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Come selezionare i titoli azionari

La stock selection ha lo scopo di filtrare, dall’universo delle azioni quotate, un ristretto numero di titoli rispondenti a caratteristiche desiderate. È una metodologia di investimento top down

di Redazione Soldionline 9 mag 2012 ore 15:03

a cura di Claudio Guerrini, Evaluation.it

La stock selection ha lo scopo di filtrare, dall’universo delle azioni quotate, un ristretto numero di titoli rispondenti alle caratteristiche desiderate. È una metodologia di investimento cosiddetta top down perché parte dal generale - tutti i titoli quotati o tutti quelli di cui si dispone di informazioni - per arrivare al particolare - singoli nomi di azioni su cui investire - evitando di entrare nel dettaglio delle caratteristiche dei singoli titoli o delle prospettive delle aziende da essi rappresentate.
La stock selection può utilizzare informazioni di varia natura: dagli indicatori di carattere tecnico ai fondamentali di bilancio ai multipli di mercato; nel seguito di questo articolo ci focalizzeremo su alcune applicazioni degli ultimi due tipi alle società del mercato azionario italiano. Partiremo con l’esaminare i singoli criteri di selezione descrivendone pregi e difetti lasciando ad un successivo articolo la trattazione di come combinare due o più criteri di selezione al fine di generare strategie di selezione efficaci.

 

Capitalizzazione: Big vs Small

investire_azioniUn primo criterio di estrazione può essere la capitalizzazione delle aziende: pur essendo un criterio che “dice poco” se utilizzato singolarmente vale la pena sottolineare che la dimensione aziendale è comunque indice di potere di mercato, della capacità di realizzare economie di scala e/o del possesso di marchi o tecnologie sfruttate a livello globale. Effettuando ad esempio una verifica sul mercato Usa è possibile notare come negli ultimi 12 mesi una selezione aziende con una capitalizzazione superiore a 100 miliardi di dollari abbia realizzato in media una performance di oltre 10 punti superiore all’indice S&P 500, spinta dai giganti della tecnologia Apple e Google ma anche da aziende quali Ibm e Coca Cola. Il discorso è diverso se si restringe l’analisi alle aziende italiane per le quali non si nota una particolare correlazione tra la dimensione e le performance, tuttavia la capitalizzazione può essere un utile filtro per restringere i risultati di estrazioni effettuate con altri parametri ad aziende di un determinato livello dimensionale.


Redditività del capitale: un parametro sempre importante

La redditività del capitale proprio o Roe (Return on equity) è una delle misure della redditività di impresa ed è calcolata come rapporto tra risultato netto e patrimonio netto dell’azienda analizzata, il valore è espresso normalmente in percentuale ed è una misura di quanto “ha prodotto”, nel corso dell’ultimo esercizio, il patrimonio netto dell’azienda (ossia le attività al netto dei debiti e delle altre passività) in termini di utili. Una redditività superiore al costo del capitale (rendimento di investimenti alternativi paragonabili per livello di rischio) è indice della capacità di creare valore da parte dell’impresa e dovrebbe essere una garanzia di maggiore capacità di crescita dei titoli nelle fasi di crescita del mercato e/o di resistenza nelle fasi riflessive.
Questa teoria trova conferma nei dati reali: da una selezione delle aziende italiane con Roe superiore al 15% si sarebbe potuto ottenere un rendimento, negli ultimi 12 mesi, di 9 punti superiore all’indice Ftse Mib mentre le aziende con Roe inferiore al 5% hanno mediamente realizzato una performance di 13 punti più bassa.


P/E: come impostare correttamente l’intervallo di selezione

Il rapporto prezzo/utile (detto anche P/E ossia price/earnings) è forse l’indicatore più utilizzato da chi cerca di approcciare l’analisi (e la scelta) dei titoli secondo i criteri fondamentali. Un basso rapporto di questo parametro è indice del fatto che si “stanno pagando meno” gli utili della società e quindi il titolo in questione è conveniente ma potrebbe anche significare che le attese sugli utili futuri non sono particolarmente positive. Da un’analisi dei dati degli ultimi 12 mesi del mercato italiano sembrano comportarsi meglio i titoli che mostrano un rapporto superiore a 15 (valore che normalmente è considerato lo spartiacque tra titoli convenienti e non) che quelli con rapporto compreso tra 0 e 15 mentre la logica suggerirebbe il contrario; anche per il P/E quindi è opportuno che non sia l’unico parametro ad essere utilizzato per la costruzione di una selezione di titoli. Infine una nota pratica: quando si fanno estrazioni sul P/E è sempre opportuno impostare entrambi gli estremi per evitare di ottenere risultati indesiderati: con un’estrazione P/E < 15 ad esempio si finirà per estrarre anche aziende in perdita, mentre se si imposta il P/E compreso tra 0 e 15 si estrarranno solo le aziende che hanno un rapporto prezzo-utili conveniente.

LO STRUMENTO PER SELEZIONARE I TITOLI DI PIAZZA AFFARI

 

P/BV: non sempre un valore basso è indice di convenienza

Il rapporto price book value (prezzo - valore contabile) mette in relazione il prezzo del titolo con il valore del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio, un rapporto inferiore all’unità significa che si sta pagando la società meno del valore delle attività di bilancio al netto delle passività ma ciò non significa automaticamente che si sta anche facendo un affare, almeno finché non si verifica la capacità dell’impresa di produrre utili. Se facciamo un’estrazione con il rapporto P/BV < 0,5 otteniamo una selezione con molte società dai conti in rosso, praticamente tutte le banche quotate e diverse municipalizzate; queste società negli ultimi esercizi hanno deluso come risultati economici e negli ultimi 12 mesi hanno prodotto complessivamente una performance di oltre 20 punti inferiore al già magro risultato del Ftse Mib. Allo stesso tempo l’estrazione di società con P/BV > 3 include marchi del made in italy di grande successo come Tod’s, Ferragamo e Luxottica oltre a Saipem, una delle aziende che ha avuto la migliore performance negli ultimi anni. Ma nemmeno questa selezione è indice di qualità perché un rapporto P/BV alto a volte può essere determinato da un denominatore che si è deteriorato per perdite che lo hanno ridotto al lumicino e in effetti l’estrazione P/BV > 3 include un terzo di società coi conti in rosso.

 

Beta: quando conviene scegliere valori alti o bassi del rischio

Il beta è un indicatore del cosiddetto rischio sistematico o non diversificabile ossia la quantità di rischio che un titolo aggiunge ad un portafoglio e che non può essere ridotta attraverso la scelta di altri titoli anche se appartenenti ad altri settori. In pratica un beta basso (minore di 1) indica che il titolo in questione si muove in media meno che proporzionalmente alle variazioni del mercato (con un beta di 0,5 possiamo attenderci che quando il mercato cresce o cala dell’1% il titolo cresca o cali dello 0,5%) mentre un beta alto è indice di titoli particolarmente ciclici sia perché più influenzati, ad esempio, dalle variazioni del ciclo economico, sia perché influenzati dall’andamento del mercato in sé, come accade attualmente per i titoli del settore finanziario. Alcune estrazioni confermano questi elementi: tra le società con beta maggiore di 1,3 presenti nell’indice Ftse Mib troviamo 4 banche e Fiat mentre se ripetiamo la stessa estrazione con un beta inferiore a 0,6 abbiamo società del settore alimentare come Campari e Parmalat ed utilities come Enel Green Power e Snam. E’ logico attendersi che nelle fasi di crescita del mercato siano preferibili i titoli ad alto beta e viceversa ma non sempre è così: se le estrazioni viste in precedenza mostrano una migliore performance per i titoli a basso beta, in una fase calante come quella che ha caratterizzato gli ultimi 12 mesi, è possibile verificare che una selezione di tutti i titoli con beta minore di 0,6 abbia realizzato una performance non molto diversa da quella dell’indice nell’ultimo anno. Come vedremo in un successivo articolo il beta può quindi essere usato proficuamente solo come parametro di controllo o in combinazione con altri filtri di estrazione.


Dividend yield: utilizzo singolo o con funzione di filtro

Il dividend yield o rendimento da dividendi è calcolato come rapporto percentuale tra il dividendo corrente (ultimo dividendo approvato) e il prezzo delle azioni e misura la remunerazione fornita dalla società agli azionisti nel corso dell’ultimo anno sotto forma di liquidità (una forma alternativa è il riacquisto di azioni proprie, molto in voga nei paesi anglosassoni ma non molto praticato in Italia). Un’azienda sana in genere è anche in grado di distribuire dividendi per remunerare i propri soci e il dividend yield ne misura la capacità ma un alto livello di questo indicatore potrebbe anche essere indice del fatto che poche risorse sono reinvestite per sostenere nuovi investimenti o che la società ha scarse prospettive di crescita. Questo è in parte confermato dai dati: se si effettuano estrazioni su diverse fasce di dividend yield (0%-2%, 2%-4%, 4%-6%, >6%) è possibile rilevare che solo la selezione con intervallo di dividend yield compreso tra 2% e 4% ha prodotto performance migliori di quelle dell’indice Ftse Mib mentre in quella con yield superiore al 6% trovino posto molte società nel settore utilities che operano in settori stabili ma con limitate opportunità di espansione. Anche il dividend yield non fornisce quindi da solo risposte univoche ma deve essere necessariamente utilizzato in combinazione con altri parametri come vedremo nel prossimo articolo.

SELEZIONA I TITOLI DI PIAZZA AFFARI

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