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Eurobond secondo Soros: regole per rafforzare la UE

Di recente George Soros ha suggerito che, per salvare l’euro, la Germania dovrà scegliere tra gli Eurobonds e l’uscita dall’Eurozona. Analizziamo le motivazioni del finanziere

di Redazione Soldionline 13 giu 2013 ore 12:19
di Antonio Mansueto, socio AIAF

Di recente George Soros ha suggerito che, per salvare l’euro, la Germania scelga tra il consentire la realizzazione degli Eurobonds e l’uscita dall’Eurozona (vedasi George Soros e l’Euro senza Germania). La prima ipotesi potrebbe essere il vero obiettivo del finanziere.
Soros sostiene che la creazione degli Eurobonds costerebbe alla Germania qualcosa in più di quanto abbia sinora voluto investire nel progetto Euro: ma così non ha fatto altro che peggiorare la situazione, mentre gli Eurobonds darebbero una notevole spallata alla crisi.

A quali condizioni? Secondo Soros bisognerebbe concedere l’opzione, ma non l’obbligo, ai paesi aderenti ad un nuovo fiscal compact, di convertire il loro intero debito pubblico esistente in Eurobonds. Ciò darebbe un immediato beneficio finanziario perché il nuovo più basso premio al rischio consentirebbe un calo immediato dei rendimenti dei titoli pubblici. E di conseguenza a quelli emessi dalle banche europee, le quali vedrebbero migliorare i propri asset. I paesi aderenti avrebbero sostanziosi risparmi nel rinnovo dei titoli in scadenza. L’Italia potrebbe avere –secondo Soros- un beneficio fino al 4% del suo PIL (circa 65 miliardi di Euro, distribuiti negli anni a venire – ma a nostro avviso un po’ meno). Ciò libererebbe le risorse necessarie a fare le politiche economiche di stimolo all’economia. Insomma, una quasi panacea.

Non sarebbe concesso, d’altra parte, di emettere importi superiori a quelli in scadenza in Eurobonds, ma i paesi che ne necessitassero dovrebbero emetterli a proprio nome, come oggi, pagando in tal caso tassi superiori, e ciò, sempre secondo Soros, sarebbe un incentivo a non eccedere in politiche permissive, a tutela dei timori tedeschi. Tuttavia, a nostro avviso, è possibile che, fatti gli Eurobonds, i mercati tornino a valutare a rischio basso anche le emissioni nazionali “residuali” senza garanzia europea.  Potrebbe essere quindi necessario porre un freno a nuove emissioni pubbliche “non eurobond”. Soros ammette che il Fiscal Compact dovrebbe ricevere alcune modifiche per essere ottimale. Ma il risultato –ritiene- sarebbe eccellente, come uscire fuori da un incubo.

Gli Eurobonds reggerebbero molto bene il confronto con altre emissioni pubbliche sul mercato internazionale, mantenendo un buon rating. Soros sottolinea anche che gli Eurobonds implicano una garanzia che con tutta probabilità non dovrà mai realmente essere pagata.

Se la Germania non se la sentisse –è la tesi del finanziere-  essa dovrebbe uscire dall’euro per permettere agli altri paesi di emettere gli Eurobonds. L’euro, a questo punto, si deprezzerebbe un po’, con vantaggio per l’export dell’eurozona. La sorpresa è che l’Eurozona senza la Germania avrebbe ancora un rapporto debito pubblico/PIL inferiore, e quindi migliore, rispetto a USA, Gran Bretagna, Giappone. Pertanto –egli conclude- anche senza la Germania, gli Eurobonds reggerebbero bene il mercato.

I costi dell’uscita dall’euro sarebbero per la Germania probabilmente superiori rispetto al restare e consentire la creazione degli Eurobonds, a causa dalla perdita di competitività  (per l’apprezzamento certo del nuovo marco rispetto all’euro) e dalla perdita di valore degli investimenti tedeschi in euro.
 
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Figura 1: "Frau Merkel" by Antoh www.antoh.com

Geroge Soros, poi, cita l’eventuale uscita dell’Italia dall’eurozona come grande rischio per i mercati mondiali. Se l’Italia abbandonasse l’euro, essa sarebbe costretta a ristrutturare il debito pubblico e, data la mole del nostro stock, le ripercussioni sull’Eurozona e tutti i mercati finanziari mondiali sarebbero pesanti, portando anche ad una disordinata disgregazione dell’Eurozona e dell’UE. E Soros dice: “se un paese deve uscire dall’euro, questo è la Germania, non l’Italia”.

Il nostro paese ha quindi questo argomento per farsi ascoltare, ma attenzione: man mano che gli investitori esteri dismettono i titoli di stato italiani, il “rischio default Italia” diminuisce per i mercati internazionali, e cresce per il nostro sistema nazionale. Cioè per la maggior parte degli italiani: ovvero quelli che non hanno rilevanti risparmi all’estero.
Se l’Italia vuole creare consenso tra i paesi dell’Eurozona verso vie mediate, come gli Eurobonds o un fiscal compact più morbido, con possibilità di liberare risorse per sostenere l’economia nazionale, deve innanzitutto dimostrare la propria credibilità, di avere un piano di sostegno economico organico, sensato, pianificato e credibile nel tempo;  deve poi dimostrare che i timori inerenti il mancato rispetto delle regole, la inefficiente gestione delle risorse finanziarie pubbliche e l’evasione fiscale vengano almeno affrontati con decisione, così come la nostra politica deve dimostrarsi corretta e onesta.  In sintesi occorre: un buon uso delle nuove risorse spendibili e la realizzazione di riforme tese ad ottenere una maggiore competitività socialmente sostenibile.

In conclusione, Eurobonds ed Euro sono solo strumenti. Ma per la UE la Germania resta una delle colonne portanti insostituibili. Una Unione Europea giusta fa la forza dei popoli, la disunione, certamente, no. Il dialogo tra i paesi europei è tutto.

Per citare altre fonti favorevoli agli eurobond, nel 2011 i neo premi Nobel Tom Sargent e Chris Sims, poche ore dopo l’annuncio che del loro premio, dichiararono che l’Europa Unita non sarebbe sopravvissuta senza creare un’autorità finanziaria comune, in grado di stabilire le politiche economiche e fiscali per l’intero continente, e soprattutto di emettere bond. “Illusorio pensare che potete salvare la moneta unica cacciando i Paesi più deboli: o ce la fate tutti insieme, oppure tutti insieme fallite”.  Dopo due anni l’eurozona resiste, ma il nodo, il dubbio e la scelta non sono ancora risolti.
Alla prossima puntata.

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