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Quali sono i veri rischi che incontra un investitore

Investire è un rischio. E per investire bene bisogna sapere quanto rischio si è in grado di sopportare. La comprensione del proprio profilo di rischio è quindi un passo di grande importanza per chi vuole cominciare.

di Marco Delugan 16 mag 2016 ore 11:27

Gli investimenti in borsa possono andare bene o andare male. Sono, cioè, rischiosi. Il rischio finanziario ha, in prima approssimazione, due dimensioni, una quantitativa legata all’andamento tipicamente movimentato dei mercati, e una qualitativa, legata alla capacità psicologica dell’investitore di sostenere le svolte negative e le possibilità di insuccesso.

La gestione del rischio dovrebbe considerare entrambe le dimensioni appena ricordate.

Ne ha scritto Ben Carlson nel suo blog “A Wealth of Common Sense”.

Secondo Carlson, la potenza di calcolo offerta dai computer, e la facilità con cui permettono di elaborare gradi quantità di dati in sistemi complessi, ha spinto molti a focalizzare l’attenzione sulla misurazione della dimensione quantitativa del rischio, e a tralasciare gli aspetti psicologici e qualitativi.

Nel suo articolo, Ben Carlson definisce il rischio “vero” con cui un investitore deve confrontarsi in tre dimensioni: il rischio personale, e cioè la capacità di sostenere l’ansia che deriva dalla possibilità di drastiche riduzioni del proprio tenore di vita; il rischio di mercato, derivante dalla necessità di investire sui mercati finanziari per rispondere alla diminuzione del proprio potere d’acquisto dovuto all’inflazione; e il rischio da ambizione, e cioè la capacità gestire e sostenere nel tempo il rischio connesso a operazioni imprenditoriali o di investimento effettuate allo scopo di aumentare la propria ricchezza.

In ogni scelta di investimento bisognerebbe considerare queste tre dimensioni.

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La questione della gestione del rischio va poi collegata agli obiettivi della propria attività di investimento. Ed è rispetto a questi obiettivi che si dovrebbero definire i “parametri di controllo”, evitando benchmark di mercato di breve periodo che possono distrarre dal pensiero di lungo periodo che dovrebbe invece guidare l’investitore.

Il testo che segue è un a (quasi) fedele traduzione di quello di Carlson.

"L'aumento della potenza di calcolo dei computer  ha sicuramente reso la vita più facile per chi opera nel settore finanziario. Molte delle attività che una volta avrebbero richiesto ore, possono essere svolte adesso con un solo click, con algoritmi e formule e fogli di calcolo. E a volte sembra di avere a disposizione più dati di quanti se ne possa davvero utilizzare.

L'aspetto negativo di questo aumento di produttività per via tecnologica è che invoglia ad avere fiducia nei modelli e a non metterne in discussione i risultati. E spesso si dimentica che se i dati e le ipotesi di partenza sono sbagliate, anche la risposta del sistema sarà sbagliata. Più in generale, se non si capiscono le assunzioni di base e le informazioni in entrata le risposte del modello non saranno di grande aiuto. 

Una delle aree in cui la dipendenza da computer e formule è andata troppo in la è quella della gestione del rischio, o più specificamente della misurazione del rischio. Che sono due cose diverse.

Troppi professionisti danno per scontato che la misurazione del rischio corrisponda con la gestione del rischio. Così basano le loro valutazioni su fantasiosi modelli quantitativi e coefficienti di volatilità nell'ipotesi che queste formule siano in grado di avvertirli dell’aumento del rischio connesso ai loro portafogli. Non c'è niente di sbagliato nei modelli quantitativi. Possono essere utili quando usati in modo corretto, ma non esauriscono la gestione del rischio. Sono solo uno strumento.

L'attenzione alla dimensione quantitativa del rischio porta molti a perdere di vista la cosa più importante ma più difficile da misurare, e cioè quella che potremmo chiamare la dimensione qualitativa del rischio. Molti investitori - professionisti e non - hanno difficoltà a capire quali sono i loro veri rischi connessi alla loro attività di investimento. 

Nel libro The Aspirational Investor l’ex Chief Investment Officer di Merrill Lynch Ashvin Chhabra ha definito in modo interessante le diverse tipologie di rischio (vero, n.d.r.) a cui un investitore va incontro.

1 - Rischio personale: non essere in grado di soddisfare le esigenze di cassa essenziali a prescindere dalla performance dei mercati finanziari. E’ quindi necessario proteggersi dall'ansia di una drastica riduzione nel proprio tenore di vita.

2 - Rischio di mercato: è necessario mantenere il proprio stile di vita ottenendo un tasso di rendimento dai mercati finanziari paragonabile con l'aumento del costo della vita. Per fare questo si deve sopportare il rischio di mercato. E cioè quel rischio che, secondo Markowitz, non può essere evitato diversificando il portafoglio.

3 - Rischio da ambizione: al fine di creare nuova ricchezza, o per soddisfare obiettivi che vanno oltre il mantenimento del tenore di vita si può decidere di investire parte delle proprie risorse finanziarie nei mercati finanziari o in iniziative imprenditoriali intrinsecamente rischiose, che possono generare profitti, ma anche perdite sostanziali.

Quando si considera il proprio profilo di rischio, si deve sempre prendere in considerazione le seguenti tre cose: la propria (1) disponibilità ad assumere rischi, (2) la necessità di assumere rischi e (3) la capacità di prendere rischi. E ciò di cui parla Chhabra con le definizioni di cui sopra.

Le persone preferiscono le tecniche quantitative perché può essere molto difficile notare cambiamenti significativi nei rischi qualitativi. Le cose della vita non fluttuano come i mercati finanziari. Può essere noioso definire e ricordare a se stessi i propri obiettivi una volta l’anno o giù di lì, perché è più facile concentrarsi sui rischi di mercato a breve termine quando i veri rischi sono a lungo termine.

I mercati finanziari da questo punto di vista non aiutano. La costante logica di breve periodo spinge le persone a perdere di vista i loro veri obiettivi.

Il gruppo GestaltU ha prodotto alcune ottime descrizioni degli aspetti qualitativi del rischio rintracciabili nel loro Adaptive Asset Allocation. Eccone alcuni passaggi:

Chi giudica l’andamento del proprio portafoglio in relazione a benchmark si sta concentrando su una questione in gran parte irrilevante per il successo finale.

L'unico punto di riferimento che si dovrebbe utilizzare è quella che indica se si è sulla buona strada per realizzare i propri (veri) obiettivi finanziari.

Il rischio dovrebbe essere misurato come la probabilità di non soddisfare i propri obiettivi finanziari. Investire deve avere lo scopo esclusivo di minimizzare questo rischio.


Investire in base a obiettivi può essere difficile perché si tratta di ritardare la gratificazione e di adottare una mentalità di lungo periodo, ma nel grande schema delle cose il rischio peggiore come un investitore è mettersi nella posizione di non raggiungere proprio questi obiettivi."

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