da parte dei ministri dell'Eurogruppo, alla lista di riforme presentata dal governo greco e considerata una valida base di partenza per salvare i conti di Atene. Il quotidiano scrive che poco dopo è arrivato anche il benestare, sia pure con molte riserve, degli altri due creditori della Grecia: il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea.
Così l'esecutivo di Tsipras ha ottenuto una proroga di quattro mesi del programma di assistenza europeo che le eviterà la bancarotta e l'uscita dall'euro, ammesso che i Parlamenti di Germania, Estonia, Olanda e Finlandia (che si pronunceranno entro la settimana) confermino la scelta dei rispettivi governi.
Atene deve ora completare le riforme e le correzioni di bilancio che dovevano essere chiuse a febbraio entro il prossimo mese di giugno. E non vedrà nuovi finanziamenti fino ad aprile, data entro la quale dovrà ottenere il beneplacito della Troika su un programma di riforme e di manovre fiscali molto più dettagliato.

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