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E se il crac obbligazionario fosse più un rischio per il Giappone che per gli Stati Uniti?

Da inizio aprile, con gli annunci di acquisti massivi di titoli del tesoro giapponese da parte della Banca del Giappone, la volatilità nel mercato obbligazionario è aumentata

di Redazione Soldionline 12 giu 2013 ore 11:15
Dal weekly di investment strategy di Amundi Asset Management

Da inizio aprile, e con gli annunci di acquisti massivi di titoli del tesoro giapponese da parte della Banca del Giappone (BoJ), la volatilità nel mercato obbligazionario è decisamente aumentata.
Ricordiamo quanto accaduto: allo scopo di portare più rapidamente l’inflazione verso la (nuova) soglia di 2%, la BoJ ha dichiarato di voler raddoppiare la base monetaria da qui a fine 2014 e, a tale scopo, di acquistare obbligazioni governative a lunga scadenza (JGB) per 7,5 trilioni di yen ogni mese, corrispondenti ai tre quarti delle emissioni mensili del Tesoro giapponese. L’idea sottostante era di evitare una rimonta dei tassi a lungo termine, cercando invece di farli scendere. Ma è stato tutto l’opposto! A partire dal 10 maggio, il tasso a 10 anni giapponese è subito cresciuto, ed ha guadagnato 25 bps nel giro di tre sedute, per poi rimanere intorno a 0,9% (addirittura prossimo a 1% il 23 maggio, proprio all’inizio della correzione del mercato azionario giapponese).

Osserviamo lo stesso nervosismo negli Stati Uniti:
le dichiarazioni circa un abbandono progressivo del QE3 preoccupano gli investitori: i tassi americani sono anch’essi nettamente cresciuti a maggio (passando da 1.6% a più di 2%). E, come in Giappone, la volatilità si è poi trasmessa ai mercati azionari. Dopo la forte crescita degli indici da inizio anno, è stato il momento delle prese di profitto.

La minaccia di crac obbligazionario è seria?

Paradossalmente, può essere più severa per il Giappone che per gli Stati Uniti. Per diversi motivi.
(1) Secondo la Regola Aurea, il disallineamento aumenterà più velocemente per il Giappone che per gli Stati Uniti. Con l’anticipato recupero dell’inflazione, il consensus prevede una crescita del PIL nominale in Giappone pari a circa 3,5% nel 2014, dopo l’1,8% del 2013 (quindi + 1,7 punti percentuali). Negli Stati Uniti, il PIL nominale cresce meno in fretta (passando da un rialzo di 3,6% previsto nel 2013 a 4,7% nel 2014). Inoltre, in Giappone, il tasso a 10 anni non si è mai trovato al di sotto della crescita del PIL nominale durante i 2 anni consecutivi da... la fine degli anni ’80 (il tasso a 10 anni oscillava allora tra 4 e 5%), da ciò la preoccupazione degli investitori. Dal punto di vista fondamentale, ciò significa che il valore di equilibrio dei tassi a lungo termine aumenta.
(2) Il debito pubblico giapponese (219% del PIL nel 2012) è più elevato di quello statunitense (106% del PIL) e continuerà a crescere più rapidamente. La spesa pubblica ha iniziato a ridursi negli Stati Uniti, non in Giappone.
(3) Il surplus di risparmio giapponese sta evaporando, come evidente dal declino dell’avanzo corrente. Velocemente assorbito fino ad ora dal settore interno, JGB – 91% del totale in mano a residenti – potrebbe non attrarre ulteriori investitori, almeno ai prezzi attuali.

regola-aurea

Infine, ciò significa che il valore fondamentale e il premio al rischio dei JGB stanno crescendo simultaneamente. Le
banche giapponesi, che detengono il 42% dei JGB, saranno le prime vittime: secondo la BoJ, un rialzo di 100 bps per il
tasso a 10 anni giapponesei provocherebbe un calo del 20% del tier 1 delle banche regionali e del 10% di quello delle
banche locali. Ciò provocherebbe una crisi bancaria e riporterebbe il Giappone in recessione. A breve termine, quindi, il
Giappone farà di tutto per prevenire questa eventualità, e dispone dei mezzi necessari. Ma la “exit strategy” risulterebbe più pericolosa per la BoJ che per la Fed.
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