Le iniezioni di liquidità fanno salire le Borse
La volontà delle Banche Centrali di sostenere la crescita e la solvibilità degli emittenti sovrani è essenziale per condurre a buon fine il processo di riduzione dell'indebitamento
di Redazione Soldionline 15 mag 2013 ore 14:22Articolo a cura di di Carmignac Gestion
La volontà delle Banche Centrali di sostenere la crescita e la solvibilità degli emittenti sovrani è essenziale per condurre a buon fine il processo di riduzione dell'indebitamento
Nel corso del primo trimestre, la macroeconomia e i mercati sono stati complessivamente in linea con le previsioni che avevamo formulato tre mesi fa. Le massicce iniezioni di liquidità provenienti da Stati Uniti, Giappone e Regno Unito hanno consentito ai mercati azionari di continuare ad apprezzarsi, nonostante una congiuntura mondiale vivacizzata unicamente dagli Stati Uniti. Sul fronte valutario, il diverso dinamismo tra Europa e Stati Uniti si è tradotto in un apprezzamento del dollaro, mentre la determinazione del Giappone per uscire dalla deflazione ha portato ad un indebolimento cronico dello yen.
Il quadro economico globale rimane immutato. Le economie sviluppate si trovano in procinto di avviare (Europa) o hanno già avviato (Stati Uniti) una riduzione strutturale dell'effetto leva, che si protrarrà per diversi anni. Tale riduzione obbligherà le Banche Centrali a proseguire le proprie politiche espansioniste, mantenendo a lungo i rendimenti dei Titoli di Stato a livelli "eccezionalmente" bassi. L'imposizione dell'ortodossia di bilancio impedisce ai governi di attuare delle politiche controcicliche e, costringe di fatto le Banche Centrali a creare da sole le condizioni per una crescita nominale (crescita reale più inflazione) tale da ridurre il peso del debito pubblico per renderlo sostenibile.
A differenza dei paesi sviluppati, la congiuntura dei paesi nuovi non deve essere penalizzata da una riduzione dell'effetto leva. Tuttavia, l'universo emergente sembra destinato a non più incidere in modo decisivo sull'orientamento del ciclo mondiale.
I governi di tali paesi sono, generalmente, molto lontani dall'eccessivo indebitamento: la loro crescita nominale ha spesso impedito qualsiasi deriva significativa dei conti pubblici. Nonostante ciò, i tre principali paesi emergenti non sembrano attualmente in grado di assumere il ruolo rilevante di traino dell'economia mondiale.
La Cina, come l'insieme dei grandi paesi esportatori, risente in modo particolare del rallentamento delle economie sviluppate e per il momento non si sta impegnando a favore di una forte crescita a tutti i costi. Il nuovo esecutivo, appena insediato, deve ancora organizzarsi e desidera, in particolare, assicurarsi che i prezzi immobiliari restino sotto controllo. Il buon andamento dell'inflazione dovrebbe consentire al momento giusto, e, se necessario, di sostenere l'economia.
L'India è già entrata in campagna elettorale e ciò sembra nuocere alle intenzioni di riforma espresse meno di sei mesi fa, rimandando ancora una volta le misure che potrebbero porre fine al peggioramento delle partite correnti del paese.
Come grande produttore di materie prime, il Brasile risente della scarsa dinamicità dell'economia globale e sembra chiudersi in una logica economica interventista, sicuramente di cattivo auspicio per una solida crescita futura.
La buona condizione di diversi paesi emergenti di minor peso, come la Turchia o il Messico, contribuisce tuttavia a preservare un tasso di crescita decoroso per l'insieme dell'universo emergente.
In Giappone è in atto una vera e propria rivoluzione, che avrà tuttavia un impatto moderato sulla crescita mondiale nell'immediato.
Il nuovo governatore della Banca Centrale è stato eletto in base alla volontà dichiarata di attuare una politica monetaria il più possibile stimolante. Con un obiettivo di inflazione pari al 2%, sta attuando una politica particolarmente reflazionistica che si basa su consistenti acquisti di asset finanziari rischiosi e su un notevole indebolimento dello yen. Questa politica aggressiva prevede il raddoppio della massa monetaria entro due anni. Contemporaneamente, la liberalizzazione di numerosi mercati dovrebbe iniziare, le agevolazioni fiscali per gli investimenti dovrebbero essere definite e la flessibilità del mercato del lavoro attuata, mentre è già stato avviato un programma di stimoli fiscali per circa 100 miliardi di euro.
La potenziale rinascita economica giapponese dovrà tuttavia passare in primo luogo per la svalutazione dello yen (che, dopo l'annuncio delle elezioni anticipate, ha già perso il 25% sul dollaro e il 30% sull'euro) e per i guadagni di competitività che ne conseguono. L'eccesso di crescita giapponese si realizzerà quindi e soprattutto a discapito degli altri concorrenti esportatori dell'area asiatica, ma anche della Germania. Pertanto, questa forte svalutazione competitiva potrebbe determinare una nuova pressione deflazionista, che andrebbe ad aggiungersi a quella generata dalla riduzione dell'effetto leva nei paesi sviluppati.
La Federal Reserve di Ben Bernanke non ha bisogno di fornire ulteriori prove della propria volontà di sostenere la crescita degli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, la riduzione dell'indebitamento è iniziata nel 2008, la competitività è elevata, il calo della disoccupazione è lento ma costante e le imprese possono contare su liquidità sovrabbondanti per investire. Nonostante il mancanto accordo politico sulla questione fiscale, sono state attuate delle misure volte a ridurre il deficit pubblico per un importo stimato allo 0,3% del PIL nel 2013, pur mantenendo una crescita sufficiente, che dovrebbe attestarsi all'1,9% sullo stesso periodo.
Sul breve termine, però, alcuni sviluppi ci paiono meno favorevoli. Riteniamo quindi che nel primo trimestre i consumi siano stati gonfiati dal pagamento, a fine 2012, di consistenti dividendi straordinari, in previsione di una stretta fiscale nel 2013. Inoltre, il calo del tasso di risparmio (sceso al 2,6% del PIL) costituisce, a nostro parere, un fattore non duraturo di sostegno ai consumi.
Questo significativo cambiamento nella nostra analisi congiunturale statunitense dimostra l'impellente necessità di una risposta coordinata da parte di tutti i paesi in materia di politiche economiche e monetarie per rimediare alle conseguenze recessive della riduzione del debito. Quando il Presidente della Federal Reserve invita i propri omologhi ad adottare la stessa politica non convenzionale degli Stati Uniti per favorire la crescita mondiale, dimostra un realismo rassicurante.
Con la ragguardevole eccezione della Bank of England, la politica monetaria europea non ci sembra essere all'altezza della posta in gioco
Come ha riconosciuto il Presidente della Banca Centrale Europea a inizio aprile, la situazione economica peggiora di mese in mese. Continuiamo a non credere alla visione ottimista di un miglioramento congiunturale durante il secondo semestre. La Francia (dove un numero crescente di imprenditori ha riferito di un forte rallentamento nell’acquisizione degli ordini) non ha finito di sorprendere negativamente. Non ci stupirebbe quindi di registrare una recessione pari all'1% nell’anno.
Ma soprattutto, la congiuntura tedesca inizia anch'essa a mostrare segni di rallentamento. La crescita delle esportazioni tedesche è passata dal +7,5% del mese di agosto 2012 al -1,2% negli ultimi tre mesi. La continua debolezza dell'economia mondiale grava sulla Germania come su tutti i grandi paesi esportatori. Come più volte ribadito da ormai diversi trimestri, l'Europa non può accontentarsi di un euro forte, con il rischio di annientare i pochi tentativi di recupero della competitività messi in atto da alcuni paesi mediterranei.
In questa prospettiva, l'indebolimento congiunturale tedesco deve favorire l'assunzione di decisioni da parte della BCE, attraverso una politica monetaria più aggressiva che contribuisca a indebolire l'euro. In settembre in Germania si svolgeranno le elezioni politiche. Ma quest'ultime non rischiano di sfociare in un pericoloso status quo, volto a non urtare l'elettore tedesco, da sempre molto attaccato alla forza della propria moneta?
Se alla difficile gestione della riduzione dell'effetto leva, che ha fatto ribellare gli italiani, e alla dimostrazione di debolezza della governance europea, nuovamente messa in luce dalla sconfortante gestione della crisi cipriota, dobbiamo aggiungere l'immobilismo della BCE, la prossima esplosione della crisi europea non tarderà a farsi sentire.