Transfer Pricing, questo sconosciuto
Riproponiamo il video dell’intervista al dottor Simone Galimberti – l’autore degli articoli della presente guida – nella puntata di Presa Diretta andata in onda su Rai 3 domenica 19 febbraio, così da meglio farlo conoscere ai lettori e dar loro ulteriori e diversi spunti di riflessione in tema di “diritti dell’investitore”
di Redazione Soldionline 23 feb 2012 ore 16:57
Domenica 19 febbraio è andata in onda su Rai 3 la puntata di Presa Diretta dal titolo “recessione”, in cui Simone Galimberti è stato intervistato in merito alla valutazione dei bilanci di un grosso gruppo farmaceutico italiano, al fine di evidenziare e chiarire eventuali problematiche all’interno della documentazione contabile.
In tale video, che potete visionare qui di seguito, il nostro autore spiega, con parole semplici ma rigorose, il meccanismo del “transfer pricing”, una pratica molto spesso usata (e abusata) nell’ambito di grandi gruppi aziendali, per scopi non sempre leciti.
Tramite tale tecnica, infatti, si può realizzare un trasferimento di reddito, come ben chiarito dalle stesse parole del dottor Galimberti, fra aziende appartenenti facenti capo ad una stessa “azienda madre” mediante transazioni di natura commerciale/finanziaria – quali, ad esempio, prestazioni di servizi o cessioni di beni – ad un valore che è significativamente diverso dal valore di mercato.
Da ciò nascono immediatamente due domande, che abbiamo rivolto direttamente al dottor Galimberti:
D: Perché le aziende ricorrono alla pratica del transfer pricing?
R: Semplicemente per ottenere un risparmio fiscale – spesso indebito, in quanto al limite dell’elusione fiscale, se non dell’evasione vera e propria – del gruppo aziendale, considerando che spesso una delle aziende fra le quali si realizza il transfer pricing si trova in zone geografiche/stati laddove il regime fiscale è meno oneroso o addirittura quasi nullo.
D: Come può tutto questo interessare un generico investitore?
R: Pensate al bilancio di un’azienda quotata che ricorra a tale espediente per falsare i bilanci depositati. Considerando che gli utili o le perdite eventualmente dichiarati non sono poi così tanto certi come sarebbe legittimo attendersi, capite bene che il valore dell’azienda stessa e dei suoi strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, warrants) risulterebbero di fatto alterati (nel migliore caso) o non corrispondenti al vero (nella peggiore delle ipotesi). Le ripercussioni sugli investitori sono, a questo punto, ben chiare e molti esempi recenti sono ancora all’ordine del giorno, considerato i funesti effetti che i fallimenti Parmalat e Cirio (tanto per fare i due esempi più noti) hanno avuto ed hanno ancora nelle tasche dei risparmiatori.
In tale video, che potete visionare qui di seguito, il nostro autore spiega, con parole semplici ma rigorose, il meccanismo del “transfer pricing”, una pratica molto spesso usata (e abusata) nell’ambito di grandi gruppi aziendali, per scopi non sempre leciti.
Tramite tale tecnica, infatti, si può realizzare un trasferimento di reddito, come ben chiarito dalle stesse parole del dottor Galimberti, fra aziende appartenenti facenti capo ad una stessa “azienda madre” mediante transazioni di natura commerciale/finanziaria – quali, ad esempio, prestazioni di servizi o cessioni di beni – ad un valore che è significativamente diverso dal valore di mercato.
Da ciò nascono immediatamente due domande, che abbiamo rivolto direttamente al dottor Galimberti:
D: Perché le aziende ricorrono alla pratica del transfer pricing?
R: Semplicemente per ottenere un risparmio fiscale – spesso indebito, in quanto al limite dell’elusione fiscale, se non dell’evasione vera e propria – del gruppo aziendale, considerando che spesso una delle aziende fra le quali si realizza il transfer pricing si trova in zone geografiche/stati laddove il regime fiscale è meno oneroso o addirittura quasi nullo.
D: Come può tutto questo interessare un generico investitore?
R: Pensate al bilancio di un’azienda quotata che ricorra a tale espediente per falsare i bilanci depositati. Considerando che gli utili o le perdite eventualmente dichiarati non sono poi così tanto certi come sarebbe legittimo attendersi, capite bene che il valore dell’azienda stessa e dei suoi strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, warrants) risulterebbero di fatto alterati (nel migliore caso) o non corrispondenti al vero (nella peggiore delle ipotesi). Le ripercussioni sugli investitori sono, a questo punto, ben chiare e molti esempi recenti sono ancora all’ordine del giorno, considerato i funesti effetti che i fallimenti Parmalat e Cirio (tanto per fare i due esempi più noti) hanno avuto ed hanno ancora nelle tasche dei risparmiatori.