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Come nascono gli ETF e perché non possono fallire

Dietro ad ogni ETF c'è un portafoglio di titoli depositati presso una banca che ne gestisce la custodia e amministrazione. Questo spiega perché gli ETF, come le altre tipologie di fondi comuni, non sono soggetti al rischio di un eventuale fallimento della SGR che ne cura l'emissione e la gestione

di Mirco Leonelli

Analizzati le caratteristiche principali e le peculiarità degli ETF, approfondiamo la conoscenza dello strumento vedendo come nasce e perché non è soggetto al rischio emittente.

Il processo di creazione parte ovviamente dall’idea di una SGR, che ne dovrà curare l'emissione e la gestione. Questa, individuato l'indice sottostante da replicare e fatto uno studio di fattibilità (non tutti gli indici mondiali si possono "duplicare" per problemi connessi, per esempio, alla negoziazione dei titoli sottostanti) chiederà le opportune autorizzazioni agli organi competenti (Borsa e relativa autorità di controllo).

Superato questo primo scoglio si procede concretamente ad acquistare sul mercato le azioni/obbligazioni dell'indice che si vuole "copiare", nella medesima proporzione e peso percentuale che questi titoli hanno nel relativo indice. La SGR che ha creato l'ETF sull'indice S&P/MIB ha comperato sul MTA le azioni componenti l’indice, per esempio le varie Eni, Unicredito, Enel ecc., rispettando il peso che queste azioni hanno nell'indice di appartenenza (fatta 100 la somma da investire e dati 16%, 17% e 7,8% i pesi delle azioni, sui tre titoli confluiranno, rispettivamente, 16€, 17€ e 7,8€).

E’ bene fin d’ora precisare che questo è solamente un esempio volutamente non esaustivo, in quanto le modalità di replica sono diverse e richiederebbero intere pagine per spiegarle nei dettagli.

Una volta creato questo portafoglio, viene trasferito presso una banca depositaria che a fronte di questa consegna rilascia dei certificati rappresentativi dei titoli ricevuti. Tali certificati/ricevute vengono poi negoziate giornalmente sul MTF classe 1 (segmento del mercato azionario italiano dedicato agli ETF) sotto forma di quote il cui valore è solitamente una frazione del valore dell'indice benchmark (es 1/100).

Già da queste poche righe è possibile capire perché chi compra ETF non è teoricamente esposto al rischio emittente o fallimento della SGR: dietro la quota acquistata c'è infatti un paniere di titoli di cui la banca depositaria garantisce l'esistenza. Ne deriva che o falliscono tutte le imprese emittenti componenti l’indice di riferimento (evento a cui darei una probabilità pressoché nulla) o il valore dell'ETF non andrà mai a zero.

Detto questo, pare anche evidente la stretta relazione esistente tra il valore del patrimonio del fondo e quindi del basket di azioni depositate presso la banca depositaria, il prezzo di mercato dell'ETF e l'andamento dell'indice benchmark sottostante: l'uno segue l'andamento dell'altro nel modo più lineare possibile.

Nella realtà, come accade in maniera evidente nei fondi chiusi di investimento immobiliari, dove il valore del patrimonio pro-quota del fondo detto NAV è costantemente superiore al prezzo di mercato dello stesso, questa non è un'affermazione scontata. Nel mondo degli ETF tale rischio è scongiurato dalla creation / redemption in kind” (letteralmente "creazione / rimborso in natura”, forse il vero elemento di innovazione e valore degli ETF): meccanismo che, attraverso continue operazioni di arbitraggio permesse ad un numero limitato di investitori istituzionali, garantisce la convergenza fra prezzo di mercato dell'ETF e il suo NAV (valorizzazione pro-quota del capitale gestito) e, di riflesso, una migliore replica del benchmark  e un maggior contenimento dei costi rispetto ad un fondo tradizionale.


Mirco Leonelli   
mircoleo@libero.it

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