Parmalat, cosa succede dopo la sentenza di Milano?
Secondo quanto riportato dalla stampa, la decisione del tribunale di Milano di non condannare gli istituti di credito per il crack del gruppo di Collecchio, potrebbe bloccare la strategia di Enrico Bondi, che puntava a ottenere cospicui risarcimenti dalle banche che avevano finanziato la società prima del fallimento.
di Edoardo Fagnani 19 dic 2008 ore 17:00In attesa di conoscere l’evoluzione del processo in corso a Parma, la sentenza del tribunale di Milano sul filone lombardo relativo al fallimento di Parmalat ha dato una prima indicazione sulla vicenda. I giudici milanesi sembrano aver trovato un unico colpevole, nella figura dell’ex numero uno del gruppo alimentare: Calisto Tanzi. Secondo il tribunale di Milano l’ex manager avrebbe avuto l’appoggio compiacente delle società di revisione, che avrebbero “coperto” i buchi nei bilanci di Parmalat.
La prima sentenza sul fallimento del gruppo alimentare, che ha causato un “buco” di 14 miliardi di euro, parla chiaro.
I giudici del tribunale di Milano hanno condannato Calisto Tanzi a 10 anni di reclusione. Il manager è stato ritenuto colpevole dei reati di aggiotaggio, ostacolo all'attività degli organi di vigilanza e concorso in falso con i revisori. Inoltre, Tanzi è stato condannato a rimborsare in via provvisionale le parti civili e dovrà riconoscere alla Consob un risarcimento di 380mila euro.
Inoltre, i giudici hanno comminato una sanzione di 240mila euro alla società di revisione Italaudit (
Al contrario, il tribunale di Milano ha assolto tutti gli altri imputati, tra cui gli istituti di credito coinvolti nella vicenda.
Tra i soggetti prosciolti c’è Bank of America. Il colosso finanziario statunitense ha espresso soddisfazione per la sentenza che ha sollevato i suoi ex-dipendenti dall’accusa di aggiotaggio. L’istituto statunitense ha precisato che “la decisione del Tribunale stabilisce in modo inconfutabile che gli ex-dipendenti della banca non hanno commesso il reato di aggiotaggio”. Bank of America ha aggiunto che “dopo oltre quattro anni di processo è emerso chiaramente che
Addirittura, secondo quanto riferito da alcuni esperti legali, l’istituto statunitense ha richiesto un risarcimento di 80mila euro.