Perché una crisi dei mercati emergenti non è poi così probabile
Come 20 anni fa? No, forse no. Perché i mercati emergenti sembrano più attrezzati di allora per fronteggiare una crisi finanziaria. Almeno secondo il parere di Deutsche Bank
di Marco Delugan 14 feb 2014 ore 14:31
Janet Yellen, al suo debutto come Presidente della Federal Reserve, ha confermato l’intenzione della banca centrale americana di proseguire con il tapering, e cioè con il rallentamento del ritmo di riacquisto di asset sul mercato se l’economia Usa dovesse continuare a migliorare.
A queste dichiarazioni sono seguiti giorni difficili per i così detti mercati emergenti, e in molti hanno ricordato le passate crisi, come quella del peso messicano del 1994-95, la crisi finanziaria asiatica del 1997-98 e quella dei paesi sud americani degli anni ’80.
Il Tapering non è iniziato con l’avvento della Yellen: già da mesi la Fed ha ridotto il ritmo di riacquisto di titoli finanziari. E queste decisioni hanno già impttato sull’andamento delle valute dei mercati emergenti. Con i timori di crisi - locale ma con risvolti globali, come accaduto in passato - appena ricordate.
Ci sono, però, molti motivi per pensare che la situazione sia in realtà diversa da quel passato. Lo pensano, tra gli altri, gli analisti di Deutsche Bank che li hanno elencati in un loro recente rapporto.
LEGGI ANCHE: Gli emergenti sono in fase di consolidamento ma non vi è alcun rischio di una nuova crisi
Tra i motivi principali ci sono i seguenti: le bilance dei pagamenti sono meno vulnerabili, la leva finanziaria delle aziende private e degli Stati sono più basse, la maggiore presenza di cambi flessibili che permettono aggiustamenti del valore della moneta meno traumatici, maggiori riserve di valuta straniera.
Oltre a questo, a rassicurare in parte gli analisti c’è l’atteggiamento delle banche centrali, come quella Turca che a fine gennaio ha alzato i tassi di interesse dal 7,75% al 12%, un rialzo di 425 punti base, domostrando nei fatti la ferma intenzione di difendere la propria moneta.
Alen Ruskin, economista del G-10 FX strategy alla Deutsche Bank, è convinto inoltre che la Cina sarà il fattore chiave, un baluardo in difesa dell’economia globale rispetto all’instabilità economica e finanziaria del sud est asiatico. Una difesa dal possibile contagio globale. Anche perché, se il contagio dovesse colpire anche la Cina, allora sarebbero guai per tutti.
A queste dichiarazioni sono seguiti giorni difficili per i così detti mercati emergenti, e in molti hanno ricordato le passate crisi, come quella del peso messicano del 1994-95, la crisi finanziaria asiatica del 1997-98 e quella dei paesi sud americani degli anni ’80.
Il Tapering non è iniziato con l’avvento della Yellen: già da mesi la Fed ha ridotto il ritmo di riacquisto di titoli finanziari. E queste decisioni hanno già impttato sull’andamento delle valute dei mercati emergenti. Con i timori di crisi - locale ma con risvolti globali, come accaduto in passato - appena ricordate.
Ci sono, però, molti motivi per pensare che la situazione sia in realtà diversa da quel passato. Lo pensano, tra gli altri, gli analisti di Deutsche Bank che li hanno elencati in un loro recente rapporto.
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Tra i motivi principali ci sono i seguenti: le bilance dei pagamenti sono meno vulnerabili, la leva finanziaria delle aziende private e degli Stati sono più basse, la maggiore presenza di cambi flessibili che permettono aggiustamenti del valore della moneta meno traumatici, maggiori riserve di valuta straniera.
Oltre a questo, a rassicurare in parte gli analisti c’è l’atteggiamento delle banche centrali, come quella Turca che a fine gennaio ha alzato i tassi di interesse dal 7,75% al 12%, un rialzo di 425 punti base, domostrando nei fatti la ferma intenzione di difendere la propria moneta.
Alen Ruskin, economista del G-10 FX strategy alla Deutsche Bank, è convinto inoltre che la Cina sarà il fattore chiave, un baluardo in difesa dell’economia globale rispetto all’instabilità economica e finanziaria del sud est asiatico. Una difesa dal possibile contagio globale. Anche perché, se il contagio dovesse colpire anche la Cina, allora sarebbero guai per tutti.
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