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L’avversione alle perdite e il mantenimento dello status quo, seconda parte

L’effetto dotazione visto la scorsa volta è connesso a un altro fenomeno diffuso e di notevole interesse economico: la propensione a privilegiare, davanti ad una scelta che mantiene tutto il resto significativamente uguale, lo stato in cui già ci troviamo

di Ilaria Carretta
Proviamo anche questa volta a cimentarci con una prova immaginaria, ma realistica, sulla falsa riga di quelli classici (Kahneman, Knetsch, Thaler, 1991).

1. Siete serviti da una compagnia telefonica ad alto costo ma ad alta affidabilità: vi viene chiesto se volete trasferire il vostro abbonamento ad una compagnia a costo inferiore ma che non possiede le reti nazionali ed è quindi ad inferiore affidabilità. Basta dire sì o no. Cosa decidete?

2. Il comune decide di trasferire tutti gli abbonamenti telefonici ad una compagnia a minor costo ma anche a minore affidabilità. Nel caso vogliate restare con la compagnia a maggior costo e alta affidabilità, basta fare una semplice richiesta al Comune, e il vostro servizio resta invariato. Cosa decidete?

Qualsiasi sia il quesito a cui verrete sottoposti, la maggioranza dei soggetti, in ciascun gruppo, preferisce lasciare le cose come sono. Nel primo caso, infatti, molti restano con la compagnia ad alto costo, mentre nel secondo quesito sono molti di più quelli che accettano la decisione del comune.

L’economia reale si è incaricata di trovare anche importanti conferme empiriche. In due stati vicini degli Stati Uniti (Pennsylvania e New Jersey) la formula per difetto delle assicurazioni automobilistiche RC era invertita: in uno, se non si firmava la domanda esplicita di conversione, la polizza era meno elevata, ma rimaneva costante negli anni, anche se l’assicurato non incorreva in incidenti per sua colpa; nell’altro stato, se non si firmava la domanda esplicita di conversione, la formula era tipo bonus-malus, cioè una polizza inizialmente più elevata, ma soggetta a sconti progressivi, se l’assicurato non incorreva in incidenti per sua colpa. 

Si è osservato che, in ciascuno di questi due stati, la stragrande maggioranza conservava la formula per difetto (si tratta di un business di miliardi di dollari). Analogamente, quando il Messico ha deregolamentato, negli anni Novanta, le compagnie telefoniche e la concorrenza si è aperta, i cittadini di alcuni stati messicani si trovavano già con un servizio poco caro, ma poco flessibile e poco affidabile e potevano chiedere di passare ad un servizio più caro, ma più flessibile e più affidabile. In altri stati era esattamente l’opposto. Nessuna azione speciale era richiesta per fare il passaggio, e a tutti veniva chiesto esplicitamente di scegliere. Ebbene, anche in questo caso, la maggioranza è rimasta con il tipo di servizio già esistente. In entrambi i casi non si tratta di pigrizia o di dimenticanza, ma di un effetto “puro” di propensione a mantenere lo status quo.

Se pensate che queste condizioni capitino solo all’estero, basti pensare alla diversa strategia dello stato italiano di fronte all’importante problema dei donatori d’organi: fino a pochi anni fa, infatti, per donare i propri organi in caso di decesso era necessaria una dichiarazione esplicita del soggetto, evidenziata da un tesserino. Inutile dire che la maggioranza della popolazione italiana non ha reso tale dichiarazione. Il fatto che la decisione non fosse dovuta a questioni etiche o di convinzione delle persone è stato verificato dall’evidenza che, alla nuova legge del silenzio-assenso in merito alla donazione (siamo tutti donatori post-mortem a meno di una dichiarazione esplicita di dissenso), questa volta la maggior parte della cittadinanza ha preferito non modificare lo status-quo e ci si è trovati con la maggioranza di donatori.

Per un effetto immediato sulla nostra vita reale, basti pensare a quante condizioni bancarie vengono inserite di default nei nostri contratti: per modificare tali condizioni a volte basta una comunicazione, eppure, secondo il principio del mantenimento dello status quo, molti di noi tengono condizioni a lungo andare svantaggiose. E ancora una volta, proviamo a pensare a quanti pacchetti di investimento ci vengono consigliati e da noi ritenuti migliori: siamo così sicuri che un investimento opposto (ad esempio, formato per il 75% da azioni e per il 25% da obbligazioni) non verrebbe da noi considerato allo stesso modo di un 75% di obbligazioni e 25% di azioni, se solo fosse il nostro status di partenza?

La propensione allo status quo e l’asimmetria tra perdite e vincite fanno parte di quei processi di “dominanza asimmetrica”, molto frequenti nella vita comune. Sono quelle situazioni nelle quali si deve scegliere la migliore opzione tra alternative che possiedono attributi inversamente crescenti (cioè se uno cresce, l’altro diminuisce). Per esempio, nel caso di un appartamento, lontananza dal luogo di lavoro e prezzo di affitto, o per un impiego stipendio e tempo libero: la scelta di A o di B, per uno stesso individuo, sarà spesso condizionata dal “punto di partenza” o status quo in cui egli si trova (o crede di trovarsi).

Per verificare concretamente questo fenomeno basta dividere la popolazione in due gruppi di soggetti in tutto simili e creare due condizioni di partenza diverse con alternative (A e B) simili. A è un appartamento piuttosto caro (1.000 euro al mese) , ma a soli quindici minuti dal luogo di lavoro, mentre B è un appartamento a buon mercato (500 euro), a 45 minuti dal luogo di lavoro.

Lo status quo del primo gruppo sarà vivere in un appartamento a 750 euro a venticinque minuti dal luogo di lavoro, mentre lo status quo del secondo gruppo sarà vivere in un appartamento a 350 euro, a un’ora dal luogo di lavoro.

Il risultato sistematico di questi esperimenti (del resto ben confermati in molte situazioni reali) è che il decisore tende a privilegiare l’opzione che è più vicina allo status quo. Per esempio, se già viveva abbastanza vicino al luogo di lavoro sceglierà l’appartamento ancora più vicino, se, invece, già viveva piuttosto lontano dal luogo di lavoro, sceglierà l’appartamento solo leggermente più caro, che lo avvicina solo un po’. Quindi il primo gruppo sceglierà l’opzione A, mentre il secondo l’opzione B.

La spiegazione cognitiva è immediata, sulla base dell’asimmetria tra perdite e vincite: in entrambi i gruppi infatti perdere lungo la “dimensione distanza casa-ufficio” ha un costo psicologico maggiore del guadagno psicologico così ottenuto nella dimensione “riduzione del prezzo di affitto”. Di conseguenza, la posizione iniziale (reale o immaginata) influisce “per vicinanza” sulle scelte effettuate in questo tipo di situazioni.

L’asimmetria tra perdite e vincite spesso si combina, in tali scelte, con la propensione a rimanere comunque vicini allo status quo e con una riorganizzazione interna, rafforzata dallo status quo, di ciò che è “normale”, tipico, appropriato “nel mio caso” (ad esempio “io non sono venale”, oppure “sono uno al quale i soldi non crescono in tasca e non mi pesano gli spostamenti giornalieri”, o altro). L’opzione che meno si discosta dallo status quo è anche quella che meglio preserva nella nostra mente la distribuzione delle nostre risorse monetarie tra i diversi capitoli.


Ilaria Carretta
Questo articolo è stato gentilmente fornito dall’Università Vita-Salute San Raffaele (http://www.unihsr.it/)


Bibliografia
• Camerer, Loewenstein, Rabin, Advances in Behavioral Economics, Russell Sage Foundation, Princeton University Press, 2004.
• Kahneman, Knetsch, Thaler, 1991. "The Endowment Effect, Loss Aversion, and Status Quo Bias: Anomalies," Journal of Economic Perspectives, American Economic Association, vol. 5(1), pages 193-206.
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