L'Eurozona rischia una crescita globale insufficiente
Il rischio per l'Eurozona, che ha appena dato il benvenuto al suo diciottesimo membro - la Lettonia, è quello di una crescita insufficiente e di eccessive divergenze tra gli stati
di Redazione Soldionline 21 gen 2014 ore 11:37
Prospettive economiche
A cura di La Française AM
Le previsioni sul medio termine prevedono un leggero aumento della crescita nel 2014 rispetto al 2013, senza alcun rischio inflazionistico. Per gli Stati Uniti, le proiezioni della FED di dicembre 2013 prevedono addirittura prospettive di crescita comprese tra il 2,8% e il 3,2% nel 2014 e tra il 3,0% e il 3,4% nel 2015, con un tasso d'inflazione rispettivamente dell'1,5% e dell'1,7%. Il tasso di aumento del PIL nominale è stimato al 4,5% circa nel 2014 e a quasi il 5% nel 2015. È legittimo quindi domandarsi se il mantenere quasi a zero il tasso dei fondi federali sia compatibile con un quadro macroeconomico tornato favorevole. Alcuni osservatori evocano perfino il rischio di una ripresa un po' brusca dei tassi a lungo termine.
La Federal Reserve americana è riuscita a intraprendere la strategia di uscita dalla politica di acquisti massicci di titoli a lungo termine, senza per ora provocare scosse sui mercati obbligazionari. L'annuncio di tapering di giugno scorso aveva suscitato un grande fermento nei mercati, ma a quanto pare si è trattato di una reazione momentanea. La riduzione degli acquisti di asset, iniziata il 18 dicembre scorso, ha provocato soltanto un leggero rialzo dei tassi a lungo termine, poiché il suo impatto è stato sapientemente attutito dalla notizia che la FED avrebbe a lungo mantenuto il tasso dei Fed funds a livelli molto contenuti. Le obbligazioni di Stato americane chiudono l'anno al 3%. Per colmare la distanza con il PIL nominale rimarrebbe ancora un margine d'aumento compreso tra 100 e 200 punti base. Un aumento ordinato dei tassi non rappresenterebbe un freno alla ripresa americana, ma si potrebbe temere un'inversione di rotta dei mercati azionari, dopo il netto aumento degli ultimi trimestri. Dalla seconda metà degli anni 2000, l'indice SP 500 ha seguito di pari passo l'andamento degli utili dichiarati dalle società americane, che a fine 2006 ammontavano a 1400 miliardi di dollari su base annua. Dopo il crollo provocato dalla recessione, abbiamo dovuto aspettare la fine del 2009 per tornare su tali livelli. Tra la fine del 2009 e la fine del 2013, gli utili sono aumentati del 35%, sfiorando quota 1900 miliardi di dollari. L'SP 500 si è attestato a 1400 punti a fine 2006 (la coincidenza dei dati è puramente casuale). Dopo il crollo del 2008, l’indice è risalito ai 1350 punti di fine 2009 e poi ai 1800 punti di fine 2013. Per concludere, la quotazione azionaria è sostanzialmente indicizzata sugli utili, senza comunque superarli e ignorando i movimenti a breve termine dei tassi d'interesse.
Il rischio per l'Eurozona, che ha appena dato il benvenuto al suo diciottesimo membro con l'ingresso della Lettonia, è quello di una crescita globale insufficiente e di eccessive divergenze tra gli stati membri. I tassi di crescita sono molto eterogenei tra i diversi Paesi e i tassi di indebitamento pubblico continuano a evidenziare una forte divaricazione. Non si può escludere il ritorno della diffidenza verso alcuni titoli sovrani. Lo scenario più probabile prevede tuttavia la graduale normalizzazione degli spread dei tassi mediante il lento calo dei premi per il rischio sul debito periferico e, contestualmente, la scomparsa dei "premi di sicurezza" (negativi) sui tassi core. Tale scenario è sostenuto dai progressi del progetto di Unione bancaria,che però è ancora in fase di gestazione, in particolare sui nodi cruciali della risoluzione delle crisi bancarie.
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Le previsioni sul medio termine prevedono un leggero aumento della crescita nel 2014 rispetto al 2013, senza alcun rischio inflazionistico. Per gli Stati Uniti, le proiezioni della FED di dicembre 2013 prevedono addirittura prospettive di crescita comprese tra il 2,8% e il 3,2% nel 2014 e tra il 3,0% e il 3,4% nel 2015, con un tasso d'inflazione rispettivamente dell'1,5% e dell'1,7%. Il tasso di aumento del PIL nominale è stimato al 4,5% circa nel 2014 e a quasi il 5% nel 2015. È legittimo quindi domandarsi se il mantenere quasi a zero il tasso dei fondi federali sia compatibile con un quadro macroeconomico tornato favorevole. Alcuni osservatori evocano perfino il rischio di una ripresa un po' brusca dei tassi a lungo termine.
La Federal Reserve americana è riuscita a intraprendere la strategia di uscita dalla politica di acquisti massicci di titoli a lungo termine, senza per ora provocare scosse sui mercati obbligazionari. L'annuncio di tapering di giugno scorso aveva suscitato un grande fermento nei mercati, ma a quanto pare si è trattato di una reazione momentanea. La riduzione degli acquisti di asset, iniziata il 18 dicembre scorso, ha provocato soltanto un leggero rialzo dei tassi a lungo termine, poiché il suo impatto è stato sapientemente attutito dalla notizia che la FED avrebbe a lungo mantenuto il tasso dei Fed funds a livelli molto contenuti. Le obbligazioni di Stato americane chiudono l'anno al 3%. Per colmare la distanza con il PIL nominale rimarrebbe ancora un margine d'aumento compreso tra 100 e 200 punti base. Un aumento ordinato dei tassi non rappresenterebbe un freno alla ripresa americana, ma si potrebbe temere un'inversione di rotta dei mercati azionari, dopo il netto aumento degli ultimi trimestri. Dalla seconda metà degli anni 2000, l'indice SP 500 ha seguito di pari passo l'andamento degli utili dichiarati dalle società americane, che a fine 2006 ammontavano a 1400 miliardi di dollari su base annua. Dopo il crollo provocato dalla recessione, abbiamo dovuto aspettare la fine del 2009 per tornare su tali livelli. Tra la fine del 2009 e la fine del 2013, gli utili sono aumentati del 35%, sfiorando quota 1900 miliardi di dollari. L'SP 500 si è attestato a 1400 punti a fine 2006 (la coincidenza dei dati è puramente casuale). Dopo il crollo del 2008, l’indice è risalito ai 1350 punti di fine 2009 e poi ai 1800 punti di fine 2013. Per concludere, la quotazione azionaria è sostanzialmente indicizzata sugli utili, senza comunque superarli e ignorando i movimenti a breve termine dei tassi d'interesse.
Il rischio per l'Eurozona, che ha appena dato il benvenuto al suo diciottesimo membro con l'ingresso della Lettonia, è quello di una crescita globale insufficiente e di eccessive divergenze tra gli stati membri. I tassi di crescita sono molto eterogenei tra i diversi Paesi e i tassi di indebitamento pubblico continuano a evidenziare una forte divaricazione. Non si può escludere il ritorno della diffidenza verso alcuni titoli sovrani. Lo scenario più probabile prevede tuttavia la graduale normalizzazione degli spread dei tassi mediante il lento calo dei premi per il rischio sul debito periferico e, contestualmente, la scomparsa dei "premi di sicurezza" (negativi) sui tassi core. Tale scenario è sostenuto dai progressi del progetto di Unione bancaria,che però è ancora in fase di gestazione, in particolare sui nodi cruciali della risoluzione delle crisi bancarie.
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