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La strategia risk parity: cos'è e quali sono i punti deboli

In un contesto nel quale gli investitori dovranno adattarsi a rendimenti molto bassi una delle strategie più emergenti è quella del risk parity. Ecco cos'è e a cosa fare attenzione

di Redazione Soldionline

A cura di www.recce-d.com

Tutti hanno letto del “New Normal”, il nuovo contesto di mercato nel quale gli investitori dovranno adattarsi a rendimenti molto bassi (degli indici di mercato) e volatilità con picchi molto elevati. Ne ha parlato così un importante gestore di Clientela privata sul Financial Times.
 
“We have got to talk about low returns to clients. In the past, we have seen equity returns at 8 per cent. It is likely to be a lot lower, at between 3 and 5 per cent. People have to be accustomed to that. The more mature investment managers are acknowledging that what’s happening isn’t a one-off bout of volatility, but a change in the tone of the markets from strong equity returns with low volatility to one of lower, more modest returns but with occasional high bouts of volatility”.
 
Quindi: per molti anni a venire, risulterà più difficile estrarre rendimento dai portafogli. La strategia di investimento farà la differenza nei prossimi anni: non la scelta degli strumenti (azioni, obbligazioni, eccetera) né quella dei mercati (Asia, Europa, USA, Emergenti). E per questa ragione, investitori Istituzionali e privati si metteranno alla ricerca di strategie di investimento più efficaci:
· nella gestione della volatilità,
· nella produzione di rendimenti a prescindere dall’andamento dei maggiori indici di mercato.
Per questo, è importante orientare le proprie scelte sulla base delle strategie impiegate dai diversi gestori: e per farlo, sarà decisivo avere ben chiare le differenze tra una strategia e le altre.


RISK PARITY: UNA STRATEGIA EMERGENTE

Tra le strategie che hanno ricevuto ultimamente maggiore attenzione si deve citare prima di tutto quella chiamata risk parity, che prima è stata accusata di avere messo in moto il forte movimento dei mercati nell’agosto e settembre 2015, e poi si è messa in mostra come una delle più performanti del 2016 (dopo un inizio di nuovo molto difficile).
In particolare, l’indice Salient Risk Parity Index (che replica un tipico portafoglio costruito sulla base della risk parity) ha messo a segno un +7,1% nel primo trimestre 2016. Va detto anche che nel 2015 lo stesso indice registrò una caduta del 12% e che un indice analogo, calcolato dalla banca JP Morgan, ha fatto registrare sempre nel 2015 un calo dello 8%. Anche i cosiddetti “campioni” della strategia, come il fondo “All Weather” di Brodgewater, ha fatto segnare un -7,7% nel 2015 ed un più ampio -10% dalla metà del 2014.

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STRATEGIA RISK PARITY, COS’E’?

La strategia risk parity si propone come una alternativa alla tradizionale asset allocation: le quote di portafoglio allocate alle diverse classi di attività vengono corrette sulla base delle volatilità, e in qualche caso si fa ricordo anche alla leva finanziaria proprio per bilanciare i diversi contributi alla volatilità complessiva del portafoglio.
In genere, si attribuisce a Ray Dalio di Bridgewater l’ideazione di questa strategia, che nel corso degli anni ha incontrato un crescente interesse degli investitori, tanto da accumulare nel corso degli anni masse in gestione che secondo alcune stime a fine 2015 ammontavano a circa 500 miliardi di dollari USA, grazie a risultati di medio-lungo periodo molto positivi.

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La strategia risk parity, in sostanza, si costruisce a partire da tre principi di base:
1.    il rendimento di ognuna delle classi di asset presente in portafoglio deve essere lo stesso, una volta che è stato ponderato per il rischio che è proprio di ogni singola classe
2.    il rischio è diverso tra una classe di attività ed un’altra
3.    la decorrelazione riduce il rischio complessivo del portafoglio
Si vede subito che si tratta di principi che appartengono alla tradizionale Teoria della Finanza conosciuta come MPT, ovvero la “teoria media/varianza”. Tutti e tre guardano alla costruzione di un portafoglio per il medio o per il lungo termine, senza dare importanza alle oscillazioni di prezzo nel breve termine; in particolare, il primo dei tre principi ci dice che non ci sono rendimenti senza rischi, sui mercati finanziari. Un portafoglio costruito sulla base di questi tre principi risolve il problema che, nella asset allocation tradizionale, la maggior parte dei rialzi e dei ribassi è legata all’andamento della componente in azioni: un portafoglio risk parity avrà invece un profilo rischio/rendimento migliore, ed in particolare fornirà un livello più elevato di rendimento a parità di rischio.

Attenzione però: la strategia risk parity non punta tanto ad aumentare la performance in termini assoluto (la performance in genere risulta non particolarmente elevata) quanto un migliore comportamento del portafoglio nelle fasi negative dei mercati (un migliore “Sharpe Ratio”).

Va precisato che la strategia risk parity può essere messa in pratica utilizzando diverse combinazioni di asset class: ad esempio, includendo oppure escludendo i Mercati Emergenti, le materie prime, e così via.
Va precisato anche che i gestori che utilizzano la risk parity si differenziano tra loro per l’utilizzo di misure di rischio diverse (volatilità a uno, due, tre anni), ed anche per il grado di utilizzo della leva finanziaria.
Infine, va detto che alcuni gestori, come ad esempio Ray Dalio di Bridgewater, utilizzano una analisi del rischio più dettagliata, ed in particolare individuano quattro diverse categorie di rischio, legate a dati macroeconomici come la crescita e l’inflazione. Da qui derivano poi cambiamenti nel peso delle singole posizioni, ed anche nell’utilizzo della leva finanziaria.


STRATEGIA RISK PARITY: I PUNTI DEBOLI

Semplificando, l’utilizzo della leva consente ai portafogli risk parity di avere una esposizione al mercato obbligazionario molto più grande di quella dei tradizionali portafogli bilanciati. E questo fa dire a molti che la performance di medio termine delle strategie risk parity (che abbiamo visto in un grafico sopra) è spiegata proprio dalla eccezionale performance delle obbligazioni negli ultimi 20 anni.
A questa osservazione critica, hanno risposto alcuni gestori applicando strategie risk parity ai fattori, piuttosto che alle classi di attività: questo significa prima individuare i fattori che hanno maggiore influenza sui prezzi degli asset (dai tassi di interesse alla crescita alla bilancia commerciale ad altri), e poi costruire un portafoglio con quote delle diverse classi di attività che rendano uguale il peso di questi singoli fattori sulla performance finale del portafoglio.

Questo scritto è redatto a solo scopo informativo, può essere modificato in qualsiasi momento e NON può essere considerato sollecitazione al pubblico risparmio. Il sito web non garantisce la correttezza e non si assume la responsabilità in merito all’uso delle informazioni ivi riportate.
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