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Volatilità, mia divina! ti preferisco asimmetrica...

Una gentile lettrice mi ha bacchettato perché sottovaluterei il ruolo della volatilità nella corretta valutazione dei prodotti finanziari. Adoro essere bacchettato dalle gentili lettrici ma ancor più adoro infrangere i teoremi finanziari che partono da ipotesi discutibili.

di La redazione di Soldionline 5 ott 2005 ore 08:49
E alla gentile lettrice dedico questo articolo.

    Questa mia sottovalutazione del significato della volatilità nella gestione di portafoglio non è casuale da quando Sua Eccellenza Microsoft Excel mi ha mostrato la tabella 1:

    Tabella 1



    Due fondi con performance assolutamente opposte e speculari presentano la medesima volatilità. Accidempoli, Mr. Excel, ancora una volta hai messo il dito nella piaga della semplificazione eccessiva cui la propaganda finanziaria troppo spesso presta il fianco.

    'Come dici? È colpa degli statistici?'. E, certo, con quell'abitudine di elevare sempre al quadrato tutti gli scostamenti dalla media, a volte perdono un po' il senso dei fenomeni reali.

    In effetti la volatilità (dei rendimenti) è un indicatore da utilizzarsi solo in maniera collaterale per valutare prodotti con rendimenti di lungo termine sostanzialmente simili. A sostanziale parità di rendimento di lungo termine ovviamente è da preferirsi un prodotto con volatilità più bassa. Ma va anche precisato che, quando un fondo come quello della figura 1 (colore ocra) è palesemente indicizzato, allora poter vantare una volatilità sia pur leggermente minore del benchmark (colore blu), non può rappresentare una particolare ragione di apprezzamento. Nel caso specifico la volatilità a 3 anni del fondo è stata del 13,5% contro il 13,7% del benchmark ma, poiché il fondo, alla fine, si appiattisce sempre e comunque sul benchmark e lega ad esso le sue performance per scelta strategica, quella minore volatilità riveste scarsissimo o nullo valore per l'investitore: fra un giorno, un mese, un anno, un decennio il fondo sarà gemello omozigote del suo benchmark e che sia leggermente meno volatile non è di nessun interesse.
Figura 1


    La volatilità diventa, comunque, uno strumento concettualmente inutilizzabile quando volete confrontare prodotti con rendimenti diversi. Bisogna ricorrere allo Sharpe Ratio per rendere confrontabile l'inconfrontabile in un indice sintetico ma sui limiti dello Sharpe Ratio ho già scritto qualche settimana or sono

    Più in generale l'industria della gestione di portafoglio coltiva con insana passione strumenti contraddittori e/o inadeguati per valutare il rischio di portafoglio. La volatilità, col suo non distinguere gli scostamenti sotto la media da quelli sopra di essa, è decisamente uno di questi. Ma non è l'unico caso e neppure il più clamoroso.

    Problemi metodologici e condizionamenti istituzionali

    Consideriamo, ad esempio, il concetto di tracking error volatility (TEV), molto popolare, un vero standard concettuale nell'industria dei fondi comuni. Questo indicatore è generalmente considerato una misura di rischio perché calcola la volatilità degli scostamenti dei rendimenti di un portafoglio rispetto al suo benchmark. Poiché la TEV rappresenta una misura di rischio relativo (nei confronti del benchmark) e non di rischio assoluto, gli investitori sofisticati dovrebbero evitare attentamente questo indicatore che, infatti, è popolare solo nel risparmio gestito al dettaglio e - ben più grave - addirittura imperante nell'industria dei fondi pensione dove domina un approccio formalistico alla gestione del rischio ed alla sua misurazione.

    Se il benchmark si getta in un burrone, per gli ineffabili misuratori di rischio dei fondi pensione il rischio del portafoglio pensionistico non è di finire anch'esso nel burrone ma non finirci con la stessa millimetrica precisione del benchmark. Contenti i pensionati ...


    La stessa metodologia di calcolo di questo indicatore è discutibile e, persino accettando come valida una misura relativa e non assoluta di rischio, un decisivo miglioramento potrebbe realizzarsi attraverso una semplice modifica della modalità di calcolo tradizionale. Infatti, la TEV è tipicamente calcolata come radice quadrata della somma dei quadrati degli scostamenti dei rendimenti dei portafoglio dai rendimenti dei relativi benchmark. Gli scostamenti negativi e positivi, una volta elevati al quadrato, sono sempre numeri positivi, così il calcolo tradizionale ed accademicamente accettato per la TEV non distingue tra gli scostamenti positivi e quelli negativi. Una semplice innovazione potrebbe evitare questa incongruenza logica, calcolando la TEV utilizzando solo gli scostamenti negativi ed attribuendo valore zero agli scostamenti positivi.

    Se un gestore è in grado di battere sistematicamente il suo benchmark, soffrendo di quella che potremmo chiamare una 'volatilità positiva' rispetto al benchmark, perché dovremmo concludere che è più rischioso di un altro gestore che realizza minori scostamenti ma sistematicamente negativi rispetto al benchmark? Solo perché è ciò che la dogmatica formula del TEV suggerisce?

    Nonostante l'evidenza di questa trappola del formalismo, l'industria del risparmio gestito, nel nome di 'abbiamo sempre fatto così', finora non è stata capace di riformulare questo concetto di rischio: volatilità significa rischio e la formula della volatilità deve essere simmetrica.

    Può apparire una questione oziosa ma, almeno per i fondi pensione italiani, la simmetricità di calcolo della TEV è la causa necessaria della loro sostanziale indicizzazione di portafoglio, come rivela la figura 2 tratta dalla relazione 2003 della COVIP: il rendimento medio ponderato dei fondi pensione negoziali italiani non si scosta sostanzialmente dal loro benchmark medio ponderato.

    Come ho già rilevato a pagina 52 del mio pamphlet Perché liberalizzare la gestione del risparmio, cui rimando, i fondi pensione italiani sono soggetti a convenzioni (contratti tra i fondi stesse e le società di gestione) che prevedono, per espresso obbligo normativo, la definizione contrattuale di TEV massime da rispettare. Cosicché, per rispettare una determinata TEV definita contrattualmente, il gestore di un fondo pensione può paradossalmente essere costretto a non battere il benchmark in maniera eccessiva, anche se se fosse capace. Pertanto, il rischio reale è che il rispetto di una determinata TEV si trasformi da vincolo (quale dovrebbe essere) ad obiettivo principale del gestore, sebbene non esplicitamente dichiarato al fondo pensione. E questo al solo scopo di evitare una disdetta della convenzione. Il rispetto della TEV, pietra miliare dell'industria del risparmio gestito, può dunque rivelarsi un boomerang micidiale per i risultati di gestione dei fondi.

    Figura 2



    La matematica della gestione di portafoglio

    C'è un libro che ha influenzato il modo di guardare alla volatilità e di interpretarne il significato più profondo, The Mathematics of Money Management, scritto da Ralph Vince e pubblicato dall'editore Wiley nel 1992. Sfortunatamente questo libro è conosciuto solo presso un ristretto ambito di money manager che per lo più adottano tecniche computerizzate di gestione (i trading system). Più in generale i suoi ragionamenti valgono solo per quei fondi che utilizzano tecniche attive e dinamiche di gestione che mirano a cavalcare la volatilità dei mercati anziché a contenerla.

    Ralph Vince afferma che l'obiettivo di ogni metodologia quantitativa d'investimento dovrebbe essere la massimizzazione del suo rendimento geometrico (composto) atteso. Si può decidere d'imporre alcuni vincoli 'politici' a questo obiettivo (ad esempio di massima volatilità) ma questo non cambia la ragionevole ipotesi di base che l'obiettivo di ogni metodologia d'investimento (computerizzata e non) debba essere la massimizzazione di lungo termine del suo rendimento geometrico.

    Ora, Ralph Vince dimostra matematicamente che se una prima metodologia di investimento è migliore di una seconda, ovverosia se i suoi rendimenti geometrici attesi sono più elevati della seconda, allora bisognerebbe investire più capitale nella prima metodologia che nella seconda. Questo suona logico perfino ai profani (e, in apparenza, per questa scoperta non ci sarebbe ragione per scomodare alta matematica) ma Ralph Vince dimostra questo punto matematicamente e definisce la percentuale di capitale allocata su ciascun sistema con l'espressione 'f frazionaria'. L''effe frazionaria' è la percentuale ottimale del capitale totale dell'investitore che va investita su ogni diversa metodologia di trading/investimento allo scopo di massimizzare il suo rendimento geometrico di lungo termine. L''effe frazionaria' è ovviamente più elevata nelle metodologie che offrono rendimenti geometrici più elevati.

    Ma - questo è il punto chiave - Ralph Vince dimostra matematicamente anche che più elevata è l''effe frazionaria' di una metodologia d'investimento e maggiore è necessariamente il massimo drawdown di quella stessa metodologia d'investimento. In altri termini, dimostra che migliore è la metodologia, maggiore è il capitale che vi si deve allocare ma al tempo stesso maggiore è la sua volatilità potenziale.

    Contro questa legge matematica non ci potete proprio far nulla. Conclude Ralph Vince:

    'There is a paradox involved here in that if a system is good enough to generate an optimal f that is a high percentage [of the equity, n.d.a.], then a drawdown for such a good system will also be quite high' [op.cit., pag. 38]

    Cosa significa, in breve? Che se il vostro obiettivo è la massimizzazione della crescita geometrica del valore vostro portafoglio, allora normalmente dovete accettare matematicamente un'elevata volatilità. Potete imporre limiti 'politici' alla volatilità massima del portafoglio ma ogni limite rappresenta un vincolo contro il conseguimento di un rendimento più elevato. In breve, un'elevata volatilità di portafoglio non è un valore positivo in sé ma il necessario prezzo da pagarsi, matematicamente, per conseguire più elevati rendimenti.

    Così, dopo aver metabolizzato la lezione di Ralph Vince, d'ora in poi guardate alla bassa volatilità di un portafoglio non solo come espressione della sua presunta 'sicurezza finanziaria' ma chiedetevi anche quali sono le opportunità che sono perse sotto la sua filosofia di bassa volatilità.

    Volatilità simmetrica ed asimmetrica (drawdown)

    'Piano, piano, ma nel tuo corso ci hai fatto vedere una chart nella quale esiste una relazione inversa tra rendimento di lungo termine di alcuni fondi flessibili e la loro volatilità, tant'è che la retta di regressione tra queste due variabili è negativa: a minore volatilità corrispondono rendimenti più alti. Com'è 'sta storia? Riguardati la figura 3'.

    Figura 3



    Si, ma esistono due spiegazioni a questo fenomeno. La prima è che i ragionamenti di Ralph Vince sono applicati a metodologie di investimento molto più dinamiche di quelle utilizzate normalmente dai fondi comuni in termini di variazione dell'esposizione azionaria complessiva e di sfruttamento dello scoperto di borsa. È una regola che vale soprattutto per i fondi hedge e futures che adottano strategie direzionali (e non market neutral), che è il mondo professionale di Ralph Vince.

    Secondariamente, per i fondi comuni quella relazione tra rendimenti e volatilità è, in realtà, una relazione spuria ed ingannevole. Se andate cinque slide più avanti, vedete che esiste anche una relazione negativa il rendimento di lungo termine dei fondi comuni ed il loro massimo drawdown: normalmente minore è il massimo drawdown, maggiore il loro rendimento di lungo termine (e nel corso vi spiego il perché). Ma, poiché tra massimo drawdown e volatilità esiste anche una relazione positiva, questo fa apparire che i rendimenti più alti dei fondi si realizzano con la volatilità minore mentre normalmente la relazione rilevante è un'altra: maggior rendimenti derivano da minori drawdown che normalmente si trascinano anche minori volatilità di portafoglio. Per la proprietà transitiva appare che i rendimenti maggiori siano legati alla minore volatilità anziché ai minori drawdown.

    Ed ecco il punto. La volatilità è un animale strano: se la vostra strategia è massimizzare i rendimenti di lungo termine, dovete cavalcarla, se ne siete intimoriti, siete tentati di contenerla. Ma contenere la volatilità, che è in concetto simmetrico di rischio, in sé non serve veramente, quello che conta è contenere i drawdown, che è un concetto asimmetrico di rischio ben più rilevante.

    La moda dominante nella gestione di portafoglio finora ha condotto ad una corsa abbastanza generalizzata da parte delle società di gestione (specie di quelle speculative) verso la produzione di prodotti finanziari a bassa volatilità perché questi prodotti sono più rassicuranti per gli investitori duramente provati dallo stress del triennio 2000-2002. A questa moda si sono accodati i fondi hedge italiani, la maggior parte dei quali si confronta, scorrettamente, con i rendimenti del mercato monetario come se anche per essi non dovesse esistere un qualche premio per il rischio (azionario, di liquidità, di esecuzione, di incidenti alla Long Term Capital, umano, ecc.).

    Molti, ormai, competono alla pusillanime gara tra chi è meno volatile. Ma questa corsa quasi generalizzata verso la bassa volatilità lascia spazio a strategie alternative di gestione e di marketing che si rivolgano all'intelligenza degli investitori più sofisticati piuttosto che alle paure irrazionali di quelli meno sofisticati.



    Paolo Sassetti


    Judo finanziario è in vendita sul sito www.educopolis.com. Prossimamente in vendita anche presso la libreria Migliorino di Roma.





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