"To hedge or not to hedge?"...
L’UCITS III e le nuove frontiere della consulenza finanziaria
Non credo che i fondi hedge single manager siano mai consigliabili ad investitori individuali, per quanto benestanti, giacché la soglia minima d’investimento prevista dalla normativa domestica preclude un’adeguata diversificazione del rischio-gestore, rischio particolarmente acuto per l’assenza sugli hedge dei tipici controlli che vengono esercitati sui prodotti tradizionali del risparmio gestito in ambiti regolamentati
di La redazione di Soldionline 29 gen 2007 ore 11:37
Il senso comune attribuisce ai fondi di fondi hedge un ruolo alternativo ai fondi comuni azionari, un modo per realizzare un'esposizione a rischio controllato ai mercati finanziari. Diversamente da questa idea, purché siano ampiamente diversificati su gestori di comprovata esperienza che, a loro volta, non perseguano strategie eccessivamente azzardate sotto il profilo operativo e della leva finanziaria, i fondi di fondi hedge sono da me utilizzati come sostitutivi della componente obbligazionaria nei portafogli individuali. Per essere utilizzati a questo fine è necessario che sterilizzino al loro interno il rischio di cambio (alcuni lo fanno) o che l'investitore provveda a coprirne il rischio con una copertura ad hoc. Normalmente questa operazione comporta un costo (essendo gli hedge per lo più espressi in dollari), che è tuttavia giocoforza sobbarcarsi.
In altri termini ancora, (a) i fondi di fondi hedge, che sono generalmente (ma anche impropriamente) considerati più rischiosi dei fondi azionari (da cui il termine 'speculativi' e le connesse anacronistiche barriere alla libera sottoscrivibilità) fungono da proxy per la parte meno rischiosa dei portafogli, mentre (b) la parte più rischiosa dei portafogli è svolta da fondi/sicav azionari, sebbene selezionati con criteri prevalentemente quantitativi e sottoposti a strategie di timing di medio-lungo periodo, per controllare il rischio di rovina.
Il semplice ragionamento che espongo ai clienti è il seguente:
- 'Se lei riesce ad accettare perdite momentanee (drawdown) fino ad un livello medio-normale - diciamo - del 4-7%, poiché buoni fondi di fondi hedge con bassi drawdown vedono sempre nuovi massimi in tempi relativamente brevi, è preferibile allocare l'investimento (fino ad oggi) obbligazionario su uno o più fondi di fondi hedge che perseguano un obiettivo di rendimento nell'ordine del 6-8%. Questa è la parte del capitale che - contro il sentire comune - va considerata a basso rischio ma anche con un limitato potenziale di rivalutazione. Il rendimento maggiore viene perseguito con altri strumenti, ma con questa soluzione ibrida possiamo evitare che la parte a basso rischio del capitale zavorri eccessivamente verso il basso il rendimento globale del portafoglio'.
In breve, fatte rarissime eccezioni, ho sostanzialmente dato il benservito ai fondi monetari/obbligazionari che, al contrario, rappresentano l'ossatura portante del risparmio gestito in Italia. Molti clienti al primo impatto con questo approccio sono sconcertati ma, specie quelli che hanno già avuto esperienze di hedge fund, col tempo ne apprezzano la ratio.
La Banca d'Italia ha annunciato che in futuro le sgr potranno gestire congiuntamente sia prodotti alternativi, sia prodotti tradizionali senza essere soggette alla distinzione cui sono oggi soggette.
Questa semplificazione potrà condurre alla gestione congiunta di fondi (di fondi) hedge e di fondi (di fondi) tradizionali e, con essa, ad una nuova offerta congiunta di prodotti complementari e di soluzioni di consulenza.
Ma come offrire questa stessa soluzione a quei risparmiatori che, per le regole imposte da Bankitalia - invero un po' paternalistiche che la nuova gestione Draghi non ha ancora intaccato - non possono mettere sul tavolo 500 mila euro per la sottoscrizione di un fondo di fondi hedge?
A parte l'opzione dell'espatrio verso paesi più liberali, una soluzione consiste nell'utilizzare fondi di fondi hedge quotati, che sono sottoscrivibile con importi minimi. Questa soluzione comporta per l'investitore di dover gestire un'ulteriore variabile (quella dello sconto/premio sul NAV), ma è un problema facilmente gestibile con un po' di attenzione.
Inoltre, grazie alla normativa UCITS III sono arrivati sul mercato europeo (non ancora su quello italiano) (1) prodotti destinato al mercato retail che, sotto il profilo operativo, si avvicinano molto ai fondi hedge ed ai fondi di fondi hedge.
Questi prodotti, per quanto lentamente, arriveranno anche sul nostro mercato e causeranno un rilevante cambiamento nel mercato retail. La normativa UCITS III, infatti, consente ai fondi ed alle sicav di adottare una operatività che fino a ieri era riservato dominio dei fondi hedge (compreso un certo utilizzo della leva finanziaria). Mi è capitato di analizzare alcuni di questi prodotti ed ho concluso che sono prodotti decisamente innovativi rispetto a quelli cui sono abituati i risparmiatori italiani. Essi renderanno progressivamente obsoleti gran parte dei prodotti finanziari che oggi popolano il mercato europeo anche se, in questa prima fase, si sta verificando il paradosso che questi prodotti - versione 'minore' dei fondi hedge - attualmente costano addirittura di più degli stessi fondi hedge, in quanto al momento il mercato retail di questi prodotti è ancora più rarefatto dello stesso mercato degli hedge.
Comunque, il cambiamento è alle porte. Ho forti dubbi che le sgr italiane siano in grado di reggere alla sfida. Così come è già successo per gli hedge fund, settore nel quale le sgr italiane hanno sostanzialmente operato come semplici rivenditori grossisti di prodotti gestiti da terzi, è possibile che qualcosa di analogo avvenga anche coi nuovi fondi quasi-hedge UCITS III. Infatti, il problema chiave è il know how gestionale che è tipico del mondo hedge.
Il lato positivo è che - specialmente se vi sarà un 'aiutino' da parte di Draghi e di Bersani - ai risparmiatori si offriranno molte più alternative di qualità e si aprirà un nuova frontiera per la consulenza imperniata sui fondi tradizionali, gli hedge ed i quasi-hedge.
(1) Sul mercato italiano questi prodotti stanno arrivando con ritardo rispetto ad altri paesi europei perché il mercato italiano è considerato meno attrattivo dalla case estere a causa della distribuzione sostanzialmente bloccata dal sistema bancario e dagli oneri imposti dalle banche depositarie (altro che distributori di benzina!), tema su cui non si è ancora acceso il faro dell'Antitrust e su cui vorrei rispettosamente attirare l'attenzione del Ministro Bersani. Più in generale, si sente la necessità di un unico 'prospetto informativo europeo' e di un unico processo autorizzativo dei fondi e delle sicav per tutta la UE che abbatta i costi di distribuzione causati dalle autorizzazioni che oggi debbono essere ottenute dai fondi per ogni singolo paese: si è arrivati al brevetto europeo, perché non dovremmo arrivare anche al prospetto europeo? Questa situazione si traduce in uno svantaggio per i risparmiatori italiani in quanto molti ottimi fondi francesi, spagnoli, inglesi, ecc. non sono distribuiti sul nostro territorio, limitando la possibilità di scelta dei risparmiatori e, in ultima analisi, la stessa concorrenza tra operatori.
Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente, socio Aiaf
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