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Confcommercio, italiani vogliono più negozi in città

46% abbigliamento scompare

di Redazione Soldionline 27 ago 2024 ore 16:03

A CURA DI LABITALIA

saldi_1Gli italiani vogliono vivere nei quartieri dove ci sono più esercizi di prossimità perché questi rafforzano le comunità (per il 64% degli intervistati), fanno sentire più sicure le persone (57%) e fanno crescere il valore delle abitazioni (fino al 26% in più). La chiusura dei negozi preoccupa per il timore di un aumento del degrado, di disoccupazione e di rischi di spopolamento. E i negozi che stanno scomparendo di più sono proprio quelli dell’abbigliamento (46%). Emerge da un'indagine realizzata da Confcommercio con Swg. Per i cittadini italiani, la presenza di esercizi commerciali nel luogo in cui si vive, è l’elemento che vede la maggiore soddisfazione in assoluto e l’unico che riceve una valutazione positiva in tutte le aree del Paese e in tutte le tipologie di comuni, sia piccoli che grandi, in misura maggiore persino rispetto alla presenza di spazi verdi e di servizi pubblici, come scuole, ospedali, centri sportivi. 

La presenza dei negozi guida anche le preferenze insediative dei cittadini: per l’88%, infatti, è determinante nella scelta del quartiere nel quale vivere, mentre solo una persona su 10 preferisce vivere in una zona esclusivamente residenziale, senza servizi di prossimità; molto significativi anche gli effetti della presenza dei negozi sui valori immobiliari: secondo gli intervistati, uno stesso immobile potrebbe vedere crescere il proprio valore almeno del 20% quando collocato in una zona residenziale con molti negozi di prossimità, mentre in un quartiere dove sono in corso fenomeni di desertificazione commerciale potrebbe perderne il 15%, con un differenziale complessivo, quindi, di oltre un terzo. 

Alle attività economiche di prossimità viene anche riconosciuto un alto valore sociale: per quasi i due terzi degli intervistati (64%) rappresentano soprattutto un’occasione di incontro che rafforza l’appartenenza alla comunità, ma anche un servizio attento alle persone fragili (59%), un presidio di sicurezza (57%), una garanzia di cura dello spazio pubblico (54%) e un facilitatore dell’integrazione (49%); quando si tratta di consumi, gli acquisti quotidiani di farmaci (64%) e tabacchi (59%) vengono effettuati prevalentemente negli esercizi vicini all’abitazione; per abbigliamento (64%), alimentari a lunga conservazione (60%), accessori per la casa (60%) e prodotti di elettronica (53%) i centri commerciali e le grandi strutture distributive (megastore, outlet, ecc.) diventano i luoghi di acquisto prevalenti rispetto agli esercizi commerciali in centro città dove quelle tipologie di beni registrano percentuali di acquisto tra il 2% e il 5%. E uno dei motivi delle scelte di acquisto al di fuori del proprio quartiere deriva dall’avanzamento della desertificazione commerciale, ovvero dal calo o addirittura dalla totale assenza di negozi tradizionali vicino alla propria abitazione: rispetto alla propria zona di residenza, infatti, per i negozi specializzati si avverte prevalentemente una diminuzione, come nel caso dei negozi di abbigliamento ed elettronica (46%) e dei servizi essenziali, tra cui gli alimentari (42%), solo i servizi per il tempo libero (tra cui bar e ristoranti) sono percepiti in aumento dal 43% degli intervistati. La percezione dell’avanzamento della desertificazione porta con sé un forte sentimento negativo che spinge un italiano su cinque (22%) addirittura a ipotizzare di cambiare abitazione nel caso in cui il fenomeno dovesse acuirsi nella zona in cui abita; l’83% degli intervistati dichiara di provare un senso di tristezza di fronte alla chiusura dei negozi nelle strade della propria città e il 74% ritiene che tale fenomeno incida negativamente sulla qualità di vita nella zona di residenza. 

Forte è la consapevolezza della difficoltà di una loro riapertura: il 56% degli intervistati sostiene che difficilmente un negozio chiuso nel proprio quartiere verrà sostituito da un altro. I cittadini che percepiscono nel proprio quartiere fenomeni generali di desertificazione si equivalgono con coloro che rilevano una crescita delle attività (39%) e questo è indicativo non solo di una certa dinamicità delle imprese del terziario di mercato ma anche di una geografia dei fenomeni differenziata per merceologia, macroregioni e diverse dimensioni dei comuni: se al Nord i processi di desertificazione sono segnalati dal 43% degli abitanti, al Sud questo avviene per il 31% degli intervistati; le chiusure sono maggiormente percepite nelle città tra 100 e 250mila abitanti, meno in quelle tra 30 e 100 mila. Diversa è anche la percezione del fenomeno tra chi vive nei grandi e nei piccoli centri: per i primi desertificazione è sinonimo di aumento del degrado urbano, riduzione della qualità della vita e riduzione della sicurezza, per i secondi sta a indicare prevalentemente riduzione delle occasioni di lavoro, aumento del rischio di spopolamento e riduzione delle occasioni di socialità. 

A livello geografico, al Nord emergono con particolare forza i timori per un aumento del degrado e per il rischio di esclusione degli anziani, mentre nel Mezzogiorno prevalgono le preoccupazioni per i riflessi occupazionali e i rischi di spopolamento. "Anche nell’era digitale i negozi di vicinato sono insostituibili. Rendono le città più vivibili, più attrattive e più sicure. E' necessario, però, contrastare la desertificazione che sta facendo scomparire molte attività commerciali. Occorre incentivare l’innovazione e sostenere la riqualificazione urbana attraverso un miglior utilizzo dei fondi europei”, commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. Per Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio: “In questo contesto, il ruolo del negozio locale sta riacquistando centralità. Non si tratta solo di un luogo di acquisto, ma di uno spazio di incontro, di scambio culturale e di supporto reciproco. I negozi diventano custodi delle tradizioni, promuovono prodotti selezionati e offrono esperienze uniche, differenziandosi da quell’omologazione di offerta che punta su un consumo di massa spesso disconnesso dai territori”. “Non mollare - prosegue Felloni - è il messaggio chiave che vogliamo trasmettere agli imprenditori e alle Istituzioni locali. La vera forza risiede nella capacità di innovare, di rimanere fedeli alla propria identità e di valorizzare ciò che rende unici i negozi di prossimità made in Italy. 

Il futuro del fashion retail dipende dalla volontà di ciascuno di noi operatori commerciali, supportati dalle nostre associazioni e da un rapporto più stretto tra pubblico e privato, di saper vedere oltre l’immediato – che è sicuramente difficoltoso – investendo sulla qualità, sull’originalità e sulla relazione con il cliente. Solo così potremo continuare a stare sul mercato e a competere al meglio, contribuendo al benessere della nostra comunità e preservando il nostro patrimonio culturale”. "In questo momento - conclude Felloni - il vademecum ‘Rapporto con i fornitori‘ di Federazione Moda Italia-Confcommercio, che è stato ripreso da molti imprenditori in occasione degli ordini della collezione primavera/estate 2025, può essere molto utile per una rinnovata collaborazione. Bisogna capire se l’azienda che fornisce i prodotti vuole veramente lavorare in trasparenza e fiducia con i negozi oppure se intende seguire altre politiche che riguardano la vendita diretta al consumatore finale senza condividerne il valore. Resta poi fondamentale il rapporto con le amministrazioni locali, gli assessori al commercio, le camere di commercio a tutela delle vie, delle piazze, dei centri che contengono quel patrimonio indispensabile alla socialità che è il negozio di prossimità. 

Va, infine, rafforzato il legame con il consumatore finale in una dinamica distensiva che vede riavvicinarsi il cliente al negozio fisico nella ricerca di prodotti non anonimi e di buona qualità, soprattutto per creare un mix di capi di moda con i giusti abbinamenti tra colori, stili e accessori in sintonia con chi li indossa e con le indicazioni della moda attuale". “Dall’indagine emergono chiaramente la consapevolezza e la preoccupazione dei cittadini sull’avanzamento della desertificazione commerciale. Uno stato d’animo tanto più evidente vista la contemporanea soddisfazione sui negozi attivi nei rispettivi Comuni di residenza, soprattutto sul loro ruolo sociale”, dice Paolo Testa, responsabile del Settore Urbanistica e Rigenerazione Urbana di Confcommercio, che evidenzia come le attività economiche di prossimità “per quasi i due terzi degli intervistati rappresentino soprattutto un’occasione di incontro che rafforza l’appartenenza alla comunità, ma anche un servizio attento alle persone fragili, un presidio di sicurezza, una garanzia di cura dello spazio pubblico e un facilitatore dell’integrazione, come da sempre testimoniato da Confcommercio”. Si tratta di un legame “talmente forte che addirittura nove persone su dieci scelgono il quartiere in cui vivere proprio in base alla presenza di esercizi di prossimità”.

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