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Tobin Tax, i motivi di un no

La Tobin Tax, così com’è stata pensata, non solo appare errata nella forma, ma anche nella sostanza. È errata la ratio della stessa, ed è sbagliato il momento

di Redazione Soldionline 1 set 2011 ore 10:39
A cura dell’ufficio studi di C.F.I. - Consulenza Finanziaria Indipendente (www.cfionline) e AmicaBorsa

Nelle scorse settimane Angela Merkel e Nicholas Sarkozy hanno annunciato la volontà di tassare le transazioni finanziarie europee con la scusante di calmierare la speculazione, ed ottenere, dagli istituti di credito ritenuti responsabili della stessa del denaro da incanalare nelle casse degli stati. Tuttavia la tassa (c.d. Tobin Tax, dal nome dell’economista che per primo la ipotizzò nel 1972) così com’è stata pensata non solo appare errata nella forma, ma anche nella sostanza. È errata la ratio della stessa, ed è sbagliato il momento.

Anzitutto non calmiererebbe la speculazione e soprattutto non “punirebbe”, come nelle intenzioni dei due capi di stato, le banche responsabili della crisi economica, ma tutte le banche a prescindere. Anche istituti come IntesaSanPaolo o Unicredit, ad esempio, che non hanno richiesto aiuti di stato e ai quali non è certo imputabile il danno economico-finanziario che il mondo ha subito negli ultimi 3 anni, rimarrebbero colpiti dall’evento. Ma soprattutto i diretti interessati sarebbero gli investitori, anziché le banche. Perché sarebbe poi il trader o l’investitore a dovere pagare questa imposta. Inoltre il danno per le negoziazioni nei mercati regolamentati sarebbe enorme: si produrrebbe un abbattimento delle transazioni e dei volumi giornalieri tale che, anche titoli di grosso spessore, vedrebbero una discreta distanza tra il denaro e la lettera nei books. Con la conseguenza che la speculazione sarebbe sempre presente, ma in altre forme. E soprattutto, cosa ancora più grave , non si punirebbero (se queste sono le intenzioni) i responsabili veri della speculazione, come sopra descritto. Sappiamo bene infatti (basta prendere un tabulato di Borsa Italiana) che la maggior parte degli ordini di short selling sui mercati Italiani, per restare nell’esempio, provengono da Stati Uniti ed Inghilterra. Ma sarebbero veramente puniti i brokers americani e/o inglesi da questa tassa?

Assolutamente no! Non li riguarderebbe affatto, tanto che già l’Inghilterra si è detta assolutamente contraria alla sua applicazione. Dunque è chiaro che sarebbero colpite solo le banche europee, che sono proprio i soggetti tartassati dalla speculazione proveniente da America ed Inghilterra, e soprattutto i piccoli traders/investitori, che invece questa speculazione cercano di combatterla e che ne subiscono le conseguenze!
A nostro avviso bisognerebbe ripensare alla tassa come una imposizione da porre in essere solo verso determinati e specifici soggetti professionali, non piccoli investitori: questa sarebbe l’unica maniera per poter applaudire una tassa equilibrata e razionale. Tenendo conto di questo, i vari brokers dovrebbero certificare i piccoli traders e i piccoli investitori come soggetti non professionali a cui non applicare l’imposta. Mentre per gli investitori professionali tale imposta potrebbe trovare la ratio ricercata dai due capi di stato.
Tuttavia è altresì importante che essa non sia limitata all’Europa, ma colpisca l’intero settore finanziario professionale mondiale, altrimenti creerebbe distorsioni e inefficienze.

È probabile che, agendo sull’onda dell’emotività e della necessità di fornire messaggi forti, Angela Merkel e Nicholas Sarkozy abbiano valutato poco in profondità gli effetti che possono essere provocati.

Di certo le cose vanno studiate attentamente e coordinandosi con professionisti capaci di dare un giudizio finale obiettivo perché, in conclusione, c’è da augurarsi che, per il bene della sopravvivenza e salute dei mercati, nonché dei piccoli risparmiatori, una proposta simile non trovi applicazione.
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