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La Lombardia, i filtri antiparticolato e altre amenità normative

È normale sussidiare gli investimenti ecologici al 75% della spesa? La Regione Lombardia lo fa. Ma con che risultati?

di Redazione Soldionline 6 dic 2011 ore 14:12
a cura di Paolo Sassetti

La politica di sussidio pubblico a favore dei filtri antiparticolato di retrofit praticata dalla Regione Lombardia può generare un effetto distorsivo sui prezzi di mercato di questi dispositivi, in quanto non incentiva la riduzione del loro prezzo quanto sarebbe possibile in un mercato libero.
 
I produttori di filtri di retrofit, in presenza di obblighi normativi che riguardano i possessori di veicoli ma anche di contestuali sussidi pubblici (che nel caso della Regione Lombardia raggiungono il 75%  della spesa, si veda il link http://urlin.it/21a53), possono avere interesse a praticare prezzi decisamente più elevati di quelli che si formerebbero su un mercato libero e non sussidiato, perché, “tanto”, paga l’operatore pubblico.

Si consideri che la parte del prezzo non sussidiato può essere comune scaricato dal reddito imponibile, per cui in Lombardia i filtri antiparticolato risultano, di fatto, ”regalati”. Che questo contributo per l’acquisto di un singolo filtro erogato dalla Regione Lombardia con tutta evidenza sia abnorme è segnalato dal fatto che in Lombardia il contributo regionale massimo per un semplice filtro per camion (del costo teorico massimo di 7.333 euro) può arrivare a 5.500 euro, mentre il contributo per l’acquisto di una intera auto ecologica è di soli 3.000 euro ed il contributo per l’installazione di un impianto a gas metano o gpl è di soli 600 euro.
 
Ma può il valore commerciale di un filtro antiparticolato confrontarsi in tale proporzione con quello di una intera automobile e con quello di un ben più complesso impianto a metano o gpl? Chiaramente esiste una macroscopica sproporzione nei contributi erogati, volta a favorire  i produttori di filtri antiparticolato di retrofit, mettendo quasi integralmente il loro costo a carico della collettività. Vi immaginate la reazione dell’opinione pubblica se, come regola, le imprese industriali potessero mettere a carico della collettività il 75% del costo della depurazione delle acque o dei fumi?
 
Se i filtri antiparticolato installati di serie sui veicoli nuovi dovessero avere i costi dei filtri di retrofit, metterebbero fuori mercato i nuovi veicoli in vendita. Nessun produttore di veicoli pagherebbe lontanamente quel prezzo per installazioni di primo equipaggiamento. La Regione Lombardia, invece, è molto generosa.
 
Inoltre, l’acquisto “obtorto collo” di oggetti sussidiati (e quasi regalati) che generano spesso note controindicazioni tecniche (intasamento, aumento della contropressione, aumento dei consumi, riduzione di potenza) fa si che possa concretizzarsi il rischio che, almeno su certi mezzi da cantiere, l’acquisto dei filtri rappresenti semplicemente un formale "nulla osta amministrativo", ma che, un breve tempo, i filtri vengano materialmente disinstallati per eliminarne tali controindicazioni.
 
Solo se venisse impiantato un sistema di controlli a campione con sanzioni elevate sarebbe possibile evitare questa possibilità, altrimenti il rischio concreto – tanto maggiore quanto più alto è il sussidio -  è che il sussidio si risolva essenzialmente in una distribuzione di denaro pubblico ai produttori di filtri destinati a restare graziosi soprammobili.
 
Ma questo sistema di controlli sui mezzi da cantiere a fronte di tali contributi erogati esiste? Per lo meno non è stato annunciato, probabilmente la stessa regione Lombardia non ha neppure le strutture organizzative dedicate per realizzarli
 
È d'attualità questo tema? A me pare che consentire l'acquisto di un filtro antiparticolato fino al costo di 7.333 euro con un contributo regionale di 5.500 (il 75%) rientri, come filosofia, tra quelle politiche che hanno portato il debito pubblico agli attuali livelli. Se, poi, subentrano anche legittimi dubbi sulla effettiva efficacia di misure così strutturate, allora una riflessione è d’obbligo.

È possibile spendere i contributi pubblici in maniera più efficace? Esiste un’alternativa a questo sistema di incentivo? Si, esiste e, come spesso accade, gli Svizzeri  ci indicano la strada.

Il Governo di Berna (La Lombardia ha una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, appena più grande di quella svizzera - 7,9 milioni di abitati - che gravita su una superficie di poco superiore alla metà di quella svizzera - 23.860 kmq vs. 41.300 kmq. Si tratta dunque di  entità politiche ed amministrative comparabili, anche per PIL pro capite) ha deliberato la riduzione delle tasse di circolazione per i veicoli pesanti che installino i filtri antiparticolato http://urlin.it/22353. Trattasi di sgravio fiscale contenuto (10%) e, comunque, non di un sussidio. Il vantaggio degli sgravi fiscali rispetto ai sussidi è quello di non drogare i prezzi dei beni sussidiati tanto più quanto più il contributo è elevato (con un contributo pubblico vicino al 100% l’acquirente del filtro diventa quasi indifferente al suo prezzo ed il produttore ha buon gioco nel praticare prezzi irrealistici a danno delle finanze pubbliche).

Ma anche gli sgravi fiscali andrebbero sempre accompagnati ad un sistema di controlli a campione per verificare se chi ha avuto accesso agli sgravi ne ha effettivamente diritto perché installa effettivamente (e non solo sulla carta) i filtri antiparticolato.

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È necessario che la Regione Lombardia si coordini con le altre amministrazioni pubbliche lombarde per avviare politiche finalmente organiche di contrasto all’inquinamento dei veicoli e delle caldaie per riscaldamento.

In attesa che la tecnologia elettrica diventi matura per le automobili, la diffusione del metano per autotrazione rappresenta la soluzione transitoria più ecologia (ed economica) oggi disponibile. Il metano, infatti, non produce particolato. Purtroppo l’ampliamento della rete di distributori a metano sul territorio della Lombardia non è proceduto, nell’ultimo decennio, con il ritmo che sarebbe stato necessario, sebbene la rete di metanizzazione sia estremamente capillare in tutta la pianura lombarda e, quindi, consentirebbe un facile ampliamento della rete di distribuzione.

Inoltre, oggi sono disponibili e legali compressori “domestici” per caricare il serbatoio delle auto, usando il metano domestico. Infatti, uno dei punti deboli delle auto a metano è la loro modesta autonomia ma, poiché un uso spesso prevalente delle auto in città è il pendolarismo casa-lavoro, la ricarica casalinga serale sarebbe sufficiente per evitare la scomodità di raggiungere il distributore di metano più vicino. Le province di Trento e Bolzano offrono incentivi per l’acquisto e la installazione di questi impianti di rifornimento individuale.

Si osservi, tuttavia, che se improvvisamente, tutti i veicoli in Italia funzionassero a metano, alcune raffinerie (anche quotate in borsa, una per tutte: la Saras dei Moratti) chiuderebbero i battenti. C’è da chiedersi se questi interessi non abbiamo fatto da freno alla metanizzazione del trasporto su strada. Il sindaco Pisapia non controlla raffinerie, per fortuna, e non deve combattere contro questo conflitto di interesse.

In prospettiva, quindi, nessun autobus urbano dovrebbe più funzionare a gasolio, ma solo a metano, con vantaggio per l’ambiente e per le casse pubbliche. L’amministrazione provinciale di Ravenna ha convertito gran parte dei suoi mezzi di trasporto a metano, a dimostrazione che questa soluzione è tecnicamente fattibile, oltre che ecologica ed economicamente conveniente.

E, a proposito di incentivi, poiché si stanno sempre più diffondendo i kit di conversione delle bici tradizionali in quelle elettriche a pedalata assistita (soluzione di upgrade a basso costo che potrebbe incrementare significativamente l’uso della bici in città), la diffusione di punti di ricarica gratuita in città rappresenterebbe uno stimolo per scegliere bici elettriche anziché scooter a motore. Qui non servirebbero incentivi monetari ma solo, da parte delle autorità pubbliche comunali e provinciali, il favorire (1) gruppi di acquisto per i kit di conversione delle bici e (2) convenzioni con installatori.

Dunque, gli incentivi fanno parte integrante di una politica ambientale, ma essi vanno rimodulati in maniera un po’ più equilibrata di quanto faccia oggi la Regione Lombardia, poiché la soluzione strutturale all’inquinamento non sta nei filtri antiparticolato, ma nella metanizzazione del trasporto su gomma.

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A Milano sono ancora in funzione alcune caldaie a gasolio per il riscaldamento che hanno un impatto elevato sull’inquinamento, un po’ come i mezzi da cantiere, pochi ma estremamente inquinanti.

Questo fatto rende oggettivamente un po’ sconcertante il fatto che, con ossessiva  puntualità, chi possiede una caldaia a metano debba certificarne la perfetta efficienza, versando un obolo periodico che viene percepito dai cittadini come odioso e vessatorio in quanto chi lo paga sa benissimo che il problema dell’inquinamento in Lombardia non dipende dal fatto che una caldaia a metano possa essere del 3-5% meno efficiente dell’ottimale.
Ad esempio, una ricerca ha dimostrato che nella provincia di Pavia le macchine agricole offrono un contributo molto elevato all’inquinamento da PM10. Quale tipo di intervento è stato pensato per  affrontare questo specifico problema? Credo nessuno.

Se la revisione delle caldaie è un obbligo di legge, non è però un obbligo che le Provincie concentrino ossessivamente i controlli su chi ha già adottato una tecnologia efficiente come quella del metano (In pochi anni lo scrivente ha già subito due controlli sulla sua caldaia a metano da funzionari incaricati della Provincia di Milano. Controlli preceduti da una lettera che dichiarava minacciosamente che – se non avessi acconsentito ai controlli – avrebbero interrotto la fornitura di gas. Ovviamente i controlli hanno verificato la perfetta efficienza della caldaia, anche perché soggetta a manutenzione periodica obbligatoria per legge. Anzi, oggi i manutentori delle caldaie riscuotono persino una tassa per conto della Regione. Quindi la Regione ha la mappatura degli impianti che si sono sottoposti a revisione e di quelli che si sono sottratti ad essa. Dunque, questi funzionari incaricati - di fatto, verificatori privati incaricati e pagati dalla Pubblica Amministrazione - non possono essere impiegati in maniera più produttiva? Per controlli destinati laddove ce n’è davvero necessita? E non dove sono inutili...). Si dotino, piuttosto, i tecnici provinciali ed i vigili urbani di opacimetri per verificare su strada se i veicoli pesanti circolanti rientrino effettivamente nei limiti stabiliti di emissioni. Questi sono controlli praticamente inesistenti.

Eppure, quante volte ci è capitato di vedere mezzi pesanti diesel generare orribili nuvole di fumo nero e chiederci: “Perché controllano la mia caldaia a metano e non questi veicoli?

Un dossier commissionato dalla Camera di Commercio di Milano all’Università Cattolica stima in 1.780 tonnellate le polveri sottili prodotte ogni anno nell’area urbana di Milano dal traffico su strada ed in 412 tonnellate le polveri sottili prodotte dagli impianti di riscaldamento residenziale. Eppure, la frequenza dei controlli sul campo pare inversamente proporzionale alla fonte dell’inquinamento.

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Il “Corriere della Sera” di domenica 4 Dicembre riporta la notizia che l’Agenzia per la Mobilità e l’Ambiente del Comune di Milano completò nel 2008 una ricerca sui danni dello smog sulla salute umana, in collaborazione con l’Università Bicocca. La ricerca fu effettuata usando i vigili urbani come soggetti di studio.
C’è da sperare che l’articolista si sia sbagliato nel riportare che “da contratto la ricerca era vincolata da una ‘clausola di segretezza’ di due anni”.

Infatti, cosa avrebbe giustificato la secretazione di una ricerca condotta con fondi pubblici sul tema dei danni dell’inquinamento sulla salute? Perché solo dopo tre anni dal suo completamento questa ricerca è stata resa disponibile al pubblico tramite la stampa? La trasparenza non dovrebbe essere la regola delle amministrazioni pubbliche?
E, a tal proposito, la Fondazione Lombardia per l’Ambiente (www.flanet.org), una fondazione controllata e finanziata dalla Regione Lombardia con lo scopo di approfondire diverse tematiche ambientali, non pubblica on line il suo bilancio.

Il sito della Fondazione ne espone la missione e l’organizzazione ma omette di pubblicare le uniche cose di reale interesse per i cittadini: gli studi effettuati e il suo bilancio economico, il che consentirebbe di mettere in relazione i costi sostenuti dalla Regione Lombardia per il finanziamento di questa Fondazione con la connessa produzione di ricerca e di documentazione.

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Una legge regionale lombarda prevede che i tradizionali camini a legna (cioè a bassa efficienza) nei comuni sotto i 300 metri di altitudine debbano essere dotati di adeguati filtri antiparticolato. È una norma che può avere un  suo senso logico.
Ma allora, anche i barbecue a legna sotto i 300 metri di altitudine dovrebbero essere vietati. Infatti, mi è stato spiegato da un tecnico delle caldaie che “sarebbero” vietati. Ma se l’uso dei barbecue a legna è vietato sotto i 300 metri, perché allora sono regolarmente in vendita in tutti i negozi specializzati?
Premesso che vietare i barbecue è un divieto quasi “talebano”, il problema, ancora una volta, risiede nella coerenza delle normative. Si vieta l’uso ma non si vieta la vendita, e ovviamente nessuno controlla.


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