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È giunto il momento di smettere di evitare la volatilità?

Gli investitori continuano ad esibire un’attenzione miope nei confronti del desiderio di evitare la volatilità e il rischio di perdite di breve con un’intensità mai vista nei decenni passati

di Edoardo Fagnani 8 giu 2016 ore 09:53

A cura di Dave Fishwick, Head of Macro and Equities Investment M&G Investments

Secondo la narrativa standard di oggi gli investitori sarebbero costretti ad assumere livelli di rischio più elevati che mai perché le banche centrali hanno contribuito a spingere al ribasso i rendimenti sui titoli sicuri.
Al contempo, l’industria degli investimenti è forse più che mai concentrata sul breve termine. Misurare il successo dei gestori implica sempre più spesso l’esame di fasi specifiche: come si è comportato il fondo a gennaio quest’anno per esempio, o in agosto 2015. I drawdown e la volatilità sono ora le misure di rischio preferite.
Ma con enfasi sempre maggiore sul percorso di investimento piuttosto che sulla meta, stiamo rischiando forse di perdere di vista quest’ultima, impegnati come siamo nello scopo di dormire sonni tranquilli? Come riconciliare rendimenti sempre più modesti su asset meno volatili con una crescente ossessione per il desiderio di evitare la volatilità?
Un rapido sguardo a una gamma di misure convenzionali di valutazione rivela subito che la situazione attuale è inusuale e piuttosto estrema. Tale situazione suggerisce che stanno prevalendo profondo scetticismo e pessimismo sulla durevolezza dei futuri rendimenti sul capitale, con una conseguente preferenza per asset con livelli più elevati di certezza di rendimento sul capitale rispetto a quelli con un qualche livello di speranza di crescita futura.

volatilita_2Inoltre, gli investitori continuano ad esibire un’attenzione miope nei confronti del desiderio di evitare la volatilità e il rischio di perdite di breve termine con un’intensità mai vista nei decenni passati. Quest’avversione nei confronti delle perdite di breve termine viene posta in posizione prioritaria rispetto al potenziale di un rialzo materiale e della “crescita”. C’è sempre stata una certa tensione tra obiettivi di “rischio e rendimento” ma sembra che oggi gli investitori nel complesso vedano la volatilità ridotta come il vero “sacro graal” e che essi siano disposti, pur di raggiungere tale obiettivo, a sacrificare la possibilità di performance più solide. Sia la teoria che la storia ci dicono che questa situazione cambierà, prima o poi!

Questa preferenza per la “sicurezza” e la protezione del capitale traspaiono nei rendimenti molto bassi o persino negativi sui titoli sovrani di molte economie. Gli investitori hanno decisamente ridotto i tassi di rendimento richiesti per elargire prestiti ai governi. Nell’ultimo anno circa, questi tassi di rendimento sono scesi sotto lo zero, con investitori che hanno di fatto spesso pagato per prestare denaro ai governi, un’eventualità che molti avevano visto come altamente improbabile.
Nell’era post-2008, questo atteggiamento di avversione alla volatilità non ha rappresentato una caratteristica comportamentale onerosa. Al contrario, mantenere una view prudente o negativa ha prodotto risultati elevati, fino a quando si è manifestata come una tendenza all’esposizione a titoli sovrani con duration più lunga. È interessante invece notare che un approccio prudente, rappresentato meramente da posizioni corte sull’azionario o dalla mancata esposizione ad esso, non è stato vantaggioso. I buoni risultati sia nei mercati obbligazionari che in quelli azionari dei Paesi sviluppati sono stati una sorpresa e fonte di grande confusione.

Pertanto, orientare i portafogli verso posizioni lunghe sui titoli di Stato ha rappresentato una strategia vincente dal 2009.
Obbligazioni a più lunga scadenza in Stati Uniti, Europa e Giappone hanno generato incrementi di capitale pluriennali significativi del tipo più spesso associato con asset più rischiosi quali azioni, man mano che i rendimenti hanno seguito una tendenza al ribasso. Inoltre, si sono continuamente comportate come polizze assicurative, in quanto hanno risposto in modo decisamente positivo nelle fasi di stress per gli asset di rischio, pertanto attutendo i portafogli nelle fasi di ribasso.
Questo schema di comportamento è stato enormemente vantaggioso ai portafogli che hanno avuto una disposizione per titoli di Stato mainstream. Tuttavia, è importante sottolineare che l’ampiezza e la durevolezza di questa fase hanno colto di sorpresa molti, inclusi coloro che ne hanno beneficiato! È anche opportuno ribadire che la realtà è che si tratta di un gioco a tempo limitato. Forti incrementi di capitale dalle obbligazioni giungono a discapito di guadagni futuri: man mano che i rendimenti scendono, calano anche le nostre potenziali performance. Si tratta effettivamente di cogliere performance future in anticipo. Da un punto di vista comportamentale, non si ha mai la “sensazione” che sia così. I guadagni da una transizione a performance future minori possono distrarre gli investitori e far si che essi vogliano continuare a godersi il percorso, anche se credono effettivamente che non sia sostenibile! Questa dinamica emotiva è stata molto chiara in quest’ultima fase.

grafico-freccieA nostro avviso, siamo giunti a un punto chiave e potenzialmente critico, dove sono necessari un cambiamento sostanziale del modo di pensare e di comportarsi degli investitori. La realtà è che con le valutazioni ai livelli attuali, un prosieguo degli atteggiamenti e comportamenti attuali condurrebbe probabilmente a performance nominali e reali deludenti e forse molto negative. È probabile che le strategie che hanno generato buoni risultati nel decennio scorso si trovino ora ad arrancare. Più che mai, conclusioni come queste, basate sui segnali di valutazione in quanto tali, non ci dicono molto del futuro immediato. È possibile che i comportamenti attuali persistano o che addirittura si intensifichino, e che le valutazioni divengano ancora più estese. Abbiamo visto in passato cose simili, dove le valutazioni diventano fortemente elevate e gli investitori sospendono tutte le loro normali convinzioni circa il pricing del rischio. Tuttavia, alla fine, la gravità si riafferma e i risultati possono essere disastrosi.

Questo punto di vista si basa sulla nostra profonda convinzione che la volatilità non equivalga al rischio. A nostro avviso, il vero rischio è più una funzione della possibilità di perdita di capitale più estesa o permanente. A nostro avviso, essere ossessionati dalla volatilità è controproducente e non tiene conto degli elementi salienti di una view pluriennale. Il possesso di asset che hanno in passato generato buoni risultati e che avevano allettanti caratteristiche di rischio, ma ora si basano su valutazioni secondo le quali ciò non può essere ripetuto, rappresenta una strategia pericolosa. Ogni volta che “tagliare il rischio” di un portafoglio implica passare da asset più economici ad asset più costosi, dovrebbero suonare campanelle d’allarme.

Pertanto, crediamo che l’avversione alla volatilità, l’estrapolazione di tendenze anormali recenti e un significativo deterioramento delle convinzioni economiche abbiano prodotto un disallineamento delle valutazioni e un disequilibrio estremo nel prezzamento del mercato. Questa situazione potrebbe persistere o intensificarsi, ma crediamo che col tempo si correggerà, comportando importanti sorprese nel farlo. Per poter sfruttare questa situazione, gli investitori dovranno cambiare rotta ed essere disposti a concentrarsi meno sulla volatilità di breve termine e più su rendimenti allettanti sostenibili. Ciò può essere scomodo ed emotivamente difficile ma crediamo che il premio per tale variazione di rotta possa dimostrare che ne dovrebbe sicuramente valere la pena.
I costi di un mancato cambiamento di rotta potrebbero essere notevoli.

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