Il contratto di lavoro a tempo determinato
Il contratto di lavoro a tempo determinato realizza e disciplina un rapporto di lavoro subordinato a scadenza prefissata. Ha delle regole da conoscere, soprattutto su proroga e rinnovo
di Carlo Sala 4 ott 2019 ore 11:58Il contratto di lavoro a tempo determinato realizza e disciplina un rapporto di lavoro subordinato a scadenza prefissata. Come nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il lavoratore svolge un lavoro sotto la guida del datore di lavoro e in cambio di una retribuzione da parte di quest'ultimo.
Diversamente dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, invece, il tempo nel quale viene svolta un’attività lavorativa retribuita è stabilito fin dall’inizio del rapporto di lavoro. La legge prevede limiti massimi alla durata del rapporto di lavoro a tempo determinato che possono essere stabiliti col contratto di lavoro.
Gli argomenti
- Quando e come può essere stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato
- La forma del contratto di lavoro a tempo indeterminato
- Retribuzione, contributi e regime fiscale del contratto di lavoro a tempo determinato
- Durata, proroga e rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato
- La conversione del tempo determinato in tempo indeterminato
- Dimissioni, licenziamento e tutela del lavoratore a tempo determinato
- Conclusioni
Quando e come può essere stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato
La legge prevede limiti all’impiego di lavoratori a tempo determinato, per evitare che siano utilizzati al posto di lavoratori a tempo indeterminato. I lavoratori a tempo determinato non possono infatti essere più di un quinto di quelli a tempo indeterminato. Se il rapporto di lavoro a tempo determinato si svolge sia con contratto a tempo determinato che con contratto di somministrazione, i lavoratori così impiegati non possono superare il 30% dei lavoratori a tempo indeterminato.
I limiti previsti non valgono in caso di:
- avvio di nuove attività, entro un periodo di tempo indicato dal Ccnl applicabile;
- start-up innovative;
- sostituzione di personale assente;
- attività stagionali;
- spettacoli e programmi o serie radiofonici e televisivi;
- enti di ricerca e attività in esclusiva da parte di ricercatori scientifici e tecnologici;
- impiegato a tempo determinato di lavoratori over 50.
Il contratto di lavoro a tempo determinato non è consentito al datore di lavoro che:
- voglia sostituire lavoratori in sciopero;
- abbia effettuato licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti l’assunzione (salvo casi particolari indicati dalla legge);
- abbia fatto ricorso alla cassa integrazione;
- non sia in regola con la normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Il rapporto di lavoro a tempo determinato può avvenire anche in somministrazione. Può avvenire cioè quando il lavoratore è messo a disposizione del datore di lavoro da parte di un’agenzia per il lavoro. In questo caso il lavoratore sarà alle dipendenze del datore di lavoro, ma sarà a carico dell’agenzia che lo ha inviato al datore di lavoro. Il datore di lavoro prende il lavoratore ‘in affitto’ e lo dirige, ma paga l’agenzia del lavoro dal quale lo ha ‘affittato’ ed è l’agenzia a pagare poi il lavoratore.
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La forma del contratto di lavoro a tempo indeterminato
Il contratto di lavoro a tempo determinato deve essere stipulato in forma scritta. Tale forma è richiesta perché il contratto deve indicare la durata del rapporto di lavoro. Il tempo determinato deve, appunto, essere determinato, prima dell’inizio dell’attività lavorativa.
L’indicazione della durata dell’attività lavorativa non è richiesta nel caso in cui il rapporto di lavoro non superi i 12 giorni. In tutti gli altri casi, invece, la mancata indicazione della durata di tale rapporto rende completamente nullo, cioè assolutamente invalido, il contratto di lavoro a tempo determinato.
Come per il lavoro a tempo indeterminato, l’attività lavorativa oggetto del contratto può essere di qualunque tipo, purché sia lecita e possibile (cioè non vietata dalla legge e concretamente realizzabile).
Retribuzione, contributi e regime fiscale del contratto di lavoro a tempo determinato
Il contratto di lavoro a tempo determinato è diverso da quello a tempo indeterminato solo per la durata del rapporto di lavoro. Salvo diversa indicazione di legge, valgono quindi le stesse regole previste per il lavoro a tempo indeterminato in tema di retribuzione, contributi e regime fiscale.
La retribuzione è di norma fissata dal contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) in vigore per il tipo di attività oggetto del contratto tra lavoratore e datore di lavoro. Lavoratore e datore di lavoro possono concordare una retribuzione superiore a quella fissata dal Ccnl.
Per l’intera durata del contratto di lavoro a tempo determinato, il lavoratore percepisce la retribuzione su base mensile, per un numero di mensilità che dipende dal Ccnl (di solito sono 13 per anno). La retribuzione viene corrisposta anche nei periodi di ferie, malattia e indisponibilità coperta dalla legge (ad esempio assenza per maternità) del lavoratore.
Nel caso il lavoratore continui a svolgere l’attività prevista dal contratto di lavoro a tempo determinato anche una volta che quel contratto è scaduto, avrà diritto a una retribuzione maggiorata. La maggiorazione della retribuzione giornaliera sarà del:
- 20% per i primi 10 giorni di prosecuzione dell’attività lavorativa dopo la scadenza del contratto;
- 40% a partire dall’undicesimo giorno di prosecuzione dell’attività lavorativa dopo la scadenza del contratto.
Il contratto di lavoro a tempo determinato consente anche al lavoratore di maturare il trattamento di fine rapporto (Tfr) e di percepire i contributi previdenziali (sotto forma di contributi figurativi, nei casi di assenza per indisponibilità tutelata dalla legge e malattia).
Il datore di lavoro è sostituto di imposta e paga le tasse sul reddito da lavoro dipendente del lavoratore a tempo determinato trattenendole dalla busta paga di quest’ultimo solo se il rapporto di lavoro ha durata pari ad almeno un mese. In caso contrario, il lavoratore a tempo determinato deve pagare le tasse dovute con la dichiarazione dei redditi.
Durata, proroga e rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato
Il contratto di lavoro a tempo determinato può avere una durata massima di 12 mesi. Può però essere rinnovato o prorogato fino ad una durata massima di 24 mesi. Proroga e rinnovo possono anche combinarsi tra di loro. Sia la proroga che il rinnovo sono consentite solo se si verifica almeno una di queste 3 condizioni:
- esigenze temporanee e oggettive che non rientrano nell'ordinaria attività di lavoro (non siano cioè prevedibili in anticipo);
- necessità di sostituire di altri lavoratori;
- incrementi rilevanti e non programmabili (quindi non prevedibili) dell'attività ordinaria.
Una volta raggiunti i 24 mesi, lavoratore e datore di lavoro possono concordare un nuovo contratto, in ‘deroga assistita’, della durata massima di 12 mesi. Tale contratto va stipulato presso gli uffici dell’Ispettorato del lavoro competenti per territorio.
Il contratto di lavoro a tempo determinato può essere rinnovato, dopo essere scaduto. Il rinnovo non può avvenire però subito dopo la scadenza del contratto. Devono passare
- 10 giorni dalla scadenza di un contratto di lavoro a tempo determinato di durata non superiore ai 6 mesi;
- 20 giorni dalla scadenza di un contratto di lavoro a tempo determinato di durata superiore ai 6 mesi.
Il rinnovo deve avvenire in forma scritta, perché devono essere indicate le ragioni che lo giustificano. La legge non prevede limiti al numero di rinnovi che si possono concordare. Prevede però che il rapporto di lavoro a tempo determinato non possa superare complessivamente i 24 mesi, dopo i quali è comunque consentita la ‘deroga assistita’. In pratica significa che si possono concordare 2 contratti di 12 mesi l’uno, 3 contratti di 8 mesi o 4 di 6 mesi, un contratto iniziale di 12 mesi e 2 rinnovi da 6 mesi l’1, un contratto iniziale di 8 mesi e 2 rinnovi di 10 e 6 mesi rispettivamente e così via.
Il contratto di lavoro a tempo determinato può essere prorogato mentre è ancora in corso. La proroga è possibile per un massimo di 4 volte e può avvenire anche nel caso in cui il contratto sia stato rinnovato. La proroga è consentita soltanto per lo svolgimento della stessa attività lavorativa del contratto di lavoro originario e le ragioni che la giustificano devono essere indicate soltanto se la proroga prolunga la durata complessiva a più di 12 mesi (se si proroga di 4 mesi un contratto iniziale di 8 mesi, per esempio, non occorre indicare le ragioni della proroga). Solo per le attività stagionali, la proroga può sempre avvenire senza indicare le ragioni che la giustificano, qualunque sia la durata complessiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato che si realizza con la proroga stessa.
In ogni caso, e per qualsiasi attività di lavoro, la proroga o le proroghe non possono prolungare la durata complessiva del rapporto di lavoro a tempo determinato oltre i 24 mesi (a partire dal primo contratto). Come per il rinnovo, dopo i 24 mesi è possibile ricorrere alla ‘deroga assistita’.
Rientrano nel tetto dei 24 mesi anche i periodi di lavoro svolti con contratto di somministrazione.
Il Ccnl applicabile all’attività lavorativa oggetto del contratto di lavoro a tempo determinato può stabilire un limite di durata massima superiore ai 24 mesi.
La conversione del tempo determinato in tempo indeterminato
Il contratto di lavoro a tempo determinato si converte in contratto di tempo lavoro indeterminato quando si verifica almeno uno di questi casi:
- ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato fuori dai casi consentiti dalla legge;
- rinnovo del contratto prima che siano trascorsi 10 o 20 giorni dalla sua scadenza;
- quinta proroga del contratto;
- prosecuzione dell’attività lavorativa per almeno 30 giorni dopo la scadenza di un contratto della durata massima di 6 mesi;
- prosecuzione dell’attività lavorativa per almeno 50 giorni dopo la scadenza di un contratto di durata superiore ai 6 mesi.
Il lavoratore con un contratto a tempo determinato di almeno 6 mesi ha diritto di precedenza per i contratti di lavoro a tempo indeterminato. Tale precedenza vale se identico è il datore di lavoro e identica l’attività lavorativa da svolgere e vale per i 12 mesi successivi alla scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato. Nel caso di lavoratrici che abbiano avuto figli durante il rapporto di lavoro a tempo determinato, la precedenza vale anche per successivi contratti di lavoro a tempo determinato.
Ogni contestazione rispetto alla scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato deve essere presentata dal lavoratore entro 180 giorni dalla data di scadenza stessa.
Dimissioni, licenziamento e tutela del lavoratore a tempo determinato
Lavoratore e datore di lavoro possono risolvere il contratto di lavoro a tempo determinato anche prima della scadenza. Il datore di lavoro può licenziare il lavoratore solo per giusta causa, non per giustificato motivo, o d’intesa col lavoratore. Il lavoratore può dimettersi solo d’intesa col datore di lavoro (diversamente dal contratto di lavoro a tempo indeterminato).
Le tutele accordate al lavoratore licenziato in modo irregolare sono le stesse previste per il lavoratore a tempo indeterminato.
Conclusioni
Il contratto di lavoro a tempo determinato è la seconda migliore opzione disponibile per il lavoratore. La minor durata del rapporto di lavoro e quindi la minor certezza del reddito è controbilanciata da una maggior rigidità del rapporto stesso finché è in essere (il datore di lavoro ha meno chances di licenziare), anche se questa vincola pure il lavoratore (che non può dimettersi liberamente, ma solo accordandosi col datore di lavoro).
Questo tipo di contratto è pero visto con un certo sospetto da parte della legge e le norme che lo disciplinano sono tutte vuole anzitutto a impedire al datore di lavoro di servirsene per evitare assunzioni a tempo indeterminato. Pur se si riconosce che vi possono essere necessità (per il datore di lavoro) e opportunità di lavoro (per il lavoratore) limitate nel tempo, la predilezione per il contratto di lavoro a tempo indeterminato ha portato a introdurre limiti, soprattutto dal 2018, che rendono seriamente difficile sia per il datore di lavoro che per il lavoratore affrontare le proprie esigenze (picchi di lavoro per il primo, reddito per il secondo).
Ne derivano ambiguità che possono trovare soluzione solo davanti alla magistratura del lavoro, col rischio di sentenze diverse. In assenza dell’indicazione del termine di durata del rapporto di lavoro, un datore di lavoro potrebbe sostenere che tale durata si intenda implicitamente di massimo 12 giorni; il lavoratore potrebbe invece sostenere che il datore di lavoro ha tacitamente accettato l’attivazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Sono entrambe interpretazioni plausibili di norme vigenti. Tutto lascia supporre poi che ogni trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato passi per un contenzioso destinato a finire in un’aula giudiziaria piuttosto che a essere subito pacificamente riconosciuta dalle parti.