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Consulenti lavoro, per Cigd no obbligo accordo tra datore e sindacati

Approfondimento della Fondazione Studi

di Redazione Soldionline 4 mar 2021 ore 17:12

A cura di Labitalia/Adnkronos


italia-soldi"Pare riproporsi un dubbio, già affrontato con l’entrata in vigore della cassa integrazione emergenziale - e per la verità risolto immediatamente - riguardo la presunta obbligatorietà dell’accordo sindacale ai fini della concessione della cassa in deroga, così come prevista dall’art. 22 del dl n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2020. Giungono notizie di dinieghi in assenza dell’allegazione del predetto accordo, che si vorrebbe quale requisito essenziale dell’autorizzazione al trattamento di integrazione salariale, pena il suo rifiuto. In realtà, come si è già avuto modo di verificare, l’unico obbligo che incombe sul datore di lavoro che intende accedere alla cassa integrazione in deroga, così come per la misura ordinaria, è quello di informare in via preventiva i sindacati di tale sua intenzione, e di partecipare all’esame congiunto, laddove questo sia richiesto nei termini previsti dalla legge (nello specifico tre giorni dalla informativa)". E' quanto sottolinea la Fondazione studi dei consulenti del lavoro in un approfondimento.

"Si tratta di una posizione, non solo logicamente condivisibile, ma che ha il conforto, più volte evidenziato, della sua giustificazione giuridica, legata alla stessa ontologia dell’accordo e non a caso confermata dalla giurisprudenza. In buona sostanza, ai fini della legittimità della pretesa dell’autorizzazione alla fruizione della cassa integrazione in deroga, è sufficiente -si legge ancora nell'approfondimento firmato dall'esperto della Fondazione Pasquale Staropoli- che il datore di lavoro abbia sollecitato in via preventiva l’esame congiunto con i sindacati, e vi abbia effettivamente partecipato laddove vi sia stata l’adesione nei tre giorni previsti dalle norme emergenziali, senza che possa essere altrimenti imposto un 'accordo' artificiale che, proprio perché fondato sulla volontà delle parti, soggiace alla libertà delle determinazioni di queste e non può rappresentare, il suo raggiungimento, la condicio sine qua non imposta con legge per l’autorizzazione ad una misura come la cassa integrazione in deroga".

Secondo i consulenti del lavoro, "va detto che l’equivoco è plausibile, a causa di una formulazione normativa non particolarmente felice. Ma è altrettanto vero che i dubbi nella fattispecie sono stati presto dipanati. Contrariamente alla chiarezza dell’art. 19 del decreto 'Cura Italia', che fissa i canoni per l’accesso alla cigo emergenziale, l’art. 22, per la Cassa in deroga, rinvia in maniera apparentemente esplicita alla necessità di un 'accordo', che sembrerebbe davvero rappresentare il requisito per la concessione dell’ammortizzatore".
"Tuttavia, la norma fa anche riferimento -spiega ancora l'approfondimento dei professionisti- alla necessità che tale accordo venga concluso con le 'organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale per i datori di lavoro'. Già all’epoca dell’entrata in vigore della norma, era stato possibile evidenziare come l’incertezza della sua formulazione poteva indurre in errore, ma altrettanto immediatamente si era evidenziata l’irragionevolezza di un significato che prevaricasse l’onere della convocazione dei sindacati, in favore di un malinteso obbligo del raggiungimento di un accordo".

"Premesso, infatti, che il passaggio relativo agli accordi regionali è peraltro superato a legislazione vigente, anche con la formulazione originaria dell’art. 22 era immediatamente apparso inverosimile che un accordo di cassa integrazione in deroga potesse essere stipulato dalle Regioni senza la partecipazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. È inammissibile anche soltanto poter pensare che l’obbligo che incombe sui datori di lavoro-spiega l'approfondimento dei consulenti del lavoro- non sia soltanto quello di provvedere bonae fidei alla consultazione sindacale, bensì, addirittura, di soggiacere alla condizione capestro di pervenire obbligatoriamente ad un “accordo”, qualsiasi esso sia ed indipendentemente dalla plausibilità delle proposte della parte sindacale, pena il diniego del trattamento".
Secondo i consulenti del lavoro quindi "come si è già avuto modo di rilevare, con il conforto peraltro della giurisprudenza, non ci sono ragioni per respingere tale eventualità, considerando incombente sul datore di lavoro, come premesso, soltanto l’obbligo di attivare la fase di consultazione sindacale e di attendervi con le modalità semplificate e rapide della normativa emergenziale. Perché al netto di questi interventi di natura procedurale, anche per la cassa Covid valgono gli stessi princìpi noti in via ordinaria".

E infatti i consulenti del lavoro ricordano che "non a caso, infine, anche l’Inps, con la circolare n. 47 del 28 marzo 2020, a proposito dell’interpretazione degli adempimenti connessi alla previsione dell’art. 22 del 'Cura Italia', in merito agli accordi sindacali previsti dal primo comma, premettendo che i datori di lavoro con dimensioni aziendali fino a cinque dipendenti sono esonerati dall’accordo, per dimensioni aziendali maggiori subordina la concessione della misura alla sottoscrizione dell’accordo. Aggiunge però opportunamente l’Istituto, che 'si considera, altresì, esperito l’accordo di cui all’art. 22, comma 1, con la finalizzazione della procedura di informazione, consultazione ed esame congiunto di cui all’articolo 19, comma 1'. Confermando così il contenuto concreto dell’onere datoriale, che è rappresentato dallo scrupoloso e tempestivo adempimento all’onere informativo, ma non si estende alla necessità di ratificare obbligatoriamente un 'accordo purché sia", conclude l'approfondimento dei consulenti del lavoro.

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