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Cresce il divario tra Usa ed Eurozona

Nell’ultima nota pubblicata nella sezione obbligazionario (Come proteggersi da un possibile rialzo dei tassi negli USA?), abbiamo fornito consigli operativi su come far fronte ad un possibile rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti

di Redazione Soldionline 22 mar 2013 ore 11:16

Articolo a cura di JCinvestimenti.it

Nell’ultima nota pubblicata nella sezione obbligazionario (Come proteggersi da un possibile rialzo dei tassi negli USA?), abbiamo fornito consigli operativi su come far fronte ad un possibile rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti. Le ragioni per cui questo scenario è stato preso in considerazione sono riconducibili ad un miglioramento delle condizioni americane, sia in termini di performance dei mercati sia per quanto riguarda i dati macroeconomici. L’indice azionario S&P 500 è infatti in prossimità dei massimi storici, attualmente in area 1550, ovvero a circa 1.5 punti percentuali dal 1576 toccato nel 2007.

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Fonte: Bloomberg. Andamento storico dell’S&P 500

A far pensare ad una possibile ripresa per l’economia americana intervengono però soprattutto alcuni dati macroeconomici, relativi al mercato del lavoro e al settore industriale. I numeri più recenti descrivono infatti un mercato del lavoro in ripresa con una graduale riduzione degli Initial Jobless Claims, ovvero delle richieste settimanali di nuovi sussidi di disoccupazione, una riduzione dei Continuing Claims (rinnovo delle richieste di sussidio) e una riduzione del tasso di disoccupazione che nel mese di febbraio si è ridotto al 7.7% dal 7.9% nel mese di gennaio, coerentemente con una crescita dei Nonfarm Payrolls (+236000 contro 157000 del mese di gennaio e i 165000 attesi). Il dato generale sulla disoccupazione è inoltre abbastanza confortante per lo più per il suo trend di lungo periodo visto che nel febbraio 2012 il dato si assestava su un 8,3%, mentre nel febbraio 2011 era al 9%!. Sul fronte della produzione industriale l’ultimo dato relativo al mese di febbraio descrive una lieve ripresa, con un 0.7% superiore alle aspettative (0.4%) e in miglioramento rispetto allo -0.1% di gennaio.


In miglioramento anche il dato relativo alla capacità di utilizzo che sempre nel mese di febbraio è risultato pari a 79.6%, contro 79.4% atteso e contro un 79.2% del mese di febbraio. Ancora debole invece permane il dato relativo agli ordini industriali. L’ultimo valore relativo al mese di gennaio riporta una contrazione del 2.0% in contrapposizione ad una crescita dell’1.8% nel mese di dicembre. Nel mese di febbraio sono anche migliorati anche l’ISM Manifatturiero (da 53.1 a 54.2) e l’ISM non manifatturiero (da 55.2 a 56). Infine in miglioramento è risultato anche l’ultimo dato mensile relativo alle vendite al dettaglio (stima in advance) pari all’1.1% contro lo 0.2% di gennaio e superiore alle attese (0.5%).

Se da oltre oceano arrivano dati confortanti, in grado di infondere fiducia in una possibile e sostenibile ripresa, lo stesso non si può dire per ciò che riguarda l’Eurozona, i cui dati macroeconomici, spesso peggiori delle aspettative, descrivono uno scenario sempre più flebile. A partire dal mercato del lavoro si riscontra un tasso di disoccupazione che nel mese di febbraio è cresciuto rispetto al mese di gennaio (11.9% contro 11.7%) ed è risultato superiore anche alle attese (11.8%). Ciò che purtroppo crea sconcerto è il fatto che a determinare questo risultato negativo non contribuiscono più soltanto le economie periferiche, si pensi a Spagna, Portogallo o Grecia con un tasso di disoccupazione superiore al 20%, ma dati in peggioramento contraddistinguono anche le cosiddette economie core, come ad esempio Germania e Francia.

Per quanto riguarda il dato tedesco sia decisamente più contenuto gli ultimi dati rilevano comunque un peggioramento con un valore di febbraio cresciuto da 6.8% a 6.9%. In aumento è risultata anche la disoccupazione relativa all’ultimo trimestre 2012 in Francia che è passata dal 9.9% al 10.2%. Mentre come abbiamo precedentemente visto la produzione industriale americana è migliorata, quella dell’eurozona nel mese di gennaio è passata da 0.9% a -0.4%, contro un’attesa di -0.1%. Di nuovo hanno contribuito a questo risultato negativo sia Germania sia Francia. La prima con un dato su base mensile pari a zero (contro un’attesa dello 0.4%, e un dato relativo al mese di dicembre pari 0.6%), la seconda con un -1.2% contro 0.9% del mese precedente. Anche la bilancia commerciale extra-EU descrive un peggioramento con un dato pari a 9 miliardi di euro per gennaio, mentre era atteso per 10.9 miliardi, contro l’ultimo dato pari a 12 miliardi.



I dati dell’ultimo mese evidenziano quindi una tendenza che descrive un miglioramento per l’economia statunitense, viceversa per quella europea. Come abbiamo descritto in apertura l’indice azionario americano è ormai in prossimità dei massimi storici, avendo recuperato totalmente le perdite conseguite con la crisi finanziaria del 2008. Il seguente grafico evidenzia che lo stesso non è avvenuto per l’indice azionario dell’eurozona, l’Eurostoxx 50 che è ancora molto al di sotto dei livelli precedenti la crisi.

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Fonte: Bloomberg. Confronto S&P 500 ed Eurostoxx 50 a 5 anni

Ulteriore conferma di questa dicotomia arriva dall’andamento del cambio euro-dollaro che da fine gennaio è passato dall’area 1.36 all’attuale 1.2950, perdendo oltre il 5.50%.

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Fonte: Bloomberg. Cambio euro-dollaro a un anno

Le ragioni dell’indebolimento dell’euro attualmente in corso sono certamente riconducibili ad un peggioramento dei dati macroeconomici, ma senza dubbio le preoccupazioni che arrivano dal fronte politico rappresentano un’aggravante. All’incertezza politica italiana si è aggiunta questa settimana l’incertezza rispetto all’approvazione da parte del parlamento cipriota delle misure concordate con la Troika affinché questa proceda al rilascio degli aiuti.
In conclusione il quadro economico americano sembra tornato ad essere meritevole di interesse, lasciando spazio ad una possibile ripresa dell’economia, che ancora sembra essere lontana in Europa. Per questa ragione riteniamo che gli Stati Uniti potrebbero rappresentare un’interessante area di investimento, sebbene non ci si possa esimere dalla scure dagli effetti del mancato accordo tra democratici e repubblicani in merito ai tagli finalizzati alla riduzione del deficit, il cosidetto sequester, che darà automaticamente inizio a una serie di tagli lineari in settori quali l’istruzione, la sanità e la difesa, per un ammontare di 85 miliardi già sul budget nel 2013, e pari a 1200 miliardi nell’arco di dieci anni, con possibili effetti negativi sulla crescita e sull’occupazione. Per i singoli asset provvederemo prossimamente a fornire qualche spunto.

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