Investire con il trend
Pochi prodotti, semplici e comprensibili. Rischio controllato
di Lucio Sgarabotto 4 mag 2010 ore 12:28
Fra le domande che più frequentemente ricorrono nella mia attività di consulente finanziario indipendente rientrano sicuramente le seguenti:
Per quanto riguarda la risposta alla prima domanda è doveroso notare che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’accresciuta complessità degli strumenti finanziari (siamo passati dai semplici titoli di stato alle obbligazioni strutturate, frutto dell’ingegneria finanziaria) e dei portafogli (sempre più articolati, composti da un crescente numero di titoli differenziati per classe, tipo, paese, ecc.), ad un aumento delle movimentazioni e ad una ricerca di nuove soluzioni, frutto soprattutto delle necessità dei venditori piuttosto che degli investitori.
Ciò rende sempre più difficile la comprensione della qualità dell’operato dei consiglieri dei risparmiatori e dei risultati ottenuti dagli investimenti. A fronte di una continua perdita di efficienza, in gran parte dovuta ai costi occulti, il livello di rischio dei prodotti finanziari non è certo diminuito. Abbiamo scoperto, drammaticamente, che non esiste solo il rischio di mercato, già male valutato tramite il VAR, ma anche il rischio di liquidità e, soprattutto, emittente (Argentina, Parmalat, Lehmann, Grecia….) che le agenzie di rating male comunicano al mercato.
La diversificazione, strumento principe per la diminuzione del rischio, si è dimostrata inefficiente. In un mercato globale, nel nome della diversificazione, sono stati riempiti i portafogli di prodotti altamente correlati che si comportano tutti allo stesso modo.
Come superare tutte queste complicanze?
La diminuzione del rischio di portafoglio è collegata solo marginalmente alla numerosità dei prodotti presenti e una buona diversificazione e una certa sicurezza sono ottenibili anche con pochi strumenti, anzi, meno sono e più chiara sarà la visione globale del rischio che stiamo correndo e più facili saranno gli interventi a modificare il portafoglio per assecondare le opportunità di investimento.
La misura tradizionale del rischio ex ante può essere surrogata con una valutazione personale della massima rischiosità che si può sopportare in un determinato arco temporale.
Anche la capacità (o incapacità?) gestionale degli intermediari può essere sostituita con strumenti che non portano sorprese (né in positivo, né, soprattutto, in negativo) in termini di rendimenti e rischio.
La risposta alla seconda domanda è più difficile.
La ricerca finanziaria, sia tecnica sia fondamentale, ha come scopo principale l’analisi dei mercati nel tentativo di individuare il/i trend in corso ed i punti di inversione di tale trend. Semplificando, nel primo caso, l’analisi, riconoscendo i limiti del sapere umano e, quindi, l’impossibilità di comprendere tutte le dinamiche degli elementi che muovono i mercati, partendo dal presupposto che il prezzo sconti tutto, utilizza soprattutto grafici, ma non solo, per riconoscere il ripetersi di regole ricavate dagli studi passati.
Nel secondo, invece, si cerca, attraverso l’analisi dei dati forniti dal mercato, di individuare le condizioni e gli scenari macroeconomici – le fasi del ciclo economico -, al fine di determinare i mercati su cui investire. Grossolanamente potremmo dire che l’analisi fondamentale ci dice dove investire, quella tecnica, quando.
Entrambe però hanno dei limiti. A parte quelli propri dell’una e dell’altra, il più grave è che difficilmente i risparmiatori, tranne forse i più esperti, riescono a fare un’analisi approfondita per mancanza di capacità tecniche, ma ancor di più per l’impossibilità di reperire sul mercato le informazioni “fresche”necessarie. Bisogna allora sfruttare gli studi già fatti, ma di chi fidarsi? Sarebbe necessario fare l’analisi dell’analista e le cose comincerebbero a complicarsi.
Esistono invece indicatori, molto trascurati quando non irrisi, di facile reperibilità, che offrono spunti notevoli per un’analisi personale per l’individuazione dei trend e dei punti di svolta dell’economia. Vedremo che le indicazioni procurate da tali strumenti poche volte hanno fallito e che, se i suggerimenti da essi forniti sono combinati con una corretta asset allocation, i risultati a cui si arriva sono più che apprezzabili, certamente più della stragrande maggioranza di quelli derivanti dai prodotti del risparmio gestito.
Ciò che verrà descritto nei prossimi articoli più che di teorie è frutto dell’esperienza maturata e di pazienti analisi. E’ un metodo che non si basa su previsioni, spesso facilmente smentite dai fatti, ma su dati oggettivi. Ha poche e semplici regole alla portata di ciascuno; è aperto, nel senso di migliorabile con il contributo di tutti coloro che ne saranno interessati.
Probabilmente molti non vi troveranno nulla di nuovo, esso infatti è solo un ragionevole metodo d’investimento.
Alla prossima con “2. Le analisi del trend”.
Lucio Sgarabotto
lucio.sgarabotto@gmail.com
www.lsadvisor.it
- è possibile creare e gestire un portafoglio con pochi prodotti semplici, comprensibili anche ai meno esperti, limitando i costi e senza mai oltrepassare i limiti di rischio che ci si è posti?
- è possibile in qualche modo reagire ai cambiamenti del mercato, almeno non troppo in ritardo, in modo tale da evitare i grandi disastri finanziari?
Per quanto riguarda la risposta alla prima domanda è doveroso notare che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’accresciuta complessità degli strumenti finanziari (siamo passati dai semplici titoli di stato alle obbligazioni strutturate, frutto dell’ingegneria finanziaria) e dei portafogli (sempre più articolati, composti da un crescente numero di titoli differenziati per classe, tipo, paese, ecc.), ad un aumento delle movimentazioni e ad una ricerca di nuove soluzioni, frutto soprattutto delle necessità dei venditori piuttosto che degli investitori.
Ciò rende sempre più difficile la comprensione della qualità dell’operato dei consiglieri dei risparmiatori e dei risultati ottenuti dagli investimenti. A fronte di una continua perdita di efficienza, in gran parte dovuta ai costi occulti, il livello di rischio dei prodotti finanziari non è certo diminuito. Abbiamo scoperto, drammaticamente, che non esiste solo il rischio di mercato, già male valutato tramite il VAR, ma anche il rischio di liquidità e, soprattutto, emittente (Argentina, Parmalat, Lehmann, Grecia….) che le agenzie di rating male comunicano al mercato.
La diversificazione, strumento principe per la diminuzione del rischio, si è dimostrata inefficiente. In un mercato globale, nel nome della diversificazione, sono stati riempiti i portafogli di prodotti altamente correlati che si comportano tutti allo stesso modo.
Come superare tutte queste complicanze?
La diminuzione del rischio di portafoglio è collegata solo marginalmente alla numerosità dei prodotti presenti e una buona diversificazione e una certa sicurezza sono ottenibili anche con pochi strumenti, anzi, meno sono e più chiara sarà la visione globale del rischio che stiamo correndo e più facili saranno gli interventi a modificare il portafoglio per assecondare le opportunità di investimento.
La misura tradizionale del rischio ex ante può essere surrogata con una valutazione personale della massima rischiosità che si può sopportare in un determinato arco temporale.
Anche la capacità (o incapacità?) gestionale degli intermediari può essere sostituita con strumenti che non portano sorprese (né in positivo, né, soprattutto, in negativo) in termini di rendimenti e rischio.
La risposta alla seconda domanda è più difficile.
La ricerca finanziaria, sia tecnica sia fondamentale, ha come scopo principale l’analisi dei mercati nel tentativo di individuare il/i trend in corso ed i punti di inversione di tale trend. Semplificando, nel primo caso, l’analisi, riconoscendo i limiti del sapere umano e, quindi, l’impossibilità di comprendere tutte le dinamiche degli elementi che muovono i mercati, partendo dal presupposto che il prezzo sconti tutto, utilizza soprattutto grafici, ma non solo, per riconoscere il ripetersi di regole ricavate dagli studi passati.
Nel secondo, invece, si cerca, attraverso l’analisi dei dati forniti dal mercato, di individuare le condizioni e gli scenari macroeconomici – le fasi del ciclo economico -, al fine di determinare i mercati su cui investire. Grossolanamente potremmo dire che l’analisi fondamentale ci dice dove investire, quella tecnica, quando.
Entrambe però hanno dei limiti. A parte quelli propri dell’una e dell’altra, il più grave è che difficilmente i risparmiatori, tranne forse i più esperti, riescono a fare un’analisi approfondita per mancanza di capacità tecniche, ma ancor di più per l’impossibilità di reperire sul mercato le informazioni “fresche”necessarie. Bisogna allora sfruttare gli studi già fatti, ma di chi fidarsi? Sarebbe necessario fare l’analisi dell’analista e le cose comincerebbero a complicarsi.
Esistono invece indicatori, molto trascurati quando non irrisi, di facile reperibilità, che offrono spunti notevoli per un’analisi personale per l’individuazione dei trend e dei punti di svolta dell’economia. Vedremo che le indicazioni procurate da tali strumenti poche volte hanno fallito e che, se i suggerimenti da essi forniti sono combinati con una corretta asset allocation, i risultati a cui si arriva sono più che apprezzabili, certamente più della stragrande maggioranza di quelli derivanti dai prodotti del risparmio gestito.
Ciò che verrà descritto nei prossimi articoli più che di teorie è frutto dell’esperienza maturata e di pazienti analisi. E’ un metodo che non si basa su previsioni, spesso facilmente smentite dai fatti, ma su dati oggettivi. Ha poche e semplici regole alla portata di ciascuno; è aperto, nel senso di migliorabile con il contributo di tutti coloro che ne saranno interessati.
Probabilmente molti non vi troveranno nulla di nuovo, esso infatti è solo un ragionevole metodo d’investimento.
Alla prossima con “2. Le analisi del trend”.
Lucio Sgarabotto
lucio.sgarabotto@gmail.com
www.lsadvisor.it