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Le unghie dell'orso

di Carlo Gatto 17 ago 2006 ore 09:29
Quella di questa settimana non è stata davvero una zampata inaspettata, eppure l'orso era stato dimenticato da molti operatori di diverse borse, sia nelle sue forme, che nel suo comportamento e anche nella sua capacità di colpire e fare male. Le unghie del ribasso sono andate in profondità negli indici, fino a toccare la carne viva dei sei punti percentuali netti in Europa, Milano compresa. Anche negli States il Nasdaq è andato in rosso otto volte consecutive, mentre lo S&P500 è sceso del 5%. L'unico a tenere duro, come osservavo la volta scorsa, è il Dow, che sembra non voler rinunciare al sogno di battere il vecchio record del anno giubilare, anche se qui ci sarebbe qualcosa da aggiungere. Mi limiterò a dire che ci sono due modi per battere i record: con le energie di uno shuttle, oppure con la stanchezza del quindicesimo round, e questa mi sembra la fattispecie che più si addice a questa fase. E questo è anche il tipico modo di ritoccare i record che subito dopo lascia una pericolosa traccia di doppio massimo sul grafico.

Alcuni strategist prevedono lo S&P500 a 1400 punti per fine anno, ma io non sarei così ottimista. La crisi petrolifera degli anni settanta e fine anni ottanta aveva toccato soprattutto l'Europa, ma stavolta ha fatto tremare anche i portafogli degli americani da sempre abituati a combustibili a buon mercato. Credo che il pivot point lasciato sugli indici di mezzo mondo possa costituire il punto d'attacco di una trendline decrescente di medio periodo. D'altronde i ribassi lunghi non si decidono in una settimana o in un mese, ma richiedono cambiamenti profondi negli atteggiamenti degli investitori che qui non hanno ancora avuto il tempo di formarsi.
Vediamo allora questo pivot point:



C'è un primo cedimento mercoledì 17, al quale seguono due giorni di pace, senza però un vero rimbalzo: segnale pericoloso, soprattutto se questi interrogativi vengono trascinati fino alla chiusura del venerdì. Lunedì 22 tonfo in Europa ed a Tokyo, non negli Stati Uniti, poi piccolo rimbalzo.
Vediamo ora la struttura del pivot sull'arco dei sei mesi:



Tutti gli indici hanno tagliato i supporti principali, tranne il mastodontico Dow (11.100-11.050). La rapidità della discesa fa sperare in un prossimo movimento tecnico di ripresa, ma non dobbiamo farci ingannare sul nuovo trend di fondo. L'altro elemento interessante ed eloquente dal punto di vista psicoeconomico è l'universalità e concomitanza del movimento, cioè correggono tutti e correggono insieme, il che avvalora notevolmente le previsioni sulla nuova visione degli operatori. Quando i ribassi si alternano è un conto, ma quando si specchiano è ben diverso.
Guardando Milano, la situazione è ancora in divenire:



Il gap tra i 36.500 ed i 36.000 punti forse ha l'aria di un runaway gap che si trova solitamente a metà corsa...in questo caso all'ingiù, ma è presto per dirlo. In questa discesa ci sono poche scaramucce tra domanda ed offerta e molta complicità. Ma è chiaro che ora l'obiettivo è ricostituire una base sopra 36.000 e non più raggiungere i 40.000!
Tutto ormai sembra ruotare attorno alla prossima riunione Fed del 29 giugno, per capire se nei prossimi mesi si potrebbe presentare un vero spauracchio inflazione e se Ben Bernanke meriti la credibilità di cui gode attualmente. L'appuntamento però è ancora lontano, per cui le aspettative potrebbero invertirsi più volte.
Il dollaro intanto è in fibrillazione:



L'andamento di questi giorni mostra chiaramente la lacerazione valutaria del biglietto verde, tirato da una parte dai limitati rientri di oro e petrolio e dall'altra dalle prospettive di recrudescenza di entrambi. Infatti il petrolio ora se ne sta appollaiato come un gufo sopra i 70 dollari, mentre l'oro a 670 è pronto per lanciarsi in volo a quota 700 $/oz.


Sentiment previsto per la prossima settimana: ancora negativo.
Per un rimbalzo serve una frenata, mentre è possibile un'estensione del ribasso.


Alla prossima puntata.

Renato Paludetto


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