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Il coraggio di David Dreman!

Negli abissi del mercato alla ricerca delle aziende sottovalutate. E poi saper attendere, anche molto tempo, che il titolo si apprezzi. Il tutto stando alla larga dagli analisti, sempre

di Mario Elia 5 feb 2009 ore 11:51

Riassunto delle ultime cento puntate: nel mondo della finanza, si può prevalentemente operare in base all’analisi fondamentale o all’analisi tecnica e questa operatività può soprattutto essere secondo-trend o contro-trend.

I vari incroci di queste scuole e sotto-scuole di pensiero portano inevitabilmente a presentare un approccio basato sull’analisi fondamentale in un’operatività contro-trend.

E arriviamo così alla vita e alle opere di David Dreman e alla sua compiuta quanto efficace “Contrarian strategy”.

Ricordiamo che Ed Seykota, mago del trend e delle performance, nonché deciso detrattore dell’analisi fondamentale, affermò che in via di principio avrebbe anche potuto sporadicamente aderire a una forma di contrarian investing (ma solo in “salsa tecnica”!). Fatta questa doverosa digressione, utile a chiarire di quale complessiva reputazione goda questa strategia, torniamo a Dreman.

Vita: diremmo che non se la cava affatto male, alternando il soggiorno fra una sontuosa residenza nel Colorado a più brevi periodi sul panfilo di famiglia, ovviamente battezzato “Contrarian”.

Opere: principalmente, “Psycology and the stock market”, un titolo che è tutto un programma, e “Contrarian Investment Strategy”, che enuclea e poi sviluppa le sue precise indicazioni, oltre a una già lunga collaborazione con la prestigiosa rivista americana “Forbes”.

Esaminiamo con attenzione le sue riflessioni: i mercati non sono sempre dominati dalla razionalità, ma assai spesso da fattori emotivi e dall’incapacità di valutare correttamente l’enorme mole di dati a disposizione. Elementi che spingono in continuazione le quotazioni molto al di sopra o molto al di sotto del loro valore concreto.

Ideale quindi la valutazione del sentiment di mercato, per identificare i picchi dell’irrazionalità e investire secondo un superiore senso del fair value.

Il primo consiglio para-operativo è quindi quello di ricercare le buone-azioni ingiustamente neglette e trascurare completamente quelle che stanno maggiormente affascinando la comunità degli investitori. Il tutto, aggiungeremmo noi, fornito in un’ottica solo rialzista, che è tipica di chi predilige l’analisi fondamentale… Inforcati i cinici occhiali del ribassista, si potrebbe tranquillamente proseguire raccomandando di vendere allo scoperto le azioni alla moda, da lui sprezzantemente definite “high-flier”.

Tutto condivisibile, ma con quale criterio accingersi alla cernita dei titoli? Dreman non fa mistero delle sue preferenze e, sconsigliando caldamente di utilizzare i canoni dell’analisi tecnica, propone di comprare aziende che si contraddistinguano soprattutto per:

  1. un basso rapporto prezzo / utile;
  2. un buon flusso di dividendi;
  3. una valida solidità complessiva, esaminando con cura il ratio debito/capitale proprio.
Tutto qui? Qualcuno potrebbe quasi quasi parafrasare ciò che Freud disse di una relazione di Jung: “… contiene cose nuove e vere, ma quelle nuove non sono vere e quelle vere non sono nuove…”

Infatti, le raccomandazioni fin qui snocciolate sembrano riportare ai capisaldi della più consolidata analisi fondamentale, da Graham a Buffett, da Lynch a Robertson…

L’essenza dell’investitore contrarian, rispetto al pur attento analista che si accontenta di acquisire Gillette, Coca Cola e Mac Donald’s, sta nel fatto che la sua ricerca deve spingersi negli abissi del mercato per scovare le società il cui prezzo sia veramente sottovalutato in base alle reali prospettive di crescita.

Dreman, naturalmente, non si nasconde le varie insidie presenti nei bilanci e, allo scopo, ricorda sia che le aziende più grandi risultano contabilmente più sorvegliate e affidabili, sia che è meglio allontanarsi con grande rapidità da quelle che nei report presentano troppe annotazioni a piè di pagina (e, se la memoria non ci inganna, fu proprio Buffett a interrompere l’analisi di Parmalat perché “il bilancio era troppo complesso”…).

L’intrepido David suggerisce inoltre un’estesa diversificazione del portafoglio, con una ventina di titoli nel cassetto, provenienti da una dozzina di settori diversi.

Ed ecco come viene fuori alla grande l’arditissimo “contrarian” Dreman: preferire i titoli non-raccomandati dagli analisti, quando naturalmente risultino solidi alla lente d’ingrandimento dei dati; non fare mai trading, perché i costi tendono a limare i rendimenti; all’interno della dozzina di settori raccomandati, comprare sempre il titolo meno caro; saper attendere, anche molto tempo, che il titolo acquisito si apprezzi; sfruttare i crolli del mercato, originati da crisi politiche o economico/finanziarie, per comprare mentre tutti vendono.

Chi avrà questo stesso suo coraggio nel credere in questa impostazione e nel metterla in pratica, potrebbe anche ritrovarsi ricco nel volgere di una decina di anni.

Noi, per intanto, preleviamo delicatamente l’impavido David Dreman e provvediamo a collocarlo, senza alcuna esitazione, nella ristretto club dei nostri “Immortali”.
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